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"Lo smartworking è il trionfo del Capitale.
Basta resilienza, è ora di tornare alla rivoluzione”.
Diego Fusaro esce con un libro su Gramsci
e attacca la Milano di Sala

  • di Niccolò Fantini Niccolò Fantini

1 febbraio 2021

"Lo smartworking è il trionfo del Capitale. Basta resilienza, è ora di tornare alla rivoluzione”. Diego Fusaro esce con un libro su Gramsci e attacca la Milano di Sala
Il più schietto intellettuale contemporaneo, ci racconta perché oggi è indispensabile il pensiero filosofico di Antonio Gramsci e Karl Marx. Ma soprattutto come mai i due grandi pensatori non vivono nella Milano "turbocapitalista" e "cosmopolitica" del sindaco Beppe Sala

di Niccolò Fantini Niccolò Fantini

Diego Fusaro, classe 1983, insegna storia della filosofia allo IASSP (Istituto alti studi strategici e politici) di Milano ed è un attento studioso della storia del marxismo e dell'idealismo tedesco e italiano, nonché allievo indipendente di Hegel e di Marx. Nel 2021 è in libreria con "Bentornato Gramsci", edito da La Nave di Teseo. È uno dei più schietti intellettuali contemporanei e ci ha raccontato perché oggi è indispensabile il pensiero filosofico di Antonio Gramsci e Karl Marx. Ma soprattutto ci ha spiegato nel dettaglio, come mai i due grandi pensatori non vivono nella Milano, "turbocapitalista" e "cosmopolitica", del sindaco Beppe Sala. 

Come mai nel 2021 è attuale un libro sul pensiero di Antonio Gramsci?

Quest'anno ricorre il centenario della nascita del partito comunista, a Livorno. E il libro su Gramsci è un tentativo di onorare adeguatamente quella data, col pensiero del più grande teorico del comunismo che abbiamo avuto in Italia, a mio modesto giudizio: Gramsci è il più originale inteprete di Marx e del marxismo.

Cosa ci può insegnare oggi e che cos'è esattamente, la "filosofia della prassi"?

Di Gramsci valorizzo soprattutto l'idea di filosofia della prassi, infatti il sottotitolo è: "11 tesi di filosofia della prassi". Cos'è, in estrema sintesi? Si tratta della filosofia che ritiene che non vi siano leggi necessitanti, nella natura o nella realtà obiettiva, ma che l'oggetto dipenda dal soggetto, dalla prassi umana. Come dice Gramsci: "l'oggetto in realtà è prassi e divenire". Significa che non c'è una realtà data, immodificabile, che noi dobbiamo rispecchiare così com'è. Ma significa invece che la realtà è l'esito del nostro fare, nella storia. Questo è in sostanza, la filosofia della prassi: è pensare l'oggetto, ovvero la società in cui viviamo, non come un cristallo immutabile, ma come un gioco di forze, di trasformazioni. Come prassi, che si può trasformare, come una realtà diveniente. Ecco, banalizzando un po', questo è ciò che ci lascia il pensiero di Gramsci.

Quindi, da "Bentornato Marx" (2009) a "Bentornato Gramsci" (2021), perché sono ancora contemporanee le categorie del pensiero marxista?

Le categorie di Marx le ritengo ancora vitali, così come il pensiero del suo allievo novecentesco, Gramsci. Ma perché Marx è irrinunciabile? Innanzitutto per capire le contraddizioni del regime capitalistico in cui viviamo oggi. Le categorie di Marx ci aiutano a comprendere molto di ciò che stiamo vivendo, che è la vittoria del Capitale. Perché i ceti medi si sono precarizzati e i precari oggi sono sostanzialmente ciò che, ai tempi di Marx, era il proletariato. E in secondo luogo perchè oggi il Capitale ha colonizzato l'intero tempo della vita. Ai tempi in cui Karl Marx scriveva, il Capitale arrivava ai cancelli della fabbrica o poco più in là. Adesso il Capitale ha invaso la vita intera. Quante volte capita di rispondere a una mail o a un messaggio di lavoro, magari la sera o mentre si è in bagno? Oppure di sacrificare, sempre sull'altare della produzione, il tempo della propria vita, le ore che in verità dovrebbero essere impegnate a compiere altre attività?

