“Todi Città del Libro”, questo il nome della quattro giorni letteraria partita ieri nella città umbra e al centro di furenti polemiche perché accusata di essere sovranista se non apertamente fascista. Come mai? Tra gli organizzatori della rassegna, spunta “Castelli di Carta”, associazione vicina alla casa editrice AltaForte, già allontanata dal Festival del Libro di Torino nel 2019 per il suo legame con CasaPound. L’Anpi, insieme a Cgil e un’altra trentina di sigle firmatarie annuncia che scenderà in piazza, la stessa dove si terrà la kermesse letteraria, per una manifestazione di protesta che fa il verso al nome della rassegna: “Todi Città antifascista”. Secca la risposta dell’ufficio stampa dell’evento (ufficio stampa di cui farebbe capo un giornalista di Primato Nazionale) che oltre all’invito a non disturbare la pubblica quiete, in una nota definisce “fantomatica” la Costituzione Italiana fondata sull’antifascismo. “Non ci posso credere” è il commento di Giampiero Mughini, tra i relatori invitati a “Todi Città del Libro”. L’abbiamo contattato per fare due chiacchiere su fascismo, cultura e imbecilli. Ecco cosa ci ha detto.
Partiamo dalla domanda più ovvia: “Todi Città del Libro” è un Festival letterario fascista?
Il fascismo non esiste più. Il fascismo è una cosa che è nata negli anni ‘20 e che si è consumata tragicamente nella Seconda Guerra Mondiale. Da allora i problemi sono completamente diversi... D’altro canto, l’antifascismo era quello di Pertini, di Vittorio Foa che ha fatto 10 anni di galera, di Giancarlo Pajetta che ha fatto 10 anni di galera, di Umberto Terracini che ha fatto 17 anni di galera. Oggi chi? Dove? Quando? I ragazzi per le strade italiane si sono ammazzati negli anni 70 per questi incubi. Sono, appunto, degli incubi che al giorno d’oggi non esistono più.
Intanto è stata organizzata una manifestazione antifascista contro questo Festival letterario…
Non ci posso credere.
Glielo assicuro. La protesta nasce perché “Todi Città del Libro” sarebbe, appunto, un Festival fascista.
I semianalfabeti ci sono sempre. Io poi non so chi siano gli altri chiacchieratori che partecipano alla kermesse di Todi, metta che qualcuno di loro sia di tendenze di destra, comunque non me ne potrebbe fregare di meno. Quando vado al cinema, non mi faccio domande sul pensiero politico del proprietario della sala. Così quando delle persone molto gentili mi invitano per fare quattro chiacchiere su un mio libro, si figuri se me ne può fregare di chi ci sia prima, dopo o durante il mio intervento.
Non è (solo) una questione di “chiacchieratori” e relatori invitati. Il punto è che tra gli organizzatori della kermesse ci sarebbe la casa editrice AltaForte, vicina a CasaPound e per questo motivo già allontanata dal Festival del Libro di Torino nel 2019.
Mi ricordo e ricordo che ero contrario a questo allontanamento. Devo anche averlo scritto da qualche parte. Penso che quella casa editrice avesse e abbia il diritto di pubblicare i libri che ritiene di pubblicare. Anche perché il fascismo, cara amica, è morto sa quando? Il 25 aprile del 1945. Sono passati 75 anni.
Quindi stiamo parlando di una polemica che nasce dal nulla, secondo lei?
Le faccio un esempio: a questo Festival di Todi c’è anche il mio amico Stenio Solinas che negli anni ‘60, primi ‘70 più precisamente, era un giovane rautiano, un seguace di Rauti, il leader del Movimento Sociale Italiano di allora. Stenio Solinas oggi è uno dei migliori saggisti, nel senso di autori di libri di saggistica raffinata… Di cosa stiamo parlando, suvvia? Questa polemica nasce da livelli ancora barbarici di contrapposizione culturale. Però io non so bene a chi si riferiscano, le ripeto, quelli che fanno la sfilata contro questo Festival. Se lei mi dice: “Guardi, oggi c’è lì uno che sostiene che i nazisti non abbiano fatto del male agli ebrei”, io direi naturalmente che con una tale testa di cazzo non voglio avere a che fare né da vicino né da lontano.
L’unica dichiarazione di cui posso renderle conto viene dall’ufficio stampa del Festival che definisce “fantomatica” la Costituzione italiana fondata sull’antifascismo.
Beh, è assolutamente una puttanata che fa paura. Hanno detto una sciocchezza sesquipedale di cui risponderanno davanti al tribunale dell’intelligenza. Mi dispiace che abbiano detto questa porcata.
