Alle volte un cane è solo un cane, ma se questo si chiama Emilio può succedere che ti insegni qualcosa. Tipo la gratitudine. Ce lo racconta Ilaria Gaspari, e la immagino a coccolarlo mentre chiacchiera del suo nuovo libro “Vita segreta delle emozioni”, Einaudi edizioni.
Un saggio narrativo e filosofico dove Ilaria ci accompagna alla scoperta di dieci tra emozioni e passioni – anche e soprattutto quelle tristi. Tra aneddoti personali e filosofi antichi e nuovi, scrive la metamorfosi di questi nostri infiniti viaggi emotivi puntando il riflettore sulla nostra vulnerabilità … che ci rende tanto simili e tanto umani.
Non a caso Ilaria è la filosofa in ascesa di questa nuova generazione: è giovanissima eppure tra studi internazionali e pubblicazioni letterarie ha un curriculum da fare invidia a molti. Ho letto i suoi libri e ora ho potuto farle qualche domanda, mi perdonerete la prima ma proprio non sono riuscita a trattenermi. Dopotutto, come ci racconta in questa intervista, l’importante è riconoscersi nelle proprie urgenze, e inseguirle come si può.
Da studentessa di filosofia te lo devo proprio chiedere: come hai deciso di studiare filosofia? Dove hai trovato la tua vocazione?
Bella domanda! Diciamo che mi sono iscritta a filosofia perché avevo tante idee ma confuse, e speravo di riuscire a mantenerle. La verità è che non mi sono mai immaginata, nemmeno da piccola, in nessuna professione: non ho mai creduto sul serio che avrei fatto il medico o l’avvocato o l’architetto. Da bambina se mi chiedevano cosa farai da grande rispondevo, alternativamente, fiorista o poeta; da ragazzina, per colpa di Jo March, mi immaginavo scrittrice. L’adolescenza ha ridimensionato i miei sogni, ma quando mi sono trovata al momento di scegliere una facoltà, ho pensato che se mi fossi iscritta a lettere avrei perso il mio rapporto passionale con la letteratura – ho pensato che fosse meglio mantenerlo mio, clandestino in un certo senso, segreto; una relazione da coltivare solo per me, non per “lavoro”. Pensavo, poi, che studiare filosofia mi avrebbe dato un po’ della disciplina che, sentivo, mi mancava.
Quali erano i tuoi riferimenti allora?
Ero rimasta affascinata da alcuni filosofi letti sottobanco, forse anche un po’ per posa, per fare la cervellona nichilista-esistenzialista, al liceo: in particolare Nietzsche e Kierkegaard. Insomma, alla fine mi sono decisa; avevo una mezza idea di iscrivermi poi a psicologia e provare a diventare psicanalista. Purtroppo, non ho abbastanza disciplina da mettermici davvero, quindi temo che mi rimarrà il rimpianto.
Dalla lettura "lezioni di felicità" a "vita segreta delle emozioni" ho ritrovato punti fermi, come Seneca, Epicuro, Spinoza, ma anche delle novità: si nota una crescita della tua visione filosofica e un percorso di autoconsapevolezza. Questo periodo di chiusura ti ha portata su questa strada?
Oddio, grazie mille! Mi pare un bellissimo complimento, penso che sfidarsi ad allargare sempre di più lo sguardo, per chi scrive, sia importante. Diciamo che, anche se davvero non posso lamentarmi perché sono stata fortunata, è stato un periodo difficile. Ho avuto, ho ancora, molta paura, molta angoscia per quello che è successo – sinceramente non mi aspettavo di vivere una pandemia, e chi se lo aspettava? Di certo questa esperienza a cui mai e poi mai mi sarei augurata di assistere, come tutto ciò che fa parte della vita, ha avuto un impatto forte sul mio percorso interiore. Mi ha costretta a riflettere, a fare i conti con la mia stessa vulnerabilità. Con la debolezza che ci rende umani.
