È in atto un tentativo di riposizionamento editoriale-politico, dalle parti di Repubblica? O (ci permettiamo un paio di citazioni latine perché sappiamo che i lettori di Repubblica sono quelli che hanno fatto le scuole alte) è solo che pecunia non olet a tal punto, soprattutto in questi tempi magri, che si decide (di buon grado o obtorto collo che sia) di tappezzare la prima pagina del quotidiano storicamente di riferimento dei progressisti con pubblicità che portano il nome e il volto di colei che dovrebbe rappresentare l’avversario principale, ossia la leader dei più conservatori che ci siano in Parlamento?
Domande che sorgono spontanee davanti all’edizione del 13 maggio 2021 del giornale fondato da Eugenio Scalfari, sulla cui prima il libro della Meloni compare non una, non due, ma ben tre volte (due accanto alla testata e una, in grande e con foto, nel piede), e dove il nome “Giorgia”, tra titolo e autrice dell’autobiografia, viene sparato al lettore per ben otto volte, con tonalità dal rosso al nero (tonalità che peraltro ben potrebbero simboleggiare l’effetto cromatico di apparente migrazione ideologica, per gli affezionati delle categorie e dei colori del passato).
L’obiettivo di Elkann e dei suoi (gruppo Gedi) è quello di spostare il proprio “lettorato” verso altri lidi? O semplicemente l’idea è quella di fare il più possibile cassa, senza badare alla forma? È un esempio di pluralismo e di apertura mentale (in sintesi, di democrazia) oppure di spregiudicatezza? Si possono o non si possono rifiutare delle pubblicità? Ed è opportuno farlo? E al contempo, Rizzoli (che fa parte del gruppo Mondadori, dunque fa capo in ultima istanza a Marina Berlusconi, con il nome “Berlusconi” che ai lettori di Repubblica viene presentato ormai da decenni come uno spauracchio) è convinta che l’investimento pubblicitario paghi? Ossia è convinta di riuscire a vendere ai lettori di Repubblica il prodotto di Giorgia Meloni?
I maligni che spingono per la tesi del riposizionamento hanno notato in prima pagina, oltre alle pubblicità, anche altro di almeno altrettanto significativo (e in quel caso non certo frutto di un’inserzione a pagamento): sopra la faccia di Giorgia campeggia infatti ben leggibile il titolo “Ingiustificate le spese di D’Alema”, che si traduce all’interno in un paginone in cui si spiega che il volto (e baffino) storico della sinistra sarebbe accusato dalla Fondazione dei Socialisti europei (ossia dalla Fondazione delle fondazioni di sinistra, di cui D’Alema è ex presidente) di dover restituire 500 mila euro (contestato un incasso di 10 mila euro al mese). È Repubblica o La Verità? Per noi è tutto bellissimo. Ma chissà se lo zoccolo duro (o presunto tale) dei lettori di Repubblica è dello stesso avviso.