Una commedia degli equivoci. Il primo equivoco è pigiare play pensando di trovarsi davanti a qualcosa di oggettivamente divertente per tutti. Questo, però, non significa che stiamo parlando di un progetto abominevole o malfatto. E allora perché abbiamo avuto questa netta sensazione di essere fuori luogo di fronte a Incastrati, la prima serie Netflix di Valentino Ficarra e Salvo Picone uscita il primo gennaio con l’intenzione di allietarci il nuovo anno? Verso la fine della prima puntata (6 episodi in totale, 30 minuti l’uno) l’epifania: a sbagliare siamo stati noi, il duo comico siciliano è ineccepibile. Ficarra e Picone (che, per dedicarsi a questo progetto per la grande N hanno detto au revoir al bancone di Striscia la Notizia dietro cui erano letteralmente “incastrati” dalla bellezza di 15 anni) hanno partorito la serie perfetta per chiunque non si sia mai perso una puntata di Don Matteo, repliche comprese. Con la differenza che qui si nota una decisamente maggiore attenzione per la regia (a cura dei due protagonisti) e che stiamo parlando di una serie leggera, intrisa di gag sul dolce e l’amaro della Sicilia, su quanto sia assurdo il binge watching, sulle corna, stereotipi vari, alcuni frati con la chitarra, i figli mammoni e le mamme "figlione", quella organizzazione folkloristica ma alle volte un po’ permalosetta, se si può dire, che è la mafia. Un novero di cliché fin troppo italiani, direbbe Stanis La Rochelle. Ma andiamo a vedere perché Incastrati sia una sorta di Lockdown all’Italiana che però, dopotutto, ce l’ha fatta.
Certo, partiamo da un presupposto: l’ultima serie italiana approdata su Netflix, prima di questa, è stata Strappare lungo i bordi di Zerocalcare, il capolavoro indiscusso, il miracolo, la prima produzione degna di questo nome partorita da una illuminata mente nostrana che per una buona sacrosanta volta non ci ha fatti vergognare davanti al resto del mondo. Prima di allora, un abisso fatto di sonore boiate (Luna nera, Curon... non andiamo oltre per non ferirvi il cuore con queste reminescenze ferali) e qualche titoletto tiepido che, con la doverosa premessa “per essere una roba italiana”, dopotutto se la cavava anche. Bene, Incastrati gioca un campionato diverso perché, per poterlo valutare come merita, bisogna prima di tutto mettersi nell’ottica del target per cui questa serie è stata congegnata: l’assiduo pubblico di Striscia la Notizia, Don Matteo, Il Paradiso delle Signore, perfino. Ovvero, detto brutale brutale, chi porta una dentiera. Ma queste persone sono su Nettflix?
La risposta è: forse non ancora. Ma la grande N ha evidentemente deciso di attrarli a sè, andando a sequestrare quei (già pochi) superstiti che, ancora, restano legatissimi al “Primo Canale”, alla “Fininvest” e per i quali “Telemontecarlo” è un universo che sa di coraggio, innovazione, futuro. Dopo averci falcidiato di serie sbrodolatamente teen grazie alle quali abbiamo visto ragazzini delle superiori super bellocci (e tendenzialmente spagnoli di almeno 26 anni) alle prese coi loro piccoli problemi di cuore, sotterfugi e delitti, preadolescenti americani alla scoperta del paranormale o giovani tedeschi che si perdono a spasso nel tempo sgambettandosi le loro stesse prozie, ora Netflix dice: largo ai vecchi. Pardon, al nazionalpopolare schiaffato in faccia senza alcun tipo di spocchia da sommelier dello streaming. Ecco, sotto questa lente, ovvero nell’ottica del target per cui è stata concepita, dicevamo, Incastrati è perfetta. Un meccanismo a orologeria di mirabile fattura. Certo, chi non ha vissuto gli strascichi della seconda guerra mondiale, rischia di sentirsi straniato come se fosse davanti a una puntata di Techetechetè. Però tutta a colori.
La serie di Ficarra e Picone è una crime comedy in cui i due protagonisti sono titolari di una ditta che si occupa di riparazioni di piccoli elettrodomestici. Durante un’uscita, impattano con un cadavere e restano avviluppati in una sequala di situazioni che, di equivoco in equivoco, li porterà a ritrovarsi sempre più al centro del pericolo tra mafia e gioviali frati canterini. Tutto questo vede Valentino (Picone) temere perennemente per la propria incolumità, mentre Salvo (Ficarra) si entusiasma perché gli sembra di vivere dentro la sua serie tv preferita, The touch of the killer (ma dovete pronunciarlo con accento marcatamente siciliano, altrimenti non fa ridere).
Ecco, Incastrati è con ineffabile precisione, quello che i vostri nonni pensano che fuoriesca dallo schermo di quei “cosi” (computer) a cui state attaccati tutto il giorno invece di uscire a farvi una bella passeggiata. E delizierà ogni italico ottuagenario a suon di gag, battute e situazioni che, nelle sere feriali, fanno spanciare l’affezionato popolo di Striscia. Potrebbe sembrare una critica brutale quella che stiamo scrivendo ma, in fondo, non lo è: Ficarra e Picone sono i papà de Il primo Natale, film più visto al cinema nel 2019 (quando ancora si poteva andare in sale in massa, che tempi, signora mia!) e hanno dato alla luce pregevoli commedie tra cui, citiamo, Il 7 e l’8. Quasi Checco Zalone, insomma. Però questi qui sono in due. E coi numeri che hanno fatto, in tv come sul grande schermo, hanno ragione. Se volete passare una bella giornata in famiglia e introdurre nonna al magico mondo della grande N, quelle che passerete davanti a Incastrati non saranno tre ore buttate al vento. Se invece vi metterete di bozzo buono a binge-watcharla in streaming una di queste sere d’inverno e ne resterete delusi, le uniche parole che possiamo restituirvi sono quelle della mitologica Uma Thurman nel celebre spot: “Ehi, che ti aspettavi?”. Incastrati è, per Netflix, il paziente zero dell’alba dei vecchi dormienti. Piacerà, nonostante la sciatica.