E quali letture ti hanno accompagnata?
Ho pensato spesso a una poesia di Ungaretti che avevo imparato a memoria alle medie – un’altra, oltre a quella che cito nel libro. Una poesia terribile e secondo me molto bella, in cui lui racconta di sé costretto a passare un’intera nottata accanto a un compagno ucciso, e al cospetto della morte scrive lettere piene d’amore. Certo, quella che racconta Ungaretti è un’esperienza estrema e non oso nemmeno immaginare come potrebbe essere viverla davvero, non immaginarla per pura empatia letteraria; ma devo dire che questa prossimità della morte, della minaccia della malattia, che il virus ci ha imposto, mi ha fatto comprendere davvero gli ultimi versi di quella poesia: non sono mai stato/tanto/attaccato alla vita.
Quale fra queste emozioni è emersa in te con più urgenza? Darne una spiegazione razionale ti ha aiutata a comprenderla?
È una bella gara! Sicuramente ho sentito moltissimo la nostalgia, in un modo quasi crudele, anche perché il libro l’ho scritto in quella sorta di esilio dal mondo che è stato, per tutti, il lockdown. Poi molto molto intenso è stato scrivere il capitolo sulla compassione, perché è un’emozione che mi sconvolge profondamente. E invece è stato bellissimo, liberatorio, lavorare sulla gratitudine. In generale, sì, il lavoro di ricerca, diciamo di storia delle idee, che ho fatto su ognuna di queste emozioni mi ha aiutato molto soprattutto a perdonarmi, a perdonare l’emotività in me stessa e negli altri. È stato bello, consolante anche se non consolatorio… spero tanto che questa sensazione di un perdono laico, immanente, tutto umano, arrivi a chi legge il libro.
Il torneo dell'antipatia letteraria mi ha esaltato molto. Abbiamo bisogno anche degli antipatici, e di accettare di esserlo alle volte.
Penso proprio di sì! Mi sono divertita tantissimo a scrivere il capitolo sull’antipatia, devo dire. Finalmente ho fatto i conti con la mia simpatia per gli antipatici letterari, e con l’antipatia dei simpatici a tutti i costi. Penso che accettare con serenità l’antipatia, nostra e altrui, sia una vera sfida, ma che ci possa liberare da molti complessi. Io per esempio mi sono resa conto di aver sofferto tantissimo, in passato, all’idea di poter risultare antipatica: il libro mi ha aiutata a prendere le distanze da questo timore e anche a riderci su. Il che è sempre molto utile…
Hai avuto paura analizzando queste emozioni, mettendoti a nudo in un libro? Se possiamo inserirla fra le emozioni principali…
Ti dico solo questo: il giorno che ho chiuso le bozze del libro, la sera stessa, mi sono azzoppata un piede. L’ho preso come un incidente freudiano… Il fatto è che per me era molto importante essere sincera nel raccontarmi: faceva parte proprio del progetto del libro, di quel tipo di difficoltà che volevo attraversare perché non fosse un esercizio vuoto, ma qualcosa di vivo. La paura, e la vergogna, che ho sentito e ancora sento se appena appena ci ripenso, facevano proprio parte del gioco: me ne sono voluta far carico, perché volevo che fosse un libro autentico e non un compitino.
Quello che mi ha più colpito è stato l'utilizzo della tua esperienza personale, della tua vita privata, in primis l'esperienza con Emilio (anche io ho dei cani, comprendo bene il tuo amore).
