Il nichilismo passivo-aggressivo per sopravvivere a un mondo che non ci apparteneva l’ha raccontato meglio di chiunque altro. Irvine Welsh. Senza di lui non ci sarebbe stato un film che ha tagliato in due una generazione: Trainspotting, ispirato parola per parola al suo libro. Senza di lui non avremmo goduto a leggere in mezza giornata le avventure di un investigatore corrotto, Il Lercio. Senza di lui, più di tutto, non avremmo avuto un romanzo passato in secondo piano, ma il suo migliore, il più potente, che in questo mese compie 20 anni. Colla.
È un romanzo attuale, perché Welsh è riuscito – non necessariamente in modo consapevole – a descrivere conflitti generazionali eterni e peculiari della natura umana. Welsh qui è fedele al suo stile anarchico. Un po’ romanzo realista – ma non troppo –, perché no, se nasci e cresci in una grigia Edimburgo anni 70 puoi raccontartela come vuoi, ma i casermoni color catrame e il puzzo di piscio agli angoli della strada non te li strappi via dall’anima; un po’ romanzo di formazione, perché in cinquecento e passa pagine seziona con perizia anatomica le vicende di quattro amici, accompagnandoli attraverso quattro decenni di vita, alcol, sesso, droga e morte.
Welsh rispolvera lo stesso universo narrativo di “Trainspotting” – e questa sarà una costante della sua produzione letteraria –, ma spoglia l’aspetto nichilistico del grande tema accentratore dell’uso di droga. Se in “Trainspotting” la risposta di Renton e compagni alla loro inettitudine sociale è farsi, farsi e poi ancora farsi, in “Colla” la droga è il supporting character che assume i contorni del classico rito di passaggio giovanile. In generale, la traccia narrativa abbandona la struttura frammentaria della raccolta di racconti e si costruisce attorno a una vera trama.
Carl, Andy, Terry e Billy, i quattro protagonisti, sono i membri archetipici della cosiddetta Generazione X, termine coniato dallo scrittore canadese Douglas Coupland nel 1991. Una generazione “invisibile”, che si identifica in un nichilismo dilagante e in un grigio pessimismo verso il futuro, ma soprattutto contraddittoria. Punk ma anche acid house, colorata e stravagante ma tetra. Perché sì, Love will tear us apart, ma con una pasticca in bocca e la martellante acid house in un night club inglese anni 70. È una generazione letteralmente schiacciata dallo splendore e dall’opulenza demografica della precedente, quella dei Baby boomers, che impose e cercò di mantenere in auge la sua visione del mondo, della morale e della cultura.
È la storia di un gruppo di amici cresciuti insieme tra risse, coltelli e primi amori, ecstasy e bottiglie di Tartan Special; ma c’è anche un forte e straniante sentimento di conflitto latente tra senso di appartenenza e voglia di andarsene da quella città portuale piena di drammatiche contraddizioni, capitale della cultura scozzese ma centro di una delle epidemie di AIDS più violente d’Europa negli anni 80. Grazie a una narrazione in prima persona, entriamo nella testa matta di Carl, il biondo ragazzetto appassionato di musica, unico protestante e tifoso degli Hearts in un gruppo di cattolici e tifosi dell’Hibernian FC; di Andy, il piccoletto del gruppo, orgoglioso e leale, tanto da essere disposto a farsi anni di galera – rovinandosi la vita – pur di coprire il crimine di un altro; di Terry, il grassone trasandato e straccione, ma dall’insospettabile successo con le donne; e infine di Billy, un duro con un cuore, l’aspirante boxeur professionista tormentato dall’incubo del suo fallimento sportivo.
Almeno tre dei quattro protagonisti riflettono in modo evidente il senso di oppressione avvertito nei confronti della generazione precedente, assimilandolo e rendendolo dominante nei rispettivi meccanismi di costruzione dell’Io. Carl passerà di donna in donna, inseguendo la chimera della storia d’amore pura e sognante vissuta dai suoi genitori, un amore quasi opprimente per la sua bellezza e che lo farà sempre sentire “un ospite della loro festa: un ospite adorato, ma la festa era loro”. Andy vestirà sin da bambino i panni dell’uomo di casa, dopo l’arresto del padre. Ma non riuscirà mai a calarsi completamente in un ruolo troppo grande per le sue fragili spalle e rimarrà schiacciato da un forte senso di responsabilità, finendo in un vortice di depressione e scelte sbagliate. Stesse premesse ma diversa sorte per Terry, che reagisce in modo opposto: rifugge le responsabilità, diventando croce e flagello di una madre lasciata sola dal marito fedifrago e consacrando la sua vita al sesso e all’edonistica ricerca del piacere in tutte le sue forme.
Il conflitto generazionale segue il moto ondivago della Storia, quella con la S maiuscola. A un’età dell’oro seguono sempre secoli di crisi, seguiti a loro volta da una nuova ripresa. I genitori dei protagonisti non incarnano un’età dell’oro in quanto tale, ma piuttosto sono rilevanti per il peso che hanno nella vita e nelle scelte dei figli. Ed è un meccanismo ciclico, eterno.
Come usare questo romanzo per provare a leggere in modo diverso il presente e le nuove generazioni, la generazione Z, quella “dei giovani di oggi”? Questa non è una generazione di rottura. Sono, sì, ragazzi aperti mentalmente e propensi al cambiamento, alla tolleranza, interessati alle diverse culture, allo scambio di ideali. Ma, allo stesso, tempo sono oppressi da una società vecchia e obsoleta, che si è adeguata alla novità del digitale soltanto nella forma ma non nello spirito. Giovani tenuti ai margini di una società che rigetta il ricambio generazionale, nella quale non riescono a identificarsi. Il risultato è una tendenza all’alienazione, al cercare rifugio nel digitale, quasi a volersi costruire una vita virtuale e parallela, finendo per imprigionare se stessi in quella tecnologia che sarebbe la loro più grande alleata e permetterebbe loro di conquistare veramente il mondo.
Colla è la sostanza che unisce i quattro amici, che una volta adulti prendono strade diverse ma finiscono poi per ritrovarsi, prima separati e poi riuniti nella morte di uno di loro. È il segno che niente cambia, che tutto resta sostanzialmente uguale: i casermoni color fumo, i vecchi ubriaconi molesti alla Leith Central, l’odore della vicina distilleria di whiskey diventano il contorno di una Edimburgo centro di gravità permanente delle loro vite. Non c’è via d’uscita. E non sembra esserci nemmeno nella nostra società, vecchia e obsoleta, dinamica solo quando mossa del denaro e mai veramente scossa da una generazione Z vittima della comoda opulenza della precedente e purtroppo all’apparenza incapace di lottare per il suo futuro, se non a parole o tramite post indignati su Facebook, perché abbacinata da un mondo virtuale seducente e alienante.