Ha solo 23 anni Amanda Gorman e oggi la conoscono tutti per essere la più giovane poetessa d’America. Ma fuori dagli Stati Uniti, le “colline da scalare” hanno poco a che fare con i “ponti” della sua chilometrica poesia di 723 parole recitata sugli spalti di Capitol Hill. Sembra infatti che, per tradurre le sue poesie, non basti la bravura, ci vuole anche l’estetica. Ci sarebbe questo dietro il “profilo inadatto” del traduttore catalano Victor Obiols, forse troppo bianco per le sue poesie: “Non hanno messo in dubbio le mie capacità, ma cercavano un profilo diverso, che doveva essere una donna, giovane, attivista e preferibilmente nera - ha detto lo scrittore catalano all’AFP -. Se io non posso tradurre una poetessa solo perché è una donna, giovane, nera, un’americana del XXI secolo, non posso nemmeno tradurre Omero perché non sono greco, né dell’VIII secolo a.C. o non avrei potuto tradurre Shakespeare perché non sono inglese o del XVI secolo”.
È il secondo caso in Europa. In Olanda la scrittrice Marieke Lucas Rijneveld, che forse non avrà declamato davanti ai reali, ma è celebre per ave vinto il prestigioso premio International Booker, si è dimessa dopo che il suo editore Meulenhoff le aveva affidato l’incarico. “In un momento di crescente polarizzazione, Amanda Gorman mostra nella sua giovane voce il potere della parola, il potere della riconciliazione, il potere di qualcuno che guarda al futuro invece di guardare in basso” aveva detto la scrittrice appena accettato l’incarico – poi toltole -, perché scelta dalla stessa Gorman, come ricorda The Guardian.
Tutti vogliono tradurre la raccolta di poesie di una ragazza contesa da editori e case di moda, che negli Usa è schizzata in cima alle classifiche Amazon in pochissimo tempo: "Il mio profilo Instagram è letteralmente impazzito, questo non è un gioco, questo non è uno scherzo. Ho guardato e avevo un milione di follower " ha detto la 23enne commentando la sua reach. Alcuni giorni prima della sua declamazione nel discorso presidenziale, era stata annunciata la pubblicazione della sua raccolta The Hill We Climb. Questione di valori o anche di marketing? E cosa c’insegna questa strana faccenda? Lo abbiamo chiesto a Barbara Alberti, scrittrice con la maiuscola, che ha fatto del coraggio delle idee la cifra distintiva della sua letteratura “politicamente scorretta”.
Barbara, ma a lei la poesia di Gorman è piaciuta?
“Io di lei conosco solo i versi della poesia recitata a Capitol Hill, e li ho trovati mediocri. E poi, che poeta sei se fai distinzioni del genere? È la negazione stessa della poesia”.
In che senso?
“Perché tutto questo è molto esteriore. Posso capire se a farlo ci fosse un grande poeta, perché quel gesto sarebbe accompagnato da un significato diverso. Questa è incultura moderna”.
Che poi, come diceva Eco, tradurre è tradire. Quale “autenticità” si vuole richiedere?
“Tutto quello che questa scrittrice fa è totalmente mediatico, non c’è autenticità. È una star del web, come gli influencer di oggi. È l’antipoesia, una unità di consumo della grande macchina della comunicazione. È una comunicatrice, non una poetessa”.
E a chi la accusasse di razzismo?
“Tutto questo non c’entra nulla con la lotta al razzismo, che è legittima e va ribadita con forza. Ma se ci facciamo ricattare da questo diventiamo stupidi in tre ore”.