La prima inquadratura di una prossima serie televisiva intitolata “Inviati”, dedicata appunto ai cronisti, ai giornalisti, talvolta precari, che presidiano il suolo della cittadella politica romana in attesa dei cosiddetti “dichiaratori”, le cui parole, da brochure di circostanza, sono destinate ai Tg, dovrà mostrare piazza Montecitorio al mattino della giornata parlamentare. Una serie non meno attesa di “Vita da Carlo” dell’apprezzato Verdone, dell’ennesima “Suburra” o d’ogni titolo di produzione turca. Carrellata sull’obelisco di granito rosso, a commemorare le vittorie dei Romani sugli Etiopi e da Augusto innalzato nel 10 a.C., poi sulla facciata dell’hotel “Nazionale”, scelto da Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir per le giornate romane; alcuni li ricordano seduti ai tavolini di un bar della piazza, accanto al cinema “Capranichetta” mentre sorseggiano birra, vestiti di bianco, lei in camicione e foulard sulla testa, lui in sahariana. Ora, sotto la pensilina dell’albergo, nereggianti nei piumini, oppure a ridosso delle aiuole che delimitano il sito, pronti allo scatto, troviamo invece loro, gli inviati in attesa, metti, di Maurizio Gasparri, cravatta azzurra ministeriale che incede twittando o Angelo Bonelli di Alleanza Verdi e Sinistra, il “fratello d’Italia” Tommaso Foti e perfino il 5 stelle Francesco Silvestri. Per gli inviati c’è da conquistare il “sonoro” per i Tg, infine riservare attenzione anche al "giovane" forzista Alessandro Cattaneo, un volto che ricorda, sebbene ormai cresciuto, il protagonista del toccante “Incompreso” di Luigi Comencini. S’intende che nella serie i politici interpretano sé stessi. Per Gasparri menzione speciale nei titoli: “Con l’amichevole partecipazione di Maurizio…”.
Nello stesso scorcio, come piantoni, la squadra di “Striscia la notizia”: l'imitatore di Elly Schlein, parka e megafono, cui è accostata una collega con parrucca bionda come fosse Maria Rosaria Boccia e infine, accanto a quest’ultima, un bambino cosplayer dell’ex ministro Gennaro Sangiuliano: la calotta posticcia di gomma sulla testa a restituire la calvizie ferita in verticale. Altri figuranti del format di Antonio Ricci dovrebbero mostrare invece, il volto travisato dalla bandana rossa, molotov in pugno, presunta imitazione dei giovani “antifa”, che l’estroso Matteo Salvini, dimenticando il protocollo ministeriale, dopo gli scontri con la polizia a Bologna, ha bollato "zecche rosse, comunisti, delinquenti da centri sociali". La musica idonea ai titoli di testa potrebbe essere “Era già tutto previsto” di Riccardo Cocciante, come nel discusso lavoro di Sorrentino, o magari la sempre valida “Feelings”, interpretata al sax tenore da Fausto Papetti, citato recentemente da un'assessora lombarda di Fratelli d’Italia, palmarès genetico da vantare: “La cultura? Respirata in famiglia: mia nonna era la sorella di Fausto Papetti”. Seguirà una carrellata sui carabinieri che presidiano l’ingresso di vicolo del Vicario, dove il 14 luglio del 1948 il catanese Antonio Pallante sparò a Palmiro Togliatti; su un muro dell’edificio adiacente dovrebbe esserci ancora traccia di un foro lasciato da uno dei proiettili. La prima scena pertinentemente tematica mostrerà però lo scatto improvviso di tutti gli inviati, testate video e giornalistiche cartacee, intuito l’arrivo di un Maurizio Gasparri: Rai, Mediaset, La7, Ansa, Adnkronos, Alanews, La Presse, Tag24, Antenna Sud, Tv2000 e, non meno da menzionare per solerzia professionale, Radio Birikina, Radio Bellla & Monella. Esaurito il versatile Gasparri che, sempre occhi sul cellulare, starebbe replicando ai puntuali suoi detrattori su X, la successiva presenza istituzionale da catturare sul nodo dei migranti spediti dalla Meloni in Albania potrebbe essere Augusta Montaruli, sottosegretaria di FdI, nel suo palmarès una condanna in via definitiva per “spese pazze” in Piemonte: un anno e sei mesi per peculato. 25mila euro di “acquisti illeciti con soldi pubblici che comprendono vestiti griffati Hermès, articoli di pelletteria e cristalli Swarovski, ma anche seimila euro per uno studio sulla propria reputazione social e 4.800 per un corso sull’uso dei social network. Nonché spese che i giudici definiscono ‘stravaganti’ ed ‘eccentriche’, come il libro ‘Sexploration’, sottotitolo: ‘Giochi proibiti per coppie’”, riportano le cronache. Intendiamoci, tutto questo nella serie “Inviati” è solo sottointeso, secondario, irrilevante, immagine di sfondo in campo lungo, lunghissimo, non meritevole di zoom, poiché la missione narrativa, segnatamente mito-poetica del prodotto, del format, ciò che un tempo avrebbe preso il nome di sceneggiato televisivo, telefilm o più ordinariamente fiction, da destinare con certezza di riscontro di ascolti ai palinsesti di Netflix, Sky, Paramount+, Disney+, Amazon Prime Video, Infinity+, ecc…, riguarderà unicamente la concreta rilevanza umana, ancor prima che professionale, dell’insieme, si è detto, degli inviati e delle inviate stessi. Consegnargli infine la “nomination” che dà diritto al primo e al primissimo piano, all’evidenza mediatica che porti perfino il turista di passaggio a chiedere loro un selfie.
