Secondo uno studio realizzato dalla Music Industry Research Association, più del 50% dei musicisti ha rivelato di soffrire di disturbi depressivi costanti e quasi il 12% di aver avuto tendenze suicide. E si era ancora a prima della pandemia. Instabilità finanziaria, solitudine, facile accesso a droghe e ad alcol, cattive abitudini alimentari e di sonno, tensione nelle relazioni: sono alcuni degli aspetti che incidono negativamente sulla routine e sulla salute (anche e soprattutto mentale) dei creativi del settore musicale.
Tali disturbi, più che in altri scenari culturali, si manifestano assiduamente all’interno del mondo trap, un ambiente che richiede fiducia e successo commerciale costanti. Tuttavia, con l’aumento del denaro, della fama e della pressione, possono manifestarsi problemi come dipendenza e depressione, diventando trappole mortali sia per le stelle nascenti che per quelle affermate. La ricerca costante di un immaginario legato allo sfarzo e a una vita da sogno rischia di rivelarsi una fabbrica di giovani artisti che abbandonati a sé stessi smarriscono la sostanza dell’esistenza stessa trascinandosi inesorabilmente in un vuoto infinito. Ed è in questa spirale narrativa che ci porta Francesco Lettieri con il film Sky Lovely Boy.
Servendosi di questo immaginario culturale, diventato in questi anni un fenomeno sociologico a 360 gradi, Lettieri analizza e approfondisce il tema del disturbo mentale e della dipendenza e come questi si manifestino all’interno di un meccanismo così settoriale in cui l’individuo diventa un prodotto ulteriore a cui affibbiare gli stilemi del genere.
Incentrato sulla figura di Nic (Andrea Carpenzano), in arte Lovely Boy, lo sviluppo del film si articola su due line narrative parallele: da una parte la scalata improvvisa al successo degli XXG, duo composto da Lovely Boy e Borneo; dall’altra la vita in un centro di riabilitazione per tossicodipendenti in Trentino dove Nic cercherà di ricongiungersi con la propria vita dopo essere caduto nel vortice dell’oblio ed essere stato abbandonato totalmente dal sistema che lo ha creato.
Come spiegato dal regista, “Lovely Boy è un racconto su un eroe puramente nichilista, che non vuole niente, che non crede in niente e le cui motivazioni – sia rispetto alla musica, sia alla droga – sono del tutto interiori e non elaborate. Nic non sa perché si droga e non sa perché fa musica, non ha obiettivi: precipita a peso morto”.
Come in Sound Of Metal di Darius Marder, in cui il ruolo della comunità agisce nel processo di accettazione da parte del protagonista di una nuova realtà uditiva e sensoriale, in questo caso l’immagine di riscoperta della propria identità per provare a recuperare la propria vita è l’esperienza dei membri della comunità trentina: “Il senso di comunità è un sentimento che i membri provano di appartenere, di essere importanti gli uni per gli altri e per il gruppo, e una fiducia condivisa che i bisogni dei membri possono essere soddisfatti mediante l’impegno di essere tutti insieme”.
Altro elemento fondamentale è anche l’immaginario sonoro costruito da Paco Martinelli, autore e compositore della colonna sonora, e da Ilaria Formisano (Gomma), autrice dei testi degli XXG. Le composizioni originali sfruttano lo stile e le convenzioni musicali derivate dalla trap esplorando le varie sfaccettature del genere nel tempo, come l’inserimento delle chitarre tipico dell’emo trap o l’uso della classica drum machine 808, rendendo gli XXG un progetto credibile nella sua totalità estetica e musicale.
Francesco Lettieri, sfruttando il mondo della trap come spazio narrativo, ha il merito di mettere in scena una problematica non sempre trattata ed esplorata con queste modalità. I disturbi mentali, così come le dipendenze, esistono e permeano la società e l’industria musicale di oggi, e Lovely Boy attraverso la rappresentazione di una crisi generazionale ci mostra una realtà cruda in cui il finale non può che essere aperto verso uno scenario ancora sconosciuto.