Emilio, come mi ha fatto notare il giornalista Luca Mastrantonio a una delle prime presentazioni del libro, è chiaramente il coautore di questo libro! Un po’ perché l’ho scritto durante il lungo lockdown, periodo durante il quale il mio cane costituiva il 30% circa delle mie frequentazioni… ma, più seriamente, perché questa esperienza di adottare un cane, come avevo desiderato fin dall’infanzia, e il rapporto che, senza parole, si è stabilito fra noi, per me è stata emotivamente fortissima. Mi ha molto scossa perché mi ha portata finalmente a capire delle cose che ancora, per me, erano astratte – cosa significa prendersi cura di qualcuno, come mi rapporto con una spontaneità assoluta io che sono tanto cerebrale. Diciamo che ho la sensazione di aver permesso a questa esperienza di sconvolgermi profondamente, abbassando le difese: in questo, e per questo, somiglia a un’esperienza infantile. Infatti, per lo più i ricordi che riporto nel libro, e che sono tutti legati per associazione a emozioni che ho provato con particolare intensità, sono legati o all’infanzia o al mio rapporto con il mio cane: contesti, insomma, in cui sono stata completamente esposta alla vita perché non sapevo proprio che cosa aspettarmi.
L'ossessione dell'ostentazione di gioia ci ha portati fuori strada. Tu sostieni di aver necessità di abbracciare anche i nostri momenti di oscurità. Cercando di essere grati anche nei momenti difficili. Ristrutturare la parola felicità ed emozione è importante?
Penso proprio di sì. Penso che abbiamo molto bisogno di ripensare a cosa intendiamo per felicità; di smettere di inseguire un’impossibile levigatezza emotiva, che alla fin fine ci costringe a diffidare di tutto quello che ci rende deboli, imperfetti, spaventati… in una parola, vivi. Penso che la pretesa di vivere al riparo da quanto, di tremendo, di angoscioso, anche solo di perturbante, fa parte della vita, ci renda molto più ricattabili da parte delle “passioni tristi”. Allargare il concetto di felicità ad abbracciare anche le contraddizioni, anche le zone d’ombra, ci renderebbe, al contrario più liberi; così come vincere finalmente la diffidenza nei confronti delle emozioni, di un sentire immediato che ci coinvolge nel corpo e nella mente insieme.
La gioia cresce con la comunicazione verso gli altri... Ti senti sulla strada giusta come scrittrice?
Purtroppo, io fatico molto a sentirmi sulla strada giusta… non mi ritengo mai del tutto soddisfatta, penso sempre che posso – che devo! – migliorare. È un atteggiamento molto ottimistico nel suo apparente pessimismo, no? In ogni caso, ho sempre bisogno di guardare quello che ho fatto in prospettiva, da una certa distanza, per capire cosa volevo fare davvero, e perché. Come se il percorso che sto facendo mi si disvelasse solo in un secondo momento; come se ci fosse, nel fatto di seguirlo, una forma di saggezza che riesce a esistere proprio perché inconsapevole, e imprevedibile. Non so se mi spiego. Penso che sia una cosa in realtà abbastanza comune: seguiamo urgenze il cui disegno ci si rivela solo quando, proprio inseguendole, abbiamo già tracciato il cammino. Ecco, quello che posso dire è che questo libro sentivo, pur senza decifrare la sensazione che avevo, di doverlo scrivere da molto tempo, dai tempi della mia tesi di dottorato. E proprio perché dentro di me ho sempre creduto nell’importanza di condividere i frutti dello studio. C’è una bellissima proposizione di Spinoza, nell’Etica, che dice sostanzialmente che la conoscenza del genere più alto, la “scienza intuitiva” si accresce per condivisione, anche solo immaginando il maggior numero possibile di persone impegnate in quello stesso slancio conoscitivo. Credo che questa immagine abbia messo radici in me.
Hai dedicato questo libro agli sconvolti, sperduti, agitati, frammentati. Quasi quasi mi ci metto dentro. Comunque, a chi ti riferisci?
A chiunque si sia lasciato scuotere, una volta o l’altra, dalla vita, che ci squassa tutti, direbbe Saffo, come il vento fa con le querce di montagna. Penso che siamo tutti un po’ frammentati; che tutti conteniamo moltitudini, e che sia importante imparare ad accettarlo. Perché poi, da vicino, nessuno è normale.