Bobo Rondelli è un film di Fellini, pungente, ironico, classico. È un'imitazione di Mastroianni tra una domanda e l’altra, un boccale di birra e una sigaretta accesa. È una canzone di Edith Piaf che ti abbraccia ogni parte del corpo. Lo sguardo di chi si è raccontato tanto e la voce flebile come la prima volta in bicicletta, a tratti incerta nel suo percorso. Un menestrello così devoto alla musica che la musica stessa prende il sopravvento durante il parlato, con accenni di canzoni. Un cappotto anni 80 come la Londra che lo ha forgiato, come il freddo delle squat, come l’ingiustizia che tanto gli ha tolto. Seduto sul divanetto di un pub, ci ha aperto le porte della sua vita, una filosofia dell’io così complessa che tende a perdersi nei ricordi. Con Bobo si può parlare di tutto. Beatles, Celentano e Tenco, la Trap e Achille Lauro, Dio e denaro. Non esistono barriere con gli altri se non quelle erette da sé stesso per sé stesso. Si è messo a nudo del suo essere, così umile, indeciso, a tratti destabilizzante ma sempre melodico. Perché Bobo Rondelli è una ridondante semplicità, è viaggiare con la brezza estiva della sua Livorno, cullato dalla schiuma di una doppio malto e una chitarra come timone. È il Modigliani della musica che lancia le teste nel Fosso Reale in preda ad uno scatto d'ira.
Ma per favore, non chiamatelo più poeta maledetto. Chiamatelo artigiano di parole.
Quali sono il tuo primo e l’ultimo ricordo legato alla musica?
Mia cugina si prepara per uscire e c’è Storia d’amore di Celentano al giradischi. L’ultimo invece è il pezzo degli arrangiamenti del nuovo album.
Quando invece hai deciso che questo sarebbe stato il tuo futuro?
Quando mi son trovato davanti a un lavoro che non mi piaceva, piano piano, anche se lavoro è un parolone. Si dovrebbe dire gioco, je joue de la guitarre come in francese.
Il tuo rapporto con la scuola?
Ho finito il magistrale, sai quando sei ragazzo i genitori si informano dove puoi trovare lavoro, andai a ragioneria. Non mi trovavo bene e ho scelto una classe dove eravamo quattro maschi e il resto femmine. Sembra facile fare il galletto con tutte le donne ma in realtà ti tocca fare il buffone per farti ben volere.
Cosa facevi?
Burle, scherzi, imitazioni ai professori. C’avevo una cuffia in dotazione con un giacchetto brutto e facevo l’apneista Enzo Maiorca da sotto i banchi e ovviamente ti buttavano fori. Brevettai anche uno specchietto sulla punta della scarpa per guardare sotto le gonne, ma ovviamente ti beccavano subito.
Che lavori hai fatto?
Mi padre mi portava nei cantieri a spicconare, mi ha dato ‘sta lezione, ho capito che non sarebbe stata la mia strada.
Come la vedevi Livorno da adolescente? Volevi andartene?
Si volevo andare via, provai Londra per sei mesi, stavo nelle case abbandonate, le squat. Qualche lavoretto poi sussidi, non mi piaceva fare il cameriere tredici ore. Mi piaceva stare con gli irlandesi, gli inglesi, fu un’esperienza bella.
Come li ricordi gli anni della tua giovinezza?
Bah, l’adolescenza mi prese la passione di suonare Beatles e Rolling Stones, in Inghilterra ci andai anche a perfezionare la lingua. Vidi anche qualche concerto, mi ricordo di Ray Gelato, usava lo swing. Penso di essere stato il primo a veder sfornato il disco degli Smith, questi in casa con me erano fissati.
Ti capita di sognare concerti?
Mi capita di sognare che suono una volta con Keith Richards o gli Who, una volta ero l’amico dei Beatles che cercava di riunirli, volevo fargli fare pace e mi davano anche ragione. Quando si è bambini si ha dei desideri di avere tanti giocattoli, da grandi alcuni sognano di essere ricchi, il mio invece è una bella strimpellata con Paul McCartney.
Parlami del tuo ultimo album che stai registrando, che Bobo vedremo?
Lo abbiamo registrato in casa, i dischi non si vendono è inutile investire e oggi ci sono mezzi dove si può registrare tranquillamente in casa. Se va bene suonano in radio, tanto vale non stare troppo attenti alla qualità, c’è un ritorno al vinile, ma vabbè.
Fai musica per te o per gli altri?
Per tutti e due, più ti racconti più susciti l’interesse degli altri e probabilmente la gente è attratta dalla tua storia più o meno vera. C’è gente va dallo psicanalista e si fa pagare, io faccio le canzoni e mi faccio pagare. Non mi fido degli psicanalisti, dovrei conoscere la persona prima, metti gli garba Salvini… dici ha studiato è vero, ma secondo me sono bravi a capire cosa vuoi farti sentir dire. Perché dovrei raccontare i cazzi miei?
