Negli anni Novanta ho deciso che nella vita avrei fatto lo scrittore. Questo subito dopo aver capito che ero uno scrittore, il che, lo so, può sembrare una ovvietà, ma che un’ovvietà non è affatto, e soprattutto, fosse un’ovvietà davvero, avremmo molti meno libri in circolazione e molta meno gente che tiene i famosi libri nel cassetto.
Ho deciso che nella vita avrei fatto lo scrittore, dopo aver capito che ero uno scrittore, fatto che, confesso, mi è stato detto a chiare lettere da chi scrittore era, prima, e da chi era editore, che è un po’ come un certificato cui poi qualcuno mette un timbro, perché è vero che la scrittura è arte, e spesso l’arte non viene capita in vita, non fatemi, vi prego, citare Van Gogh, non ancora, o Bach, ci siamo capiti, ma è anche vero che difficilmente, parlo per me, uno capisce da solo quello che è e quello che sa fare, almeno in giovane età, dove appunto il fuoco sacro della passione a volte sopperisce alla carenza di consapevolezza, almeno della consapevolezza lucida, e dove qualcuno che ci chiami per nome, scandendo bene le lettere, magari appoggiandosi sulle sillabe, ci è di assoluto sollievo.
In realtà a darmi quella lieve spinta necessaria a provarci, a spingermi, cioè, a dire, boh, io forse ho questo talento qui, vediamo se questo talento qui mi porta da qualche parte, è stato un programma televisivo, e soprattutto alcuni specifici passaggi di questo programma televisivo, che si prendeva briga, a volte anche con agio, di raccontare i libri, così, a voce. Una cosa strana, quella di raccontare i libri, perché i libri sono già il raccontare di uno scrittore, più o meno linearmente, certo, ma quello sono. Come se uno decidesse di fare un programma tv nel quale si mette non a far vedere spezzoni di film o film interi, che è poi quello che un tempo la televisione faceva, i primi con il preciso scopo di invogliare poi la gente a andarli a vedere, quei film, al cinema o ancora dentro la televisione, i secondi logica conseguenza dei primi, primi che se confezionati ad hoc abbiamo imparato a chiamare trailer, ho scoperto di recente la differenza tra un trailer e un teaser, perché la pandemia mi ha fatto avvicinare da diverse case di produzione e sempre da quelle parti si finisce, come se uno decidesse di fare un programma tv nel quale, quindi, c’è un tizio che racconta le trame dei film, titolo provvisorio Spoiler, usando la propria lingua, il proprio stile, lingua e stile, intendiamoci, che poi potrebbe essere emulativo della cifra del regista e degli sceneggiatori, per fare quello che registi e sceneggiatori hanno fatto usando un’altra forma d’arte, raccontare, appunto.
Il programma di cui sto parlando, nel mio stile, ovviamente, rinviando in ogni frase il momento in cui poi dirò il titolo, un vezzo, certo, come quando certi scrittori, penso al mio amico e socio Gianni Biondillo, usano parole nella loro forma originaria, nonostante che diventa nonostante, è “Pickwick- Del leggere e dello scrivere”, programma che ha regalato alle masse, potrei dire se non fosse che stiamo comunque parlando di un programma di nicchia, roba da Rai3, che poi di nicchia un cazzo, perché i numeri che facevano certi programmi di Rai3, oggi, sarebbero visti come successi planetari, nessuno guarda più la tv, o quantomeno nessuno guarda più la tv tradizionale, quella con i palinsesti, i programmi stabiliti da qualcun altro, l’impossibilità reale di scegliere, l’on demand, programma che quindi ha regalato un grande numero di persone, diciamo così, Alessandro Baricco, da quel momento non più solo il tizio che si presentava in maniche di camicia, maniche per altro costantemente arrotolate, come certi calzettoni sulle caviglie di certi giocatori che ci volevano far sapere che loro erano fighi, forti, fortissimi, ma che non avevano neanche paura di chi la loro forza la vedeva come un problema, e con buona probabilità gli avrebbe con piacere spezzato una gamba con una entrata killer, ma loro niente, erano talmente fighi, forti, fortissimi da fottersene e umiliarli tenendo i calzettoni arrotolati sulle caviglie, senza parastinchi, senza paura dei loro tacchetti, da quel momento, quindi, non più solo il tizio che si presentava in maniche di camicia a parlare di libri, ma anche l’autore di libri, quelli sì, di un grande successo, uno da primo posto in classifica. Libri, va detto, che molto somigliavano ai programmi tv, lui che gigioneggia piacione, dotato del senso della frase, ma anche talmente consapevole di essere dotato del senso della frase da finirci a volte sotto, come di uno che a furia di andare sempre sulla ruota posteriore, in bicicletta, poi non sia più in grado di pedalare normalmente, un Harlem Globetrotter che di fronte a una partita regolare fa la figura dell’esibizionista poco concreto, lì a fare giochi e giochetti, senza concretizzare mai le azioni di gioco.