A proposito di puttanate che fanno paura ma anche di porcate, posto che, come dice, il fascismo sarebbe morto ormai da decenni, una notizia di settimana scorsa vede la Procura di Roma portare alla luce un giro di gruppi filofascisti e neonazisti che proliferavano sui social facendo becera propaganda e ordendo piani degni della Gioventù Hilteriana…
Ma lei quanti pensa che siano gli imbecilli assoluti nella popolazione italiana contemporanea? Non gli imbecilli un po’ imbecilli, intendo proprio gli imbecilli assoluti. Io penso che siano milioni.
E appunto perché saranno milioni, non ritiene che possano essere anche pericolosi?
No.
L’imbecillità non è pericolosa?
L’imbecillità in generale sì ma non questa, non la loro imbecillità. L’imbecillità da social è pericolosissima perché i social al giorno d’oggi hanno un peso nella società. Ma il peso di questi gruppi, mi perdoni… questi gruppi sono caricature. Fondamentalmente è fogna.
E, sempre posto che il fascismo non esiste più, cosa intendeva quando definì Giorgia Meloni “ducetta” (in un’intervista a Rolling Stone, ndr)?
No, non la definisco “ducetta”. È una persona civile che fa politica fin da ragazza. Se mi è venuto fuori “ducetta”, mi sento di dire che non amo questo termine. Giorgia Meloni è una donna certamente di destra ma altrettanto certamente non ha niente a che vedere col fascismo degli anni 30 e 40. Quando leggo espressioni insultanti nei suoi confronti io le esprimo la mia più totale solidarietà perché l’ho avuta di fronte tante volte ed è una persona gentilissima. Naturalmente io ho altre idee rispetto alle sue, un’altra storia e un’altra topografia intellettuale. Ma non c’è niente di male: bisogna imparare a convivere col diverso, o no?
Assolutamente. E questo sarebbe da dire anche alla Meloni, se mi permette.
Ah, certo. Giustissimo (ride, ndr).
Dunque, torniamo a noi: esiste una riscossa della cultura di destra?
Beh, è stato talmente tragico il destino della cultura di sinistra, diciamo di quella ufficiale, quella che diceva più o meno che l’URSS era il paradiso in terra, è stato talmente tragico il percorso, il destino e lo scacco di questa cultura che io capisco che qua e là sorgano dei cespugli di un pensiero avverso. Io però ripeto che non so di chi si stia parlando, nel caso del Festival di Todi. Penso che di ogni cosa sia necessario parlare con conoscenza specifica, molto specifica. Se lei mi chiede di un libro che non ho letto, se non l’ho letto, non ne parlo. Ha capito?
Quindi lei ha accettato un invito da parte di sconosciuti, mi sta dicendo?
Di sconosciuti no. Avevo già avuto a che fare con loro, vado a memoria, nell’organizzazione di un’altra mia chiacchiera ma è del tutto evidente che quando mi chiamano per parlare di un mio libro, non è che io faccia l’analisi tributaria di chi mi ha chiamato. Se mi chiamassero per parlare dell’esistenza di Dio, allora io mi informerei se chi mi chiama è un cattolico osservante o cos’altro, ma se mi chiamano per parlare di un mio libro, si metta nei miei panni, dovrei stare lì a chiedere chi, come e perché? Se mai, sai cosa succede?
Cosa succede?
Io non sono mai stato invitato – e ho scritto 33-34 libri – ad un consesso letterario diciamo di sinistra. Quindi siccome conosco i miei polli molto bene, lezioni di democrazia e di pluralismo… non sono disposto a prenderne da nessuno.
Come mai secondo lei non è mai stato invitato a tali consessi?
Probabilmente perché tra i miei libri più famosi ce n’è uno che titola: “Compagni, Addio”.
Beh, in effetti non li ha invogliati a invitarla, possiamo dire…
No. Però siccome nel mio genere, quello della saggistica colta, io sono uno dei migliori autori d’Italia, è strano non essere mai stato invitato. Non che io me ne stupisca.
Posso farle una domanda un po’ antipatica?
Non ci sono domande antipatiche.
Vuole mettermi alla prova?
Tutte le domande sono legittime.
Ok. Ho letto in una sua recente intervista che il suo compenso per un articolo è di mille euro.
Beh, quel tempo è passato ma io comunque chiedo sempre molto, è vero.
Per partecipare a una conferenza, invece, quanto chiede? Si tratta di un invito gratuito a fini promozionali oppure c’è un compenso…
No no, assolutamente. Io vado lì e vengo pagato. È il mio lavoro. Io non faccio l’albergatore o il ristoratore, io chiacchiero per iscritto e per orale. Siccome penso in questo campo di essere uno dei più bravi d’Italia, allora mi faccio pagare. Lei lo trova strano? Io dall’età di 19 anni sto al tavolo di lavoro 10 ore al giorno. Quindi penso di meritare abbastanza.