“Il vento è un musicista: il suo pianoforte è il bosco intero, con la betulla bianca e il pino nero” recita la poesia di Gianni Rodari dedicata a un fenomeno atmosferico che, nello stesso tempo, può rappresentare il più fastidioso degli ostacoli e il migliore degli alleati. Con il medesimo candore dello scrittore e poeta di Omegna, anche il giovane cantautore maremmano Lucio Corsi è in grado di cogliere con il proprio sguardo il lato positivo di ogni cosa. Così nell’omaggio alla bora di Trieste, dove canta “che il vento no, non era un freno ma una spinta, utile per tenere le nuvole in viaggio, per chi è fermo e non trova il coraggio, vento che spinge sia le barche che gli uomini, se non riescono a muoversi” e nel primo singolo dell’ultimo fortunato album, dove all’aria finiscono tutti i sogni di gloria, ma senza rimpianti: “Buttando nel vento il lavoro di anni, perché nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi”. Un artista che si veste come i suoi miti del glam rock anni ‘70, realizza videoclip che son più dei cortometraggi curatissimi e incuranti delle tendenze di mercato grazie all’amico e regista Tommaso Ottomano, fa ancora disegnare (nonostante la firma con una etichetta come la Sugar) le copertine dei dischi dalla madre e se ne frega di partecipare a quelli che in tanti coetanei considerano l’unico modo per emergere: “Non voglio saperne di tutto ciò che riguarda i carrozzoni televisivi come talent o Sanremo, che trovo squallidi”. Niente compromessi. Solamente tanto impegno per la cura di tutti gli aspetti che riguardano il mestiere di musicista. Una consapevole innocenza, che gli ha permesso di ottenere risultati discografici e recensioni entusiastiche, ma soprattutto complimenti che andrebbero tatuati: “Le tue canzoni sono per bambini, quindi per tutti”. Rodari concludeva il componimento con queste parole che, come le canzoni di Lucio, sono l’atteggiamento più bello che si possa rivolgere alla vita. Ancor di più, in giorni di scoperta del nuovo mondo post pandemia: “Suona, suona e non si stanca, suona una musica senza parole; ma, per chi sa capire, la sua canzone vuol dire: via le nuvole, fuori il sole!”.
Serve il coraggio di non adeguarsi a un modo di fare musica che funziona a tutti i costi. I talent? Li trovo squallidi
Come hai affrontato la pandemia che ci ha investito? "È stato un dispiacere, però ho cercato di ragionare. In campagna, dove abito e mi sono rifugiato, l’uomo è fermo, bloccato, ma il mondo va avanti e se ne frega della nostra situazione. Questo fa riflettere. Ho provato in tutti i moti a usare quei momenti nella maniera migliore, che vuol dire portarmi avanti con le canzoni. Non è facile, perché ci vuole anche un clima di serenità per farlo. È difficile estraniarsi completamente dal contesto. Aspetto e spero di suonare presto dal vivo, visto che sono stato interrotto dopo solo due concerti del tour e mi sono sentito un po’ strozzato. Però la musica in questi momenti è di minore importanza, rispetto alla salute". Il tuo primo album si intitolava “Bestiario musicale”, un omaggio agli animali che ami e che hanno fatto parte della tua infanzia. Oggi gli animali, in assenza dell’uomo, si sono ripresi un po’ del loro spazio. Una piccola rivincita, ma durerà? "È positivo, ma quando finirà questa situazione, speriamo presto, di certo non si vedranno gli stambecchi passeggiare nei centri cittadini. Anche se, ogni tanto, succedeva anche senza Coronavirus. A Castiglione della Pescaia di notte mi sono imbattuto più volte in cinghiali che scorrazzavano per le strade. Più che altro mi impressiona che funzioni tutto senza di noi. La primavera ce la siamo persa, ma lei ha continuato tranquilla per il suo corso. Ci fa riflettere sul nostro peso nel mondo". Come vivi il mare di informazioni che ci arrivano addosso ogni giorno: con preoccupazione, o preferisci distaccarti e pensare solo alla musica? "A momenti. Mi informo, perché è importante, ma nonostante il Coronavirus. A volte, però, mi isolo per scrivere e disegnare. Stare in campagna aiuta, non sono chiuso in un appartamento a Milano, ed è stata una grande fortuna per trascorrere un momento come questo". Quando la gente comune o tanti tuoi colleghi cantavano dai balconi, che effetto ti ha fatto? "Non penso ci sia un atteggiamento giusto, ognuno è libero di fare come vuole. Personalmente ho preferito il silenzio. È importante anche nella musica. Penso che non si debba per forza suonare. Non parlo delle persone comuni che sentono di esprimersi o distrarsi al balcone o alla finestra, ma più che altro degli artisti che lo fanno per lavoro. Io