Sex Education arriva alla terza stagione su Netflix e Prime Video risponde con Sex Uncut. Non una serie, ma un talk condotto da Guglielmo Scilla per parlare, con esimi ospiti del calibro di Myss Keta e Fortunato Cerlino, di tutto ciò che si fa o si potrebbe fare senza vestiti. Mezz’ora a episodio, il primo è uscito su Youtube a una settimana dal lancio delle due puntate d’esordio sulla piattaforma streaming e ora che le abbiamo davanti entrambe possiamo dire di aver compreso il vero focus del format: insegnare quanto il sesso sia mortalmente noioso. Eppure, lo ricordavamo come un’attività pressoché divertente. Perché Sex Uncut ci vuole convincere del contrario? Probabilmente, nonostante la collaborazione con Durex, autori e cast stanno lavorando con il favore delle tenebre per Mario Adinolfi. No, sul serio, la connivenza è palese già a partire dal poster promozionale (realizzato, supponiamo con Word Art '98).
Partiamo dalla location: un salottino super colorato e dal design extra cool, di quelli bellissimi da vedere ma impossibili da vivere per più di cinque minuti. Ogni cosa presente nello spazio è una gioia per gli occhi, ma divani, poltrone, puff o mensole che siano, tutto dà l’impressione di volerti ferire. Di sfondo, una libreria piena di volumi palesemente intonsi che fa molto Zoom in lockdown quando ai giornalisti toccava di andare ospiti in tv, pretenziosetti. Perché tutto questo soffermarsi sul design? Perché l’ambiente scelto per il talk non aiuta a creare un’atmosfera accogliente. Nelle intenzioni degli autori, lo spettatore dovrebbe sentirsi ospite nel salotto di Guglielmo Scilla mentre il nostro Gu, vestito comodo come un incontro di boxe tra Lady Oscar e Mahmood, parla a ruota libera di sesso con i suoi amici. Però quello non è il suo salotto e quelle persone non sono suoi amici: lo si evince dalla prima puntata con Myss Keta e Cristiano Caccamo che gli citofonano per entrare salvo poi ammettere candidamente due minuti dopo, tutti e tre, che è la prima volta che si vedono. Ma qualcuno gli ha pur scritto delle cose da dire e allora tocca ripeterle più o meno spontaneamente per, come direbbe Renè Ferretti, “portare a casa la puntata”. L’atmosfera è più asettica di una sala operatoria di Nip/Tuck. Ah no, lì si parlava di sesso anche mentre si suturavano alluci valghi. Ed era divertente.
Scilla apre fa gli onori di casa (non sua) dicendo che Sex Uncut parte da un motivo ben preciso: “Il sesso non è super rappresentato sugli schermi”. E a due minuti dall’inizio siamo già alla prima boiata. Eccezion fatta per la rappresentazione del social-rapporto tra i Ferragnez, ogni cosa sui social è sesso. Perfino le pubblicità tentano malamente di fare divulgazione proponendoci assorbenti canterini e gag su dildi extralarge a ogni piè sospinto. Tutto si può dire, dunque, meno che il sesso non sia già stato completamente sdoganato “sugli schermi”, anzi, ad aprire Instagram verrebbe quasi voglia di ritirarsi a vita monastica dato che, nel bene o nel male, solo da vulve e simboli fallici le nostre retine vengono costantemente aggredite volenti o nolenti.
Loveline su Mtv aveva perfettamente senso nei primi anni Duemila perché a quei tempi davvero l’accoppiamento era tabù per i più giovani (ma un po’ per tutti) e, da quel che ne ricordiamo, era di sicuro strutturato meglio: banalmente, c’era del pubblico in studio (magari ora non si può per motivi pandemici, ce ne rendiamo conto) che interagiva con il parterre di ospiti tra vip e sessuologi. Inoltre, grande spazio veniva lasciato all’interazione, appunto, di chi guardava da casa e aveva dei quesiti che si vergognava a porre a Cioè come anche agli amici. Questa parte è totalmente assente in Sex Uncut che, al massimo, mostra scene spottone di serie Prime Video poco conosciute (Panic?) per aprire un dibattito che si rimpalla poi tra quattro gatti famosi su Instagram e un tizio (o una tizia) titolato a parlare di questi temi per motivi di studio pregresso. Si poteva fare di più, si poteva fare meglio.
Anche a livello di contenuti, l’apporto divulgativo è praticamente nullo e servito da personaggi non credibili. Possiamo infatti apprezzare Myss Keta, non esattamente un’orsolina, che professa: “Il sesso è una cosa che si fa da nudi, ma si può essere anche un po’ vestiti”. Di più, apprendiamo con piacere come la prima volta di Cristiano Caccamo sia stata “terribile” perché “c’era della gente nell’altra stanza”. Il tutto, dopo una chiacchiera sull’imene di una banalità disarmante, si chiude con Scilla che chiede alla telecamera: “Cosa abbiamo imparato oggi?”. Il target, almeno di questo episodio d’esordio, è palesemente indirizzato verso preadolescenti che non abbiano mai sentito parlare di sesso in vita loro ma la domanda (retorica) che sorge spontanea è: esistono simili creature?
Passiamo, sconfortati, alla puntata successiva dove il tema, perennemente falcidiato dalle telefonatissime gag di Guglielmo Scilla, è “Come spiegare il sesso ai bambini”. Quindi qui target genitori e parentado, come d’incanto, quando l’episodio precedente si rivolgeva (comunque male) a tredicenni arrapati. Tutto, narrativamente, irrazionale. Senza un filo logico, ammassato lì come fosse un panel di quelli che eravamo costretti a sorbirci in lockdown visto che non c’erano alternative di intrattenimento: quattro trentenni parlano di sesso con uno script (invadentissimo) redatto da chi avrà, ce lo auguriamo, almeno un paio di decenni più di loro. Poco Sex (comunque marzullianamente sottovoce) e per niente Uncut. Questo capita quando dai in mano la divulgazione sessuale a quattro star di Instagram abituate ai tempi dei 14 secondi di adv. Il sesso, però, non è una sponsorizzata. E Sex Uncut è la pubblicità che gli farebbe Pillon in una scuola di salesiani, sognando Pornhub.