È uscita la nuova edizione de “Il Compromesso” per Mattioli1885, con diversi inediti. Si tratta di uno dei libri più intensi di Elia Kazan, scrittore e regista greco naturalizzato statunitense, co-fondatore nel 1947 dell'Actors Studio di New York con Cheryl Crawford e Robert Lewis. Definito dal New York Times come «uno dei registi più onorati e influenti nella storia di Broadway e di Hollywood», è legato a film entrati nella storia del cinema come Un tram che si chiama Desiderio (1951), Fronte del porto (1954) e La valle dell'Eden, oltre che a pellicole spesso incentrate su temi impegnati e questioni sociali quali l'antisemitismo (Barriera invisibile, 1947), Il razzismo (Pinky, la negra bianca, 1949) e i disturbi psichiatrici (Splendore nell'erba, 1961).
Per l’occasione, vi anticipiamo la prefazione, rinnovata rispetto all’edizione precedente, sempre scritta dal curatore del volume e critico letterario Gian Paolo Serino che trovate di seguito.
Quello che state per leggere non è un romanzo: è la storia di un uomo che si chiama Eddie Anderson ma che potrebbe benissimo chiamarsi Elia Kazan. Perché non c’è niente di più autobiografico di un romanzo. E se questo vale per la maggior parte degli autori, vale in particolare per Elia Kazan. I suoi romanzi sono indissolubilmente legati al suo percorso umano e artistico.
Fondatore dell’Actors Studio, regista di film come Un tram che si chiama Desiderio, Fronte del porto, La valle dell’Eden (solo per citare alcuni dei più noti), vincitore di cinque Premi Oscar, Elia Kazan è un artista che è stato relegato dietro le quinte del proprio genio. L’America non gli ha mai perdonato il fatto di aver collaborato con la Commissione McCarthy durante quella “caccia alle streghe” che negli anni ’50 tinse di rosso le carriere di tanti attori e registi allontanati da Hollywood perché accusati di essere comunisti. Kazan ne mise all’indice parecchi. E in molti misero all’indice lui. Fino a farlo sparire. Fino a condannarlo a un oblio che nessuna macchina da presa avrebbe mai riscattato. Fino a umiliarlo, a pochi anni dalla sua morte, consegnandogli un Oscar alla carriera che fu più una gogna che un riconoscimento. Niente applausi per Elia Kazan, solo uscite di scena. Solo un inchiodarlo alla pellicola di una vita che non si perdonò mai. I libri di Kazan, e in particolare Il compromesso, sono la testimonianza di quanto Elia Kazan soffrì intimamente per il suo esilio. Eppure, molti sono gli aspetti poco chiari di questa vicenda. Come poco chiari sono sempre stati gli atti di collaborazionismo. Basti pensare al caso di Louis-Ferdinand Céline: uno dei più grandi autori della letteratura di ogni tempo, tra i primi a intuire come la velocità dei nostri tempi (im)mediati avrebbe influito sulle nostre esistenze non solo di carta. Eppure anche Céline è stato rimosso: scrivere del suo genio è come mettere le dita bagnate d’inchiostro in una presa elettrica. Difficile uscirne.
Anche scrivendo di Elia Kazan si rischia il cortocircuito.
Per fortuna a parlare per lui ci sono i suoi film: non solo i più noti, ma anche e soprattutto quelli sconosciuti al grande pubblico che pongono parecchi dubbi su come siano andate effettivamente le cose. Si pensi, per esempio, a Un volto nella folla: tratto dal racconto di Budd Schulberg Your Arkansas Traveler, è ancora oggi una delle accuse più moderne su come la televisione avrebbe cambiato il nostro modo di vedere, di sentire, di pensare.
E poi, per fortuna, a parlare per Elia Kazan ci sono i suoi libri, e in particolare Il compromesso: un romanzo, pubblicato nel 1967, che anticipa in modo straordinario quella rivolta contro i “valori” della media borghesia che avrebbero infiammato gli anni ’70. Kazan intuisce come il sogno americano si sarebbe ridotto non solo in un “incubo ad aria condizionata” ma in un incubo in technicolor che ci avrebbe portato al nostro oggi, a un mondo che al sangue nelle vene ha sostituito il plasma alle pareti. Esattamente come si legge in questo romanzo: “Per esser più precisi, non avevo nessun bisogno di case, di giardini, di piscine, di un ufficio, di una segretaria, di un telefono interno, di tre macchine e di un milione di dischi e di libri. Non avevo bisogno di altri vestiti. Nello stato d’animo in cui ero quella notte, non avevo neanche bisogno di mangiare. Potevo nutrirmi di aria umida e di visioni notturne. Mi sentivo il corpo più leggero, più sottile e tutto sommato invincibile.”
