Francesco Montanari è un artista particolare, di quelli che non vediamo molto in Italia. Amato da tutti, ha conquistato un pubblico trasversale dai tempi in cui interpretava il Libanese in Romanzo criminale.
Visto in televisione da poco nel film di Fabio Resinaro Ero in guerra ma non lo sapevo, oggi fa la spola tra Narni e Roma nel nuovo ruolo di codirettore, con Davide Sacco, della stagione di prosa del teatro Manini, dove con Lino Guanciale si esibisce nell’opera di Sacco stesso L’uomo più crudele del mondo.
Montanari mantiene una semplicità rara, intervistarlo ha il sapore di una chiacchierata con un amico, quelle fatte sotto casa mentre ci si rolla una sigaretta per farsi passare l’ansia, un po’ come, per dirla con Jack Kerouac, dei bambini all’angolo della strada che parlano della fine del mondo.
Tu vivi l’arte come condivisione, sia come direttore artistico che come spettatore? La pandemia come le piattaforme on-demand non ci hanno privato di questo aspetto dell’arte?
La condivisione è una conditio sine qua non dell’arte, è il tentativo purtroppo fallimentare di sopperire a certe mancanze, sul perché siamo nati, ognuno si trova delle spiegazioni, se le trova. Il principio, soprattutto, del mio lavoro è di comunicazione, parti dal principio di raccontare una storia. La pandemia ha messo in discussione i vecchi modi di vivere proponendo nuovi modi. Il cinema in quanto sala cinematografica ha subito danni enormi a livello culturale, con tutte le piattaforme a disposizione con un prezzo mensile che è l’equivalente di un biglietto del cinema, hai una moltitudine di offerte. Il teatro come tutti gli spettacoli dal vivo ha la natura dell’esclusività. A livello di inconscio collettivo è un evento irripetibile, non definibile, carnale, non reiterabile. Nella pandemia ci è mancata la condivisione carnale.
Nel tuo lavoro c’è un fil rouge, una ricerca sul concetto di umanità: come mai?
L’indagine umana è quello che rende un’opera (cinema, teatro, televisione) di valore ossia di interesse profondo che non si riduca soltanto all’entertainment (che va benissimo anche solo quello). L’indagine umana ci porta a empatizzare, non credo di dovere dare delle risposte a chi guarda i miei prodotti, ma di dare della dignità e umanità al personaggio che devo rappresentare. Tramite il mio lavoro ti spingo a porti delle domande che ti indirizzino verso una scelta, migliore o peggiore non lo so. Purtroppo o per fortuna il pubblico ha a che fare quotidianamente con la crudeltà individuale e collettiva. Che significa crudeltà? Io non faccio un lavoro filosofico o speculativo, io faccio un lavoro carnale, compio azioni che sono leggibili in quanto tali.
Come vivi la distinzione tra l’uomo e l’artista nell’epoca dei tribunali social
Questa eliminazione di un artista appartiene alla cultura americana, ma anche alla nostra cultura borghese, le cose vanno fatte ma non vanno dette! Oggi nella gogna pubblica ne paghi le spese. Io sono favorevole al #MeToo ma trovo assurdo che siano stati addirittura confiscati gli Oscar a Kevin Spacey. Parliamo per parossismi e utopie, se Dante fosse stato un criminale (qualsiasi accezione vogliamo dare alla parola) ha un valore il fatto che abbia scritto la Divina Commedia? Io non ho risposte.
Ero in guerra ma non lo sapevo è un buon film, ma parlandone con Marco Giusti è venuta fuori la percezione che predominasse la paura di venire etichettato come un film di destra o, per dirla con Giusti stesso, dare l’idea che fosse un film commissionato da Matteo Salvini e Giorgia Meloni…
La cosa che mi ha fatto mettere corpo e voce in Ero in guerra ma non lo sapevo è proprio la strumentalizzazione dei media per un interesse personale (non so quale) che porta delle conseguenze specifiche a un individuo. Quanti di noi subiscono una strumentalizzazione? Succede ovunque, anche al bar, figuriamoci in quest’epoca social. Nel film è emblematico il fatto che chi ha ucciso il rapinatore non è stato lui, Pierluigi Torreggiani. Però Torregiani era la figura ideale per la stampa, era in vista come imprenditore, era un borghese super partes, ma rimaneva un commerciante a cui attribuivano una certa ideologia. Posso garantire che a Luca Barbareschi il film non è stato commissionato da Salvini o dalla Meloni. Non è un film che racconta un periodo storico, il periodo storico è un pretesto, il tema è la strumentalizzazione.