Che si sappia infine tutto degli intendimenti, dei sentimenti, dell’interiorità, delle biografie e perfino di ciò che Jacques Lacan definisce “istinti desideranti”: inviati e inviate finalmente protagonisti e protagoniste. La serie renderà tutto questo possibile. Ingiusto che finora li si sia inquadrati di spalle, trafelati, cellulare o telecamera “Osmo” pronta nel tascone, insieme agli operatori, questi ultimi cui, non meno ingiustamente è inflitta la condanna dell’anonimato che, lo afferma Jack Lang, già ministro della Cultura di François Mitterrand, “è la morte della democrazia”. Nulla esclude che la serie “Inviati”, sia pure en passant, possa sfiorare perfino i disoccupati Angelo e Veruska che, seduti sui gradini di un portone accanto alla caffetteria “illy Montecitorio”, a giorni alterni piantonano l’ingresso degli uffici dei gruppi parlamentari di fronte per raccogliere un obolo in denaro. Probabilmente, così come “La grande bellezza” si apre con l’autista di pullman turistico davanti al Fontanone del Gianicolo che pronuncia al cellulare: “Oh, m’hai veramente rotto er cazzo!”, allo stesso modo, facendo ritorno all’immobilità delle cose vere, concetto platonico ripreso da Camus ne "La morte felice", sfumato il sax di Papetti, uno dei protagonisti della serie, rivolto all’autore di questo racconto, avrà cura di chiosare la parlamentare meloniana che ribadisce ogni contrarietà all’immigrazione davanti ai microfoni con parche parole: “Nun pare, ma è davero un gran pezzo de fregna”. Roma, un giorno di novembre, il cielo d'azzurro mite accarezza i turisti di passaggio, sciamano verso piazza Colonna sfiorando Palazzo Chigi, diretti magari in via Veneto, dove ogni traccia della Dolce vita è stata infranta da incuria e abbandono, vanno nella certezza di trovare ristoro nel locale da Flavio Briatore consegnato all’Urbe, che, ingrata, lo ha invece multato per gli addobbi floreali di plastica che ne ornavano l’ingresso. In via degli Uffici del Vicario entrano ed escono intanto commessi, assistenti parlamentari, postulanti, mangiapane a tradimento, cognati, deputati e deputate d’ogni filettatura antropologica ancor prima che politica, in blazer blu, da intuire, pensando ai maschi, acquistato presso “Davide Cenci”, nella vicina via di Campo Marzio, simbolo assoluto d’ogni possibile vestiario politico che voglia approssimarsi al “generone” cittadino tra Vigna Clara, Vigna Stelluti, Fleming, Monti Parioli, “la piccola Londra” al Flaminio, forse anche ai comprensori più periferici di Arvalia e Grotta Rossa o Ipogeo degli Ottavi in fondo alla Cassia. Quanto alle deputate: non è da escludere "De Clecq & De Clercq" o "Bomba" per le piddine lettrici di Concita De Gregorio, "Gente" per le altre. Questo nella serie si troverà, a contrasto con il casual campale degli inviati e delle inviate, che adesso sciamano verso “illy Montecitorio” per una sosta, c’è familiarità con chi sta dietro il bancone: “Umberto, mi prepari un caffè? Mi raccomando lungo, magari al vetro”. Proprio “Inviati” si chiamerà la serie, nonostante, nei desiderata dei suoi ispiratori, sarebbe più giusto “Tonnara”, nel senso di tutti loro appassionatamente addosso al “tonno”, al “dichiaratore”, poco importa se nuovamente Maurizio Gasparri o ancora Augusta Montaruli. Si conoscono tutti tra loro, nei momenti di attesa nulla esclude che nascano relazioni, cui seguono presto tormenti sentimentali, da conseguenti effusioni sessuali, magari di nascosto in vicolo della Guardiola, un passo dopo il bar-gelateria "Giolitti", rivalità, le scene di sesso sono d’altronde d’obbligo in ogni fiction che voglia convincere il pubblico, le produzioni turche insegnano. Infine, per le festività del Natale, si ritrovano tutti a cena al ristorante. Sappiano da subito Elio Germano, Luca Marinelli, Alessandro Borghi e lo stesso Pierfrancesco Favino che per il ruolo di protagonista c'è già Peppe Ferrante, inviato, collaboratore storico de La7, altrettanto a lui l’incarico di scegliere il locale per la cena conclusiva. Quanto al ruolo femminile si tratterà di una scelta interna, nessuna speranza dunque per Margherita Buy. Per la musica sui titoli di coda si è però già prenotato Andrea Laszlo De Simone.