personalmente ho deciso di aspettare, senza video dirette o simili. C’è un momento per fare musica e un altro per stare in silenzio. Non bisogna per forza suonare e farsi sentire in tutte le situazioni. Non credo fosse la condizione adatta, almeno per me. Quando sarà finito tutto tornerò a suonare dal vivo, anche più di prima, con maggiore energia, divertimento e voglia. Ora preferisco star zitto". Prendendo spunto dal tuo precedente singolo Cosa faremo da grandi? In una precedente intervista ti avevo chiesto come ti vedi tra dieci anni. Mi hai risposto: “Alto, con il naso lungo e tre occhi. Una mutazione. Entrerò nella crisalide, prima o poi. Devo solo scegliere il ramo giusto”. Sono passati solo alcuni mesi, ma pensi di aver scelto il ramo giusto? "Ancora no, non è un processo così rapido. Però non si sa mai. Abbiamo parlato qualche mese fa e ora ci troviamo in questa situazione assurda che, se ce l’avessero detto allora, non ci avremmo creduto".
Il mio look è l'influenza del progressive-rock alla Peter Gabriel, che impersonava i protagonisti delle sue canzoni sul palco
Nel singolo Trieste rendi omaggio al vento che caratterizza quella città. Com’è nato questo brano? "È una riflessione sul vento, perché è un elemento atmosferico che mi ha fatto ragionare più volte. Ho cambiato opinione al suo riguardo. Prima lo vedevo come una cosa poetica, ma molto fastidiosa. Diciamolo, spesso rompe le palle. Invece, poi, ho notato che ha delle particolarità e delle caratteristiche davvero interessanti. Anzi, favolose! Per esempio, riesce a portare giù il suono delle campane dalle coline, oppure a fischiare pur non avendo né labbra, né denti, né lingua che a noi umani sono necessari per emettere suoni e invece lui riesce a farlo tranquillamente senza. E poi è un freno, è vero, ma se ti giri di spalle lo puoi sfruttare in modo totalmente opposto, come una spinta. E a Trieste di vento se ne intendono, e infatti lo hanno rivalutato". Per spiegare il brano Freccia Bianca hai dichiarato: “È l’antico spirito di un capo indiano che risale la penisola al galoppo tagliando in due le città che incontra e portandosi via i giovani del luogo. Solo lui può addentrarsi nelle bocche spalancate delle montagne in Liguria, per poi sparire nel manto bianco della pianura padana”. Cosa avevi assunto quando l’hai scritta? "Ah ah, no no, nulla. È un tratto di ferrovia che conosco bene, quella del treno Freccia Bianca che risale la penisola fino a Milano e con le sue svariate fermate tra una montagna e l’altra della Liguria ti permette di scorgere questi lampi di mare tra una galleria e l’altra. Parla di questo spirito che ruba i giovani delle città e li porta via, verso il Nord. Con le droghe non ho mai avuto rapporti, non sono mai stato interessato. Mi hanno cresciuto così, e ho altre forme di dipendenza. Come con le sigarette, ne fumo una quantità industriale però mi garbano da morire pur sapendo che fanno male. Ognuno ha le proprie dipendenze". In ogni videoclip che pubblichi, la musica e la parte visuale sembrano un tutt’uno e non il secondo la conseguenza della prima. In questo, quanto conta il tuo rapporto con il regista Tommaso Ottomano, con il quale collabori da sempre? "Portiamo avanti una fratellanza artistica da tanti anni. Anche lui è un maremmano che sta a Milano. Con lui ho un rapporto molto bello, ci divertiamo avendo la stessa direzione estetica, c’è un gran feeling. Ci divertiamo a inventarci insieme i video e mi segue anche a livello fotografico. È l’amicizia che ci permette questa libertà creativa e mi fa piacere che si noti con dei buoni risultati". Anche il tuo abbigliamento e il trucco sono molto curati. Se dovessi spiegare un outfit “alla Lucio Corsi” come lo definiresti? "Viene da una formazione musicale. Sono cresciuto ascoltando il progressive-rock, dove si ritrovano le trasformazioni di Peter Gabriel con i Genesis. Cioè l'impersonare sul palco alcuni personaggi dei brani. In seguito, sono stato influenzato dal glam rock anni ’70: Lou Reed, David Bowie, Roxy Music, Brian Eno, T-Rex. C’è un filo conduttore fra queste correnti, questi stili musicali ed estetici, che comprende la trasformazione e il trucco. Mi ricorda molto le favole, un mondo onirico che amo. In generale, non penso solo alla musica, ma anche alla copertina o come porterò quelle canzoni sul palco, cercando di creare un mondo studiato in tutti i suoi aspetti. Questo dà valore al progetto di un disco. Il resto si è creato nel corso degli anni. Come diceva Paolo Conte “il musicista sul palco si mette di tutto punto, perché avviene un incontro importante tra lui e la canzone”.