Le femministe definiscono la guerra tra Russia e Ucraina una questione da maschi bianchi cis-etero, e dicono che ci sono molte altre guerre che non interessano a nessuno…
Posso dirlo? Questa è una stronzata apocalittica, e io sono il più grande femminista della storia. La guerra è un problema trasversale e porta conseguenze trasversali.
La polemica si sta estendendo al ruolo che gli influencer, sui social, dovrebbero avere in relazione alla guerra…
Non voglio parlare della guerra, però mi fa sorridere questa cosa che mettiamo il nostro giudizio rispetto a tutto. Che una influencer parli della guerra è una cosa importante perché è divulgativa, nessuno chiede loro di fare una indagine sociologica, nessuno se lo aspetta. Dipende come sfrutta la sua posizione. Io sono uno che in questo periodo storico, vedendo ciò che succede in Ucraina, difficilmente riesco a fare un post sulla mia vita quotidiana, perché mi sento in difetto rispetto alla tragedia, perché sono preoccupato, ma se lo fa un altro non lo considero di certo un coglione. Certo, lì per lì mi viene un moto dispregiativo, ma quanto dolore c’è nel mondo anche quando non c’è una dichiarazione di guerra così manifesta? Se volessimo vedere cosa ci accade attorno ci sono le onlus a informarci, eppure la maggior parte delle cose che succedono nel mondo non ci colpiscono umanamente. Ma questi sono argomenti mortali.
Con l’esperienza e la consapevolezza di oggi rifaresti dei ruoli in modo diverso?
Tutti, li rifarei tutti. Poi potrebbero venire peggio, o semplicemente diversi. Se dovessi rifarei il Libanese oggi sarebbe diverso. Romanzo criminale è diventata, ormai, una affermazione culturale.
Perché hai scelto Narni per questa nuova avventura di direttore artistico?
Narni perché in realtà ho fatto sette spettacoli lì ospite del Teatro Stabile dell’Umbria, poi c’è il livello umano, c’è genuinità, si sta bene, il teatro è meraviglioso. Con Ilaria Ceci e Davide Sacco abbiamo vinto il bando. Da Roma è molto comodo, è vicino, Ilaria e Davide hanno comprato casa qui. Narni è bellissima, avevamo già fatto il festival estivo Narni Città Teatro. Questa estate ci saranno 30 spettacoli, al chiuso e all’aperto, ci saranno dalle 4.000 alle 5.000 persone in quei tre giorni, il 17-18-19 giugno.
Perciò la provincia diventa un “teatro” di sperimentazione?
Ci dà modo di cominciare e imparare una esperienza di direzione artistica. È più accessibile della metropoli, hai tutto a portata di man , il sindaco di Narni (Francesco De Rebotti) lo conosciamo benissimo, c’è una semplicità apparente, hai diretto contatto con le persone. L’anno prossimo iniziamo la formazione, una vera e propria accademia per professionisti o aspiranti tali, vogliamo diventare un teatro di scambi, noi ospitiamo e veniamo ospitati all’estero. È un progetto ampio che si strutturerà nei prossimi sei anni. È una esperienza che ci dà risultati meravigliosi.
Quando inizierà la tournée de L’uomo più cattivo del mondo?
Da dicembre andremo in tournée in tutta Italia.
Potresti darti alla regia in futuro?
Sì, lavoro molto come direzione attoriale, e ho fatto la prima regia di me stesso in un monologo al Teatro Belli a Roma per la rassegna Rodolfo Di Giammarco su tutta la drammaturgia contemporanea inglese. Con Davide Sacco produrremo lo spettacolo che dirigerò io, ma sono ancora indeciso tra due testi che al momento non dirò. Poi certo mi piacerebbe anche la regia cinematografica.
Per dirla con Truffaut, tre libri che consigli di leggere la prossima settimana?
Dei libri direi Pastorale americana (il mio preferito) di Philip Roth, Tomás Nevinson di Javier Marías (a proposito di indagine umana e crudeltà) e una novella meravigliosa di Borges, Funes il memorioso.
E tre film da vedere domani?
Il lato positivo, Greenbook e Quasi amici, ma li avrete già visti tutti.