Oggi, 19 febbraio 2021, sono 5 anni senza Umberto Eco.
Riassumere la sua persona in qualche riga è impresa difficile. Ci possiamo provare.
Saggista, scrittore, medievista, professore universitario, filosofo, massmediologo: anche senza sapere nell’esattezza la mole e l’importanza dei suoi lavori – e ricordiamoci il plurale – risulta praticamente impossibile ignorare questo nome.
Classe 1932, alessandrino, fu direttore della casa editrice Bompiani (dal 1959 al 1975) e componente di una storica neoavanguardia letteraria, il Gruppo ‘63. Tra le sue innumerevoli occupazioni spicca l’universitaria.
Nella sua carriera decennale a Bologna, infatti, contribuì alla formazione di nuovi corsi di laurea - il DAMS e Scienze della Comunicazione - e chiunque passi per la Rossa oggi lo può ri-trovare in qualche corso di semiotica o su qualche murales.
La cattedra di semiotica, di cui fu professore dal 1975, tratta dello studio dei segni (dal termine greco σημεῖον) e come questi abbiano un significato.
Eco analizzò come la teoria della semiotica fosse applicabile a vari ambiti conoscitivi, per esempio al mondo dell’arte – come viene interpretata una fotografia da una popolazione che non conosce la prospettiva?
Definendo la semiotica come “la disciplina che studia tutto ciò che può essere usato per mentire” risulta necessario domandarsi cosa possa essere strutturato su una menzogna. Un esempio fra tutti, il più lampante: Il romanzo, testo bugiardo.
Ed è proprio alla stesura di romanzi che si dedicò, intrecciandola al suo lavoro di professore e studioso di storia e filosofia medievale: nel 1980 pubblicò “Il nome della rosa”, Premio Strega nel 1981, best seller mondiale tradotto in 47 lingue, da cui fu tratto il celebre film omonimo di Annaud del 1986. A “Il nome della rosa” si susseguirono numerosi altri romanzi fra cui: “Il pendolo di Foucault” nel 1988, “Baudolino” nel 2000 e “Il cimitero di Praga” nel 2010.
La produzione di Eco è esempio di unione fra competenze differenti, dove filosofia e semiotica si mescolano e si uniscono, saperi interdisciplinari a servizio della narrativa. È proprio questo il nodo focale in Eco: l’unione di saperi e la consapevolezza che esista un legame fra ogni cosa.
Tutto ciò emerge chiaramente in un nuovo mastodontico volume a lui dedicato che viene pubblicato proprio oggi dalla casa editrice La nave di Teseo, fondata dallo stesso autore nel 2015: “La filosofia di Umberto Eco”, edizione italiana a cura di Anna Maria Lorusso. La prima edizione fu pubblicata nella collana Library of Living Philosophers nel 2017 (casa fondata nel 1938, famosa per le pubblicazioni su grandi filosofi e scienziati di cui Eco è l’unico italiano).
Sono 900 dense pagine di critica al suo mondo filosofico ad opera di una ventina di studiosi, perlopiù internazionali. In questo volume si presenta come una summa del suo pensiero che cerca di abbracciare tutti gli ambiti da lui indagati: dalla pubblicità alla televisione, dalle arti visive ai fumetti, alle questioni filosofiche della verità, della realtà, del linguaggio e della sua cognizione. Non a caso Eco viene qui definito “il più interdisciplinare studioso ad oggi e il più ampiamente tradotto”.
La filosofia di Eco ricerca un ordine del mondo, si interroga su come poter dar senso e significato: la via da percorrere rimane l’interrogazione del passato, estrapolandone concetti che possano aiutare alla comprensione del presente. Dare importanza alla divulgazione dell’informazione è quindi fondamentale: non a caso, l’intera biblioteca privata di Eco - di oltre 30.000 volumi - è stata donata per 90 anni all’Università di Bologna e alla collettività.
Il regalo che ci lascia “La filosofia di Umberto Eco” è una sua autobiografia intellettuale in cui per la prima volta si racconta, partendo dai momenti legati all’infanzia, ricordando i nonni come principali maestri, proseguendo con i tempi legati alla carriera studentesca, ripercorrendo il cammino di una vita che lo ha portato al successo planetario, e infine lasciando riflessioni sulle soglie della morte. Cosa egli, in definitiva, ritenne fondamentale raccontare di sé.
Ad emergere, poi, in modo incessante è la necessità della continua domanda filosofica: la riflessione infatti è l’unica peculiarità che ci distingue dagli altri esseri viventi. Ci lascia, coerentemente con questo, con due consigli che possono risultare preziosi per chiunque li voglia ascoltare: non dimenticare mai di coltivare empatia e ironia.
La prima deriva dalla consapevolezza del legame indissolubile che ci unisce e dalla necessità della costruzione umana:
“Penso che la vera dimensione etica inizia quando l’Altro appare sulla scena. Anche i laici virtuosi sono convinti che l’Altro sia dentro di noi. Non si tratta di una vaga inclinazione emotiva, ma di una condizione fondamentale. Così come non possiamo vivere senza mangiare o dormire, non possiamo capire chi siamo senza lo sguardo e la risposta degli altri.”
La seconda, come caratteristica e strumento tipicamente umani: gli uomini sono gli unici esseri viventi che hanno coscienza della propria mortalità e che utilizzano l’ironia per combatterla.
“Non prendersi mai troppo sul serio mi è sempre sembrato il giusto atteggiamento filosofico.”
L’elenco di buone ragioni per cui la filosofia rimane e rimarrà sempre fondamentale è corposo ed il cuore della sua importanza è nella sua stessa ragion d’esistere: come diceva Aristotele la filosofia nasce come reazione ad atti di meraviglia, e finché continueremo a meravigliarci continueremo inesorabilmente a riflettere.