All’interno dei numerosi supermercati di Venezia, in questi giorni, è in atto uno spettacolo del tutto inedito. A prima occhiata buffo, poi quasi surreale ed infine - per i molti amanti delle bevande alcoliche che risiedono in città - spaventoso. Perché il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, ha vietato la vendita di alcolici da asporto pressoché ovunque, senza distinzione alcuna tra locali, negozi di souvenir o, per l’appunto, supermercati. Nello specifico, “L’ordinanza ha stabilito di vietare, nel territorio della Municipalità di Venezia, la vendita per asporto di bevande alcoliche, da parte di qualunque pubblico esercizio, esercizio commerciale, esercizio artigianale, dalle ore 15 alle ore 8 del giorno successivo nelle giornate di venerdì 5, sabato 6 e domenica 7 marzo 2021”. Un provvedimento volto ad arginare il turismo in periodo di pandemia, ma che sembra avere l’unico obiettivo di spingere residenti e visitatori verso i bar su cui, comunque, vige il coprifuoco delle 18.00. Ne abbiamo approfittato per scambiare due parole con il cantautore Pierpaolo Capovilla, fondatore del Teatro degli Orrori nonché cittadino di lunga data dell’isola lagunare.
Tu conosci la città di Venezia da tempo, come hai vissuto questa nuova ordinanza indetta dall’amministrazione?
“Sembra assurdo, perché non c’è nessun turismo in città. L’ordinanza evidentemente va verso un contenimento di certi comportamenti collettivi che ci sono nella città metropolitana di Venezia. E questo se vogliamo può avere un senso, il problema è che qui si parla di un’ideologia repressiva nei confronti della società. Quanto durerà questa cosa? Adesso c’è questa ragione ineludibile della pandemia, però c’è da scommetterci che questo approccio liberticida continuerà. Certe scelte si fanno per convenienza politica, per il consenso. Il solito privilegio per alcuni e la disgrazia d’altri. Sembra una dimostrazione di forza, un’esibizione muscolare per far capire alla gente che c’è un’amministrazione che non solo si prende cura dei problemi della città metropolitana, ma che lo fa in maniera autoritaria. Che può sembrare autorevole, ma a ben vedere è autoritaria”.
La città rischia di ricordare da vicino una discoteca, in cui non puoi entrare con qualcosa da bere per favorire il consumo all’interno del locale.
“Si, Andreotti diceva sempre che a sospettare si fa peccato ma che purtroppo ci si indovina quasi sempre. Ma qui andiamo oltre il dispetto, bisognerebbe andare a cercare nel vocabolario la parola giusta. Vessazione, forse. Assomiglia ad una vessazione. Nei confronti di alcuni più che di altri, ed è chiaro che se sei astemio non te ne frega un cazzo. Però qui a Venezia lo sappiamo tutti che una delle cose che si fa più spesso è bere un bicchiere con gli amici, è uno scacciapensieri. C’è poco da fare: veneti siamo, li mortacci nostri!”
A sentirla sembra una barzelletta: bloccare la vendita di bevande alcoliche ai veneti.
“Si, ma è una barzelletta sulla nostra pelle, mi auguro che gli si ritorca contro. Non soltanto perché è un po’ stupida l’ordinanza. Ma anche perché questo personaggio (Luigi Brugnaro, ndr.) non mi sembra degno di amministrare questa città. Non lo è stato prima e non lo è neanche oggi. Non lo sarà mai. La verità è che i suoi voti non arrivano dal centro storico, ma dalla terraferma. Per carità, ci sarà un sacco di gente ad averlo votato, ma non la maggioranza. E forse si è risentito di questa cosa, lo aveva anche sussurrato tempo fa. Sembrava avere l’intenzione di punire la gente di Venezia. Il problema è che lui prende i voti della povera gente, degli sfruttati. Siamo in un momento storico in cui la gente confonde il proprio padrone con il proprio liberatore. Sono decenni che vediamo la stessa scena, è il concetto di democrazia recitativa”.
Passiamo ad altro: hai nuova musica in arrivo?
“Ho pubblicato una cosa molto bella per Lorenzo Orsetti (Her Del Amade Me, ndr.), è uscita questa compilation ma non se n’è accorto nessuno e a me sta bene così… Ad ogni modo si tratta di un pezzo inedito de I Cattivi Maestri riarrangiato per l’occasione. E il disco è pronto, a fine aprile dobbiamo masterizzarlo ma ce lo abbiamo da un anno, però purtroppo non sappiamo quando poterlo far uscire. In questo frangente sai… Il Rock esige la piena presenza, fai un disco per andare in tour, ma se pubblichi il disco e basta - a parte che non ti torna niente - viene meno il palcoscenico e noi facciamo musica per quello, non per altro. È quella cosa lì, la vita vissuta, che ci interessa. Il resto viene dopo. Noi aspettiamo, ma non ti dico che frustrazione. Il disco è pronto, l’ho ascoltato già un migliaio di volte e lo sento già vecchio”.
Vi viene voglia di fare qualche ritocco o siete soddisfatti del suono?
“No, guarda, abbiamo lavorato talmente lentamente… Per la prima volta in vita mia ho avuto modo di verificare tutti i dettagli e adesso che a fine aprile andremo a chiuderlo modificheremo due dettagli di voce, ma sono proprio due stupidaggini. Il disco è perfetto, ed è la prima volta che lavoro con una calma simile. La fretta è cattiva consigliera, magari sai… vai nello studio figo e devi chiudere perché ogni giorno ti costa soldi. Qui invece abbiamo lavorato in maniera amicale con gente di altissimo profilo e in grandissima amicizia. Ma tutti attendiamo”.
Per un momento di libertà.
“(Ride, ndr.) Si, chiamiamolo così. Ma è sul palcoscenico che ti senti libero veramente. Il rock alla fine è teatro. Ma è un teatro di scena, non di prosa. È un momento di vita pura… Comunque mi hai dato proprio una brutta notizia”.
Immagino... A proposito, vedi Sanremo?
“Perché me lo chiedi? Io l’ho visto tutto! Da qualche mese collaboro con Domani di Carlo De Benedetti, ho già scritto un paio di pezzi -uno su di un mio amico in carcere ed un altro tra la differenza tra la guerra e pandemia - e mi hanno chiesto un articolo su Sanremo. Così ho visto tutte le puntate, ho anche chiamato un amico che fa lo psichiatra perché cercavo la parola giusta per descrivere quello che mi è successo. Ho capito che ho avuto un attacco psico timico. Sai quando ridi, poi piangi, poi ti incazzi e via così… alla terza serata ho cominciato a star male dal punto di vista psichico. Porca puttana!”.
Il meglio e il peggio?
“La cosa più bella che ho sentito è Orietta Berti. Ascoltati il pezzo: a parte l’esecuzione perfetta, lei è di una professionalità… Lei è una nonna, ovviamente nazional popolare, ma i ritornelli quando vanno in minore fanno piangere. È bellissima! C’è profumo di Mina, di Frank Sinatra… Mentre tutto il resto è stato un leggero fastidio. A parte un paio di eccezioni che non parlano di abbandoni d’amore e via dicendo”.
E infatti le abbiamo dedicato un articolo, l’Orietta che tira.