Finalmente, caro Massimo Cacciari, si riescono a leggere le tue tesi sull’attualità scritte in fila su un (prestigioso) pezzo di carta (editoriale su La Stampa del 15 dicembre), anziché tentare di intelligere con fatica e una certa angoscia lampi di ragioni tra le battute smozzicate dei tristissimi talk show televisivi (che tanto odiavi “trent’anni” fa). Ci inviti nuovamente al Dubbio (metodico) cartesiano, lievito della Scienza moderna e riesumato ora a contestare gli eccessi di assertività della medesima sul da farsi con il Covid, con la politica che la segue vilmente e/o la utilizza furbescamente per imporre la legge dell’alveare e stroncare il conflitto sociale.
A me sovviene così, quasi naturalmente, quell’ abusato ma folgorante aforisma nietzscheano per cui "Tutto è interpretazione. E se anche questa fosse un’interpretazione? Tanto meglio!”: la vetta (Sisifo…) dello scetticismo moderno che esplicitamente richiami e che in effetti è un tratto di fondo del tuo pensiero filosofico. Raggiunta quella vetta, risalita la montagna con il terribile peso del sasso/realtà sulle spalle, non si può riposare infine sereni mirando tutt’attorno la verità degli orizzonti che l’altezza del lavoro (dello spirito) si è guadagnata sfuggendo allo spirito di Gravità. Non si può al contrario che precipitare immediatamente dall’altra parte della sottile cengia, quasi scherza Nietzsche: “tanto meglio!”. Cioè – ci insegnavi – quel lavoro critico che vede/immagina, supera, ripropone in forma nuova le contraddizioni, che teorizza e modellizza il mondo prevedendone e forzandone il comportamento a crescente beneficio dei mortali consapevoli, giunge per coerenza a compiersi nel proprio negarsi, ad ammettere che il Dubbio - che intende ogni discorso come interpretazione – potrebbe sbagliarsi, ed essere sbeffeggiato e sbaragliato dalla “salda roccia” della Verità, del fondamento, insomma dalla realtà. Da indagarsi “come si può” da saperi scientifici specialistici e da governare nelle pratiche politiche.
E se no, come avresti/avremmo potuto far politica (oltre che vivere, ridere, scherzare, amare) ? Come ci suggerivi agendo, quel “tanto meglio!” andava preso sul serio, non come uno sberleffo rassegnato: perché là sulla cengia sottile si apriva lo spazio delle realtà possibili, provvisorie ma pur sempre fatte di montagne e funghi e alberi, di carne e sangue, blut und boden, di tanti bravi operai comunisti con le idee chiare sulla propria dignità e liberazione del e dal lavoro e tanti giovani studiosi pieni di idee e conoscenze su come cambiare una città. Di duro ma entusiasmante lavoro libero (del tornio a controllo numerico e dello spirito).
Per uno scettico conseguente, della propria morte non si dà esperienza, non si può raccontarla a nessuno, non esiste (non si può viverla). Del proprio dolore, della propria agonia sì però! (almeno sinché non si va in coma). E anche della morte degli altri c’è evidenza (sempre che gli altri non siano forse - il dubbio! - solo una folla di automi con un mantello e un cappello, come ipotizzava il signor Descartes).
E qui, caro Massimo, purtroppo son morti a vagoni. Tante persone care anche vicine. E secondo l’OMS, Europa (senza l’articolo) ne rischia un altro mezzo milione con Omicron. Hai governato una città che con la peste non è andata tanto per il sottile a suo tempo, e che era arrivata a perdere un terzo dei suoi abitanti. Non è tempo di confusio fra lo stato di emergenza della Protezione Civile (!), i bravi pensionati con la giacca catarifrangente che accolgono gentili nei centri vaccinali, e lo stato di eccezione schmittiano (uno che diceva ‘ste robe all’esame l’avresti bocciato). Non è tempo di cavilli (infondati).
Sarebbe tempo di tentare di comprendere (alludi giustamente a Documanità di Maurizio Ferraris) una realtà che scienza e tecnologia umane hanno trasformato (o compiuto) ad una velocità inedita, e che include fra l’altro – promuovendoli paradossalmente a nuova produzione inconsapevole di valore - anche i deliri “a-social” (spiegabili ma inescusabili nel merito) di quella composita fascia di dropout che forse hai in animo per l’ennesima volta, generosamente, di “non regalare alla destra” (peraltro, inseguendo il federalismo, abbiam regalato il Veneto a Re Luca I…e ora sta andando peggio).
Probabilmente è anche tempo di riflettere criticamente su una stagione filosofica che è stata feconda sinché è stata ancorata al suolo dalla grave e “salda roccia” operaia (e poi ad una scelta umana e politica, comunque), ma che perso ogni desiderio di realtà “sbatte la testa/su fradici soffitti” come il pipistrello – naturalmente cieco – di Wuhan.
Con affetto
Sandro Moro