Lui, Baricco, comunque, di azioni di gioco ne ha realizzate parecchie, e non solo in libreria, appunto. E io gli sono anche piuttosto affezionato, proprio per quel suo modo di raccontare i libri a Pickwick, in televisione, che splendore che era la Rai3 di quegli anni.
Chiaro, col tempo ho smesso di leggere i suoi libri, per me diventati ridondanti, e ho anche smesso di leggere buona parte dei suoi articoli, figli del suo stesso stile.
Solo che giorni fa ho letto un articolo, ora lui alterna i suoi articoli su Repubblica a altri sul Post, immagino per questioni di etica e soprattutto di immagine, Repubblica è diventata davvero un posto imbarazzante nel quale scrivere, e ci sono di colpo ricascato dentro, come fossimo nei primi anni Novanta dentro la televisione di casa dei miei.
Il pezzo in questione, dal titolo Cinque anni in uno, diceva diverse cose interessanti, molto interessanti, vi invito a andarvelo a cercare, non intendo certo star qui a raccontarvelo tutto, non sono Baricco, appunto. Tra le altre, però, raccontava di come il 2021 sia in qualche modo diventato il 2025, come in un racconto di Philip K Dick, tutto accelerato verso l’avanti, lo smart working, la palestra e i corsi di spagnolo fatto online o su Whatsapp, anche il fatto che tanti anziani siano tristemente morti, sarebbe comunque capitato, solo con più calma e nel tempo. Tutto cambiato tranne un sacco di dettagli, ancora ancorati al passato, in realtà presente, fatto che lui trova, e io con lui, assolutamente irricevibile. Siamo dei sopravvissuti, questo il punto, perché mai dovremmo voler andare al cinema di prima come prima? Stessi divanetti sporchi, stessi manifesti orribili di fuori, stesse poltroncine consunte?
Ripeto, andatevelo a cercare che ne vale la pena.
Uno a questo punto dirà, ok, ci hai detto di Baricco, del Baricco anni Novanta, e del Baricco di oggi, e quindi?
Quindi anche io sono sopravvissuto, come tutti voi che mi state leggendo. Sono sopravvissuti anche quelli che non entreranno mai in contatto con questo mio scritto, del resto, ma non so se posso parlare anche per loro.
Quello che però so per certo è che, in quanto sopravvissuto, non credo di poter accettare che il mondo nel quale io ormai da anni mi muovo, quello della musica, possa anche solo lontanamente pensare di ripartire esattamente da dove si era fermato, piantato, immobilizzato un anno e mezzo fa. No, è assolutamente inaccettabile, perché è vero che siamo nel 2021, ma, esattamente come dice Baricco, è come se quest’ultimo anno ne racchiudesse in sé cinque, e la stessa musica demmerda, gli stessi inutili duetti posticci, fatti per mettere insieme pubblici che già di loro sono robetta, su motivi che si somigliano tutti, le stesse basi, le stesse frasi dette con gli stessi accenti, le sillabe slabbrate degli indie romani, quelle aperte a cazzo di cane dei rapper e trapper milanesi, ecco, tutto questo non credo che ce lo meritiamo.