Lo boicottano, lo stroncano, si indignano per la distribuzione gratuita davanti alle scuole. Ma perché ad alcuni fa tanta paura il libro di Giorgia Meloni, neanche fosse il Mein Kampf?
A proposito di Mein Kampf, ricordo quando nel 2016 il manifesto di Adolf Hitler ritornò nelle librerie dopo 70 anni – arricchito da una edizione critica – e diversi intellettuali italiani si dichiararono favorevoli. Non tanto sui contenuti, che sono abominevoli, quanto sulla pubblicazione di un testo che aveva continuato ad avere un mercato clandestino floridissimo (ancor di più perché clandestino) e meritava di essere conosciuto e discusso alla luce del sole. La memoria, ricordate? Ci fanno ogni anno una testa così sull’importanza di non dimenticare per non ripetere gli stessi errori e via discorrendo. Bene, quindi che anche quel volume si trovi acquistabile in libreria e che, contestualizzato, possa essere utile a capire le follie del passato è soltanto un arricchimento.
Persino un radical chic di sinistra e di religione ebraica come Gad Lerner salutò l’iniziativa con benevolenza: «L’alternativa è una circolazione clandestina dell’opera in forma apologetica venduta nei mercatini, mentre loro invece con grande senso di responsabilità ne fanno un’edizione critica, soprattutto come strumento di lavoro per studiosi». Con lui si schierarono molti altri, come per esempio il politologo Piero Ignazi: «Era ora. Attenzione, di testi maledetti se ne trovano sempre come ad esempio alcuni di Rousseau che portano ai disastri della Rivoluzione francese. Questi sono documenti che servono per capire ancora meglio ciò che è accaduto. L’ignoranza non aiuta mai». E ancora, lo storico Gian Enrico Rusconi: «È un segno di maturità questa pubblicazione».
Chiuso il pippone sul Mein Kampf, che dovrebbe rappresentare il peggio del peggio e invece è in libreria per le ragioni che abbiamo riportato, ora c’è qualcuno che ci viene a dire che il libro di Giorgia Meloni non dovrebbe essere distribuito. Intanto, non risulta che la leader di Fratelli d’Italia abbia scatenato guerre o provocato olocausti, semplicemente ha raccontato la propria vita, probabilmente gonfiandola un po’. Ma quando mai una biografia di un politico – o di un personaggio dello spettacolo – è aderente alla verità? Non penserete davvero che l’abbia scritta lei stessa fra un comizio e l’altro? E men che meno sia nata dalla necessità di fare il punto sulla propria vita a soli 44 anni e senza aver ancora raggiunto nessun risultato di rilievo. Molto semplicemente, Giorgia Meloni vola nei sondaggi – per motivi che dovrebbero interrogare i suoi oppositori ben più che per questo libro- e il volume si aggiunge alle varie strategie di comunicazione per superare Matteo Salvini e prendere le redini della coalizione di centrodestra. Punto.
Eppure, nonostante non sembri rappresentare una minaccia così infernale, prima una libraia di Tor Bella Monaca ha deciso di non venderlo (ottima strategia di marketing, chi la conosceva prima di allora?), poi Repubblica ha paragonato “Io sono Giorgia” al libro della Provincia di Trento che inserisce Mara Cagol – la brigatista - tra le donne degne di ricordo speciale, immancabile Selvaggia Lucarelli l’ha attaccata per la descrizione del tentativo di aborto della madre nel 1976 quando non era ancora consentito per legge (ma clandestinamente sì) e addirittura Iacopo Melio su Tpi ha invocato la “resistenza civile” affinché il libro non venga distribuito gratuitamente davanti alle scuole dagli attivisti di FdI perché trattasi di “propaganda ingannevole”.
Allora, delle due l’una: o in questa autobiografia è contenuto il male assoluto, oppure chi si indigna, strepita, si strappa i capelli per la sua pubblicazione sta cavalcando l’onda. Sì, perché non esiste solo l’onda a favore, ma anche quella di riflusso che è sempre meglio di niente. E siamo ancora una volta alla famosa battuta del film Ecce Bombo di Nanni Moretti: “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”. Da parte di alcuni era impossibile scriverne positivamente, e ci mancherebbe, ma non scriverne per nulla no, perché il trend era favorevole e l’occasione troppo ghiotta. E allora via con il boicottaggio strombazzato come “resistenza civile” (anche se di una sola libreria su 3600 a livello nazionale), con le stroncature tendenziose (Selvaggia, potevi fare di meglio che attaccarti all’aborto fuorilegge) e con la commovente denuncia della “propaganda ingannevole” davanti alle scuole, iniziativa che però è nata proprio in risposta alla scelta della libraia del quartiere di non vendere il testo all’interno della sua attività.
Risultato: l’autobiografia ha avuto un surplus di pubblicità e i suoi contestatori una iniezione di follower sui social. Ma se volessimo davvero applicare una discriminante all’editoria, dovrebbe essere una soltanto e cioè quella che mi insegnò un giorno lo scrittore Andrea G. Pinketts: «Per me i libri brutti dovrebbero costare tantissimo, mentre i libri belli pochissimo». Questa sì che sarebbe una magnifica utopia. Ecco, non so quanto possa valere alla cassa il libro della Meloni (che non comprerò), ma di certo i prezzi di quelli pubblicati da chi ne mette in dubbio la legittimità dovrebbero schizzare alle stelle.