 

La nota divisione della giornata di 24 ore: 8 ore per lavorare, 8 per riposare e 8 per vivere?

Sì, esatto: oggi non c'è più. Non esiste più alcuna divisione, tra: un tempo della vita e un tempo del lavoro. Proprio perché tutto il tempo della vita è stato acquisito, con forza, dal Capitale.

Quindi anche il lavoro agile, il tanto citato smartworking, è un risultato della vittoria del capitalismo?

Lo smartworking è il trionfo, decisivo, del Capitale! Primo perché implica che non ci sia distinzione tra tempi della vita e tempi del lavoro. E in secondo luogo perché colonizza lo spazio domestico: la casa diventa un luogo del Capitale, abitato da individui solitari. Gli essere umani infatti non sono più, gomito a gomito, coi propri compagni, con cui possono maturare la "coscienza di classe", come la chiamava Lukacs.

Il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha dichiarato a fine gennaio: "Cambieranno alcune cose e lo smart working è un esempio del cambiamento": per i cittadini e i lavoratori meneghini è un cambiamento positivo o negativo?

«Il lavoro smart può essere oggetto di elogio solo dalla parte del Capitale. Anche i lavori di un bravissimo sociologo come Domenico De Masi, mettono in luce gli effetti ottimi del lavoro, ma non per il lavoratore. Magari per il piano della produttività, oppure per il piano dell'accumulo di capitali, ma mai per il lavoratore. E qui ce lo insegnano, ancora una volta, proprio Gramsci e Marx: la società del Capitale è spaccata in due, ciò che è bene per uno, per l'altro è un male. Che lo smartworking sia ottimo per le classi capitalistiche dominanti, non mi stupisce per nulla. Il fatto è che diventa un gravame terribile per le classi lavoratrici: è questo il punto che va sottolineato.»

Milano mostra già la "nuova normalità": smartworking, bikesharing, monopattini, DAD, riders, delivery... cosa ci aspetta nel prossimo futuro?

«Le classi dominanti tutelano, giustamente dal loro punto di vista, il loro dominio. Le classi dominanti potenziano il dominio di classe della società. E quello verso cui stiamo andando è: un iper-capitalismo, un turbocapitalismo, come lo chiamo da tempo. Milano è, dal mio modesto punto di vista, l'osservatorio privilegiato per vedere cos'è la globalizzazione in Italia: Milano è la città più cosmopolitica che abbiamo. Con tutto ciò che, di bene e di male, c'è a Milano. Ma sorprende vedere tanti giovani: precari, istruiti e ipersfruttati, che anziché trasudare rabbia, ribellione e volontà di resistenza da tutte le parti, non vedono invece l'ora di integrarsi nei valori e nelle dinamiche dello stesso mondo che li aliena.»

Nel 2021 "rivoluzione" è un termine demodé, come mai si è diffuso invece il concetto di "resilienza"?

Pare che oggi il valore fondamentale non sia più la ribellione, la rivoluzione e tutta la galassia, marxista e gramsciana, dei valori di antagonismo. E viene infatti narrata la resilienza, ma che cos'è? Tecnicamente è la capacità di subire un colpo, senza avere traumi e danneggiarsi. Siate resilienti, in realtà vuol dire: state zitti, incassate e andate avanti. Che è da sempre il messaggio del padronato e dei suoi intellettuali.

Quindi per salvarsi c'è bisogno oggi di riscoprire la filosofia?

La filosofia è il tentativo della vita di comprendere sé stessa e di ragionare su di sé e sulle proprie attività. La nostra è un'epoca che fa, senza pensare. Tanto più fa, tanto meno pensa. Come dice una nota pubblicità: "just do it", fallo e basta. Invece non bisogna sospendere il fare, ma magari rilfettere su quello che stiamo facendo. Oggi è un'epoca iper accellerata, mente Hegel diceva che "la filosofia è la pazienza del concetto" e quindi ci vuole la capacità di fermarsi un attimo e riflettere su cosa stiamo facendo. Per farlo meglio, se lo stiamo facendo bene. Oppure per non farlo più, se lo stiamo facendo male. Ma in ogni caso serve a essere consapevoli di cosa stiamo, o non stiamo, facendo.

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