Ti ricordi di quando hai cantato Imagine davanti alla Ceccardi?
Aveva detto che era un canzone comunista, per me è folle e decisi di cantarla di fronte a lei. I poliziotti mi guardavano strano e si giravano dall’altra parte, forse volevano picchiarmi e non potevano, magari mi davano ragione. Mi è capitato che la polizia mi fermasse dopo il coprifuoco, capita che fai tardi, una volta mi hanno chiesto una mia canzone, un’altra l’imitazione di Mastroianni e io gli feci la supercazzola prematurata, poi lui non capì e allora ritornai su Mastroianni.
Come hai vissuto la Pandemia?
All’inizio mi piaceva il silenzio, sono sincero, la città era in mano agli uccellini. Ora tutto è tornato come prima e con le restrizioni, da affascinante è una noia, non poter suonare è carenza di adrenalina. Ora mi son messo a scrivere le poesie. Quando il vino libera la fantasia, son Boblaire, Bobian Gray, Bobenahuer, Bobunin. Quando scrivo una frase che potrebbe essere una delle sue peggiori ritrovate allora ci gioco, con Bobo ci faccio tutto, ogni volta ce n’è uno nuovo.
Ti dà fastidio essere etichettato come artista maledetto?
Io penso sia più una maledizione per i poveracci che stanno in Africa o chi lavora in fabbrica. Noi siamo fortunati, la vita è corta e merdosa come un bastone di pollaio, mi sembra sia di Hemingway, se pensi alle volte quando sei davvero felice son poche, chi è sereno non ci credo, a un certo punto ti viene sulle scatole. Non ci vedo nulla di male nella voglia di stordirsi, anche quando ti innamori sei stordito completamente, no? Mi capita spesso… di stordirmi d’amore.
Il tuo rapporto con le donne?
Ammetto di essere un mammoloide, la donna diventa una mamma-due. Ha questa forza di cullarti e dominarti, se ci fai caso tutti i grandi uomini quando la moglie li lascia son i più disperati. Forse non lo ammettiamo ma il nostro legame con loro è una simbiosi ombelicale.
Come l’hanno presa i tuoi che volevi fare questo lavoro?
Mio padre se n’è andato giovane, non mi ha mai visto come artista. Ma nemmeno io mi vedo artista, sono più un artigiano. Leonardo si dichiarava artigiano e io devo essere artista? Beethoven era considerato un artigiano di corte, Bach uno scribacchino di musica, forse a volte le cose belle vengono così, dal nulla.
La tua prima canzone d’amore?
Ti amo quando non ci sei, che ancora piace sempre. Ci amiamo spesso nella mancanza, è la sfida più difficile amarsi nel quotidiano, senza un granché da raccontare senza stupire, a noi maschi ci piace di essere adorati, le donne hanno meno bisogno di questa adorazioni e più di rispetto.
La cosa più strana che ti è capitata?
Mi trovavo a Parigi e fermai una persona per chiedere le indicazioni e questo mi rispose: “Ahò sei proprio te, li mortacci…” era uno di Latina o Viterbo e mi ascoltava, andammo a bere una birra insieme. Avevo i capelli lunghi e lui mi disse: “Che te sei fatto i capelli a parigino? Me piacevi più quand’eri muratore”, tornai a casa e me li feci corti, fu una cosa assurda. Un’altra in Sardegna c’era un jukebox con una mia canzone che non ascoltava nessuno, a un certo punto arrivò un nano, gettonò il pezzo, e scappò via.
Credi in Dio?
Ti rispondo con un pensiero che scrissi: “Grazie Dio che rispetti il fatto che io non creda in te”. Non importa in fondo, Dio è una coscienza, boh, purtroppo tutti ne fanno un uso quasi delinquenziale. Credo e voglio sperare che non finisca qui, che certa gente abbiamo da pagare oltre la morte, tipo Hitler sia ad arrostire da qualche altra parte. Un Papa disse che Dio è madre, poi campò due settimane. L’uomo è cattivo la donna è malvagia, fossi donna sarei più incazzato col mondo.
Come hai vissuto la tua vita?
Intensamente, con “sensi di colpite” che ci trasmettono fin da piccoli, se non hai un minimo di sensi di colpa diventi un assassino ma alle volte ti fai troppo carico e peso. Ho pensato a cosa sia la bontà, non esiste, come il male. Uno tende ad essere buono perché usa l’intelligenza, invece la cattiveria è un disgraziato che si trova solo e non usa il cervello. La voglia di possesso enormemente malata che tanta gente ha, questo rincorrere l’inutile mi sembra follia. Avevo un pensierino che diceva: “Merda tra le merde non è poi tanto male”, il concetto dell’essere tutti uguali. Dobbiamo abituarci ad allontanarci dal senso della compassione, è diventata una debolezza, devi tirare a dritto.