L’eccezionalità del Kazan scrittore è di essere andato “oltre il giardino” di un’America destinata a imporre un modello di vita USA e getta.
Come Richard Yates, Bernard Malamud e John Cheever, Elia Kazan ha inchiodato sulla pellicola della carta quel mondo di falsità borghesi destinate a impiccare la vita a nodi regimental. Dietro la scena del “compromesso” ha raccontato le illusioni e i fallimenti degli intellettuali americani destinati, nella maggioranza dei casi, a trascinare la propria esistenza tra i velluti radical chic di un’opposizione subito pronta a passare dagli scontri agli scontrini.
Elia Kazan ha sempre (ri)fiutato gli schemi. Controcorrente è rimasto folgorato. Da un mondo che non perdona nessuno tranne se stesso. Un mondo che non assolve: dissolve.
Elia Kazan è stato un Jack Kerouac che ha indicato una strada, prima che la strada facesse lui. Ed è forse questo, più che l’ombra di collaborazionismo, che l’America non gli ha mai perdonato.
Malgrado superi di gran lunga le cinquecento pagine, Il compromesso si legge come un racconto: è un page-turner, come gli americani definiscono i romanzi che non si riesce a smettere di leggere. Un romanzo che, con largo anticipo, ha lo stesso meccanismo narrativo delle serie televisive più moderne. Se ormai davanti alla televisione facciamo delle vere e proprie maratone, così capita con questo libro: impossibile staccarsi dalle pagine, perché, pur essendo stato scritto a metà degli anni ’60, Il compromesso è tutt’altro che datato, anzi: parte dall’idea di Elia Kazan che i libri dovrebbero parlare ai lettori senza lasciare loro una via d’uscita. Non si deve dire “Parla di altri” o “un caso molto particolare” o “Questa gente è eccezionale”. Il punto saliente del libro dimostra semplicemente che la società condanna un uomo che rompe gli schemi e lo accusa di essere imprevedibile e pericoloso e, dunque, cerca di tenerlo a freno, di metterlo ai margini. E quindi la sua vera novità consiste nel rendere i protagonisti maschere sociali, riflesso di come siamo noi che troppo spesso non siamo individui, ma prototipi di individui.
Il protagonista, Eddie Anderson, il cui vero nome è Evangelos Topouzoglu, greco-americano di seconda generazione, è un mago della pubblicità della West Coast.
Ha una moglie intelligente, una bella casa, tre macchine, pulsanti per tutto (televisori, porte di garage, allarmi per orologi da
polso, irrigatori da giardino), e una bellissima donna per amante: sarà lei a fargli capire che non è felice.
Da quel momento in poi, Eddie cerca di riorganizzare una vita che è diventata una serie di “arrangiamenti” (come il titolo originale The Arrangement) – compromessi, adattamenti e aggiustamenti che hanno distrutto la sua autostima. Lo sforzo prende la forma prima di un ritiro catatonico, seguito da crisi isterica esistenziale. Abbandona la moglie, insegue la sua amante a New York e affronta il suo vecchio padre greco, che, come Eddie, sta morendo, anche se solo fisicamente.
Kazan non cade mai nel melodramma perché la sua scrittura è lo specchio di noi che lo leggiamo e che ci ritroviamo, più o meno tutti, a riflettere sulla nostra vita. È ciò che vuole Kazan, in questo libro come in tutti i suoi film: far alzare il lettore e lo spettatore dalla sedia e far loro prendere in mano i pulsanti della propria esistenza.
Attraverso la storia di questo dirigente pubblicitario di mezza età, che sta veramente vivendo il sogno americano – una carriera di successo che lo ha reso finanziariamente sicuro e gli ha dato una moglie modello e una figlia talentuosa che frequenta il college – seguiamo la sua (p)resa di coscienza e iniziamo a odiare l’ipocrisia e i falsi valori che rappresentano il “compromesso” che ha fatto all’inizio della sua vita, mentre si accingeva a realizzare quel sogno.
Ma Eddie non riesce ad andare fino in fondo – il prezzo da pagare per dover rinunciare a tutto sembra esorbitante. Così si arrangia e cerca di mantenere il suo stile di vita.
Sino a quando fa pace con se stesso e ricomincia una nuova esistenza da contrabbandiere di alcolici e scrittore di racconti.
La narrazione in prima persona e il ritratto idiosincratico della vita di Eddie conquistano il lettore che può non approvare le sue bravate, ma tuttavia prova simpatia per lui. E alla fine si rimane con un pensiero persistente e forse fastidioso: quali sono gli accordi che ognuno di noi ha fatto nella propria vita personale e professionale?