In questo periodo storico è importante tracciare nuove vie, provarci in maniera seria. Zero compromessi
Una delle tue grandi passioni è il mondo dei motori. Allora, quali sono le auto che vorresti nel tuo box se avessi fondi illimitati? "Una Lotus Seven Caterham e una Porsche 911 degli anni ’70. Sono le mie due auto preferite". Il complimento più bello che ti hanno fatto finora, dopo l’uscita dell’album? "Lo scrittore Bruno Tognolini mi disse: “Le tue canzoni sono per bambini, quindi per tutti”. Mi è rimasta impressa come immagine, mi ha fatto molto riflettere". C’è qualche artista emergente che segui con interesse e con il quale, magari, ti piacerebbe collaborare? "In questo momento, anche se sono già abbastanza conosciuti, Aldous Harding, Connan Mockassin e Ariel Pin. Loro mi piacciono un sacco. Ma in questo periodo ascolto tantissime cose vecchie, per cui mi ispiro al passato. Per il momento, preferisco cercare ciò che c’è stato e imparare da lì". C’è qualcosa che non sopporti dello showbiz musicale, ora che anche tu ne fai parte? "Secondo me è necessario compiere una distinzione, stiamo attraversando un periodo storico nel quale è importante tracciare altre vie e provarci in maniera seria. Zero compromessi. Altrimenti, non c’è verso di uscire dal flusso della moda del momento. Bisogna distinguersi rimanendo fedeli alla nuova traiettoria e non toccare tutto ciò che riguarda carrozzoni televisivi come i talent show o Sanremo, che trovo squallidi. Così, a livello musicale, avere il coraggio di non adeguarsi a un modo di fare musica che funziona a tutti i costi. Non è quello che deve riguardare la musica, che è una forma d’arte e di espressione vera e sincera. A me va bene così, non me ne faccio un problema per quello che non ho. Io sto nel mio. Mi interessa fare canzoni che mi rendano soddisfatto, il resto non mi tocca". “Non faccio questo mestiere per farmi ricordare”, hai dichiarato più volte. "Tutto viene scordato, non è l’obiettivo, sennò non ha senso fare canzoni". Che rapporto hai con la solitudine? "Fortunatamente il fatto di essere nato e cresciuto in campagna mi ha abituato. Si impara a stare da soli, è fondamentale nella vita. Anche senza vicini di casa, come invece non posso fare altrimenti a Milano. La solitudine mi ha permesso di appassionarmi alla musica, che solo in un momento dopo hai voglia di condividere. Ma per crearla devi stare da solo. È importante saperci stare da soli, perché spesso ci si trova in solitudine nella vita e perciò se lo sai fare è meglio, sennò impazzisci o vai incontro a scelte sbagliate e quindi molto rischiose. E poi, come diceva Piero Ciampi “per imparare cos’è la solitudine bisogna esser stati in due”. In questo momento condividi la tua solitudine con un’anima gemella? "In questo momento no. Anzi, da un bel po’ di tempo. Ma non è un peso. Succede. Quando ricapiterà, senza troppe ossessioni o paranoie, sarò aperto a ricondividere la mia solitudine". Sintetizzando, l’esistenza è segnata da tre fattori: la vita, l’amore e la morte. Tu hai mai pensato a come vorresti lasciare questo mondo? "In modo spettacolare! Con una scossa da un amplificatore di una chitarra distorta, fulminato sul palco. Oppure cadendo in volo da un aereo su una bella Jaguar nera fiammante".