In Italia i festival sembrano stare benissimo, se si escludono alcune date flop e diversi problemi a livello organizzativo. La Siae nei giorni scorsi ha pubblicato l'88esima edizione del suo Rapporto su spettacolo, intrattenimento e sport. Secondo i dati, Marracash nel 2023 con il suo Marrageddon è stato il king per numero di spettatori. Un festival (definito erroneamente da alcuni "il primo festival rap") che ha conquistato il pubblico, con 83.981 spettatori. Numeri importantissimi per il rap, ma anche per l'Italia dei festival. Se guardiamo però a breve distanza, in Inghilterra, ci troviamo davanti ad una situazione drammatica.
Secondo Aif (Association of Indipendent Festivals), associazione nazionale no-profit del Regno Unito che rappresenta gli interessi di oltre 200 festival musicali indipendenti, sono cinquanta i festival britannici che hanno annunciato il rinvio, la cancellazione o la chiusura totale nel 2024. Senza un intervento, si prevede che nel 2024 il Regno unito vedrà scomparire oltre cento festival a causa dei costi, imprevedibili e crescenti. A mettere una pietra tombale sui festival, ancor prima dei costi, è stato il Covid. Con novantasei eventi persi a causa della pandemia, trentasei nel 2023 e cinquanta nel 2024, il numero totale di festival britannici scomparsi nel 2019 è di Centoottantadue. Sebbene la crisi, come riportato da Rockol, riguardi soprattutto eventi medio-piccoli, non ha risparmiato neanche quelli storici, come il Towersey Festival, evento giunto alla sua sessantesima edizione che unisce folk, world music e danze tradizionali. In generale ogni volta che un evento, storico o nato da poco, non è un buon segno. "Questo è un punto deplorevole per il settore dei festival del Regno Unito" ha spiegato John Rostron, Ceo dell'Aif. "È il momento più difficile per i festival indipendenti, che hanno un disperato bisogno di un intervento da parte del governo entrante prima he altri eventi cadano inevitabilmente. La nostra ricerca suggerisce che circa cento festival getteranno la spugna prima della fine dell'anno e altri saranno a rischio nel 2025 se non ci sarà il sostegno fiscale temporaneo di cui hanno bisogno".
Se la situazione in Inghilterra sembra essere drammatica, in Italia invece vediamo i festival macinare numeri impressionanti. Un esempio su tutti è quello degli I-Days. Francesco Prisco nella sua rubrica "Money, it's a gas", dedicata all'economia della musica ai tempi dello streaming, ha raccolto i numeri del festival milanese, che a fine maggio aveva venduto oltre quattrocentomila biglietti. Guardando ad un altro festival estivo di rilievo in Italia, Rock in Roma, non sono ancora disponibili i dati di vendita, ma nel 2023 l'evento ha venduto circa duecentonovantamila biglietti, puntando a fare di meglio quest'anno. Tutto questo potrebbe dimostrare che a livello di numeri i festival italiani stiano benissimo. Ma non è tutto oro quello che luccica. Perché di problemi ne abbiamo visti tanti in passato e continuiamo a vederne. File interminabili e mal gestite, ingressi senza controlli, utilizzo dei token che rimane ancora un mistero per i più. E a tutto questo si aggiungono coprifuochi, problemi agli impianti audio (e non diamo interamente la colpa ai fonici) e artisti non proprio entusiasti di esibirsi davanti al pubblico italiano. Tutti segnali che dovrebbero suggerirci che i numeri non bastano a rendere un festival un successo e che, se gli eventi muoiono lontano da noi, non significa che non sia arrivato il momento di ripensarli anche qui in Italia.