Dalle tue parole si legge una sofferenza per senso di ingiustizia…
Mio padre ha sofferto la guerra a Marzabotto, mia madre ha subito i fastidi del padrone da ragazzini, forse ce l’ho nel sangue quel senso di “anche basta”. Però siamo tanti a farlo, chi si incuriosisce a far queste domande ha un occhio più sensibile. È diventata una debolezza e mi dà fastidio, quindi chi fa questo mestiere prova a riportarlo, come nell’antica Grecia. L’aspetto tragicomico, quando devi far ridere racconti una disgrazia mica un trionfo, sei anche contento che ti succede l’incidente, hai qualcosa da raccontare.
Secondo te ci sono artisti sopravvalutati?
Ce ne sono tanti di cui non capisco il loro delirio.
Achille Lauro ti piace?
Non riesco a decifrarlo, diciamo lo avvicinerei agli effetti che faceva Vasco Rossi, questo “non so fare nulla ma lo so fare anche io”, non mi piace tutta quella coreografia intorno a lui. Vasco Rossi poi sapeva cantare, le stonature le sapeva fare.
Il tuo concittadino Enrico Nigiotti, invece?
È bravo, molto pop. Non è il mio genere, però è bravo. Pop non so più cosa voglia dire, probabilmente per descriverlo direi: “Canzoni per le ragazzine da sentire in un’automobile comprata, bella, a rate, di buona cilindrata”. Il Rock è più da bicicletta, vespaccia, pandino. Dipende a che pubblico vuoi arrivare, come posso pretendere di poter vendere dischi al mio che non ha una lira? Spesso mi hanno detto: “Bobo è uscito il disco, me lo masterizzi?”. Io però glielo facevo (ride, nda).
La trap?
Mettono frasi interessanti, per me però son troppo veloci. Sembra abbiano fatto guerre, atteggiamenti pesanti, un’istigazione al machismo troppo forzata. Difficile ci sia love & peace. Non ce la faccio a sentire quel biascicare, la lingua già per come la vedo io purtroppo sta diventando un’appartenenza politica e non mi piace, a seconda del dialetto che parli ti aspetti l’arroganza. La lingua purtroppo porta dietro di sé un modo di essere.
La canzone tua preferita e quella che odi di più?
Non è più mia, è degli altri ma se devo dirtela è Licantropi. Le canzoni non le riascolto, mi imbarazza, anche in un posto se la sento mi fa strano. Tanti amano Madame Sitrì forse perché rammenta i tempi della lirica livornese, ricorda Mascagni e quell’effetto di nostalgia e l’idea del sogno di tutti gli uomini è il bordello, è normale. Roberto Rondelli anagrammato è Bordelli Tornerò.
Che mi dici di Sanremo?
È utile, per arrivare a fare quel pubblico mi ci vorrebbero tre vite, lì invece in una serata lo fai. Con Irene Grandi la scorsa edizione abbiamo cantato La musica è finita di Califano, trall’altro la rifece in inglese anche Robert Plant, Our Song. Ovviamente non è che mi interessa la passerella, però ti vedono.
Facciamo un botta e risposta tra nomi e definizioni. Piero Ciampi
Oltre l’amore stesso
Tenco?
Lo storto
Celentano?
Il corpo e la voce
Fellini?
Astuto visionario
Mastroianni?
“Un mascalzone gentiluomo” come lo ha definito Monicelli
Carnevali?
Poeta dell’anarchia
Ti senti di aver ricevuto la giusta considerazione?
Mi piace pensare di non aver fatto ancora quella canzone che… o mi chiedo se forse non ho avuto gli appoggi giusti per far arrivare quella canzone. Probabilmente vengo da un territorio dove non c’è musicalità. Spesso mi dico di aver fatto abbastanza, però sono sempre in bilico. Ho sperperato denari come fa un rocker, ma non ho avuto tutte queste ricchezze. Grande pagatore di cene, donne che si sentivano regine, ma va bene così. Anzi credo ci sia tanta sofferenza nell’essere famosi, starei sempre a nascondermi, non so quanto Jovanotti possa uscire senza tensioni, alla fine cosa te ne fai? Anche quando hai vent’anni quante ne voi trombà, 1200?
Cosa significa ancora per te fare canzoni?
È come cercare di raccontare un migliore di me perché sono il peggiore, dipende a che livello è la tua ricerca di perfezione umana. Se i mi figlioli un mi caassero fa’ vaini la gloria? (Se i miei figlioli non mi considerassero cosa mi interessa della gloria? nda).