Parte oggi, tra le polemiche di certa stampa e le proteste e le mobilitazioni di Anpi (che ha organizzato un “presidio”) e di altre associazioni, il festival “Todi - Città del libro”, tacciato sostanzialmente di essere un convegno di estrema destra, con pressanti richieste al Comune e alla Regione di togliere il proprio patrocinio (“dietro c’è la casa editrice Altaforte, riferimento dei neofascisti di CasaPound”, ha scritto per esempio il Fatto). Tra i vari relatori figurano Alessandro Meluzzi, Giampiero Mughini, Laura Tecce, Stefano Zecchi, Francesco Borgonovo, Marco Gervasoni e Toni Capuozzo. Proprio a Capuozzo, giornalista e inviato di lunghissimo corso il cui intervento al festival (in collegamento video) è stato fissato per sabato 19, abbiamo chiesto cosa un parere su questa faccenda.
Capuozzo, cosa pensa riguardo a queste polemiche?
“Fatico a comprenderle. Io per principio vado ovunque mi invitino, senza preclusioni di alcun tipo. Sono sempre convinto, non per arroganza, che chi debba preoccuparsi siano coloro che mi chiamano, non il contrario. Io dico sempre quello che devo e voglio dire, in piena libertà, con rispetto ma senza riguardo per nessuno. Esprimo le mie convinzioni, racconto le mie esperienze per quelle che sono state”.
Ha senso contestare un festival culturale come ha fatto in particolare Anpi?
“Io sono antifascista, sono contro ogni dittatura e ogni totalitarismo, ma credo che sia sciocco, sordo, cieco e stupido precludersi di ascoltare altre voci. Le voci di chiunque. Qui si parla di pensieri, pareri, opinioni, non di azioni o di reati. La Costituzione, che nasce dalla Resistenza, è esattamente questo. Non può e non deve esistere un timbro o un imprimatur che qualcuno si arroga il diritto di dare. Di che cosa abbiamo paura? Ognuno ha il diritto di esprimere la propria idea. Ascoltare le idee di qualcuno in un dibattito non implica doverci o volerci andare a cena. E se le idee di qualcuno infastidiscono basta controbattere o ignorarle. L’approccio non può essere quello di voler tacitare l’altro. Peraltro io credo nell’intelligenza di chi ascolta, che è in grado di capire se uno sta dicendo delle fesserie. Ma nessuno ha il diritto di impedire a qualcun altro di parlare. Al massimo ti alzi e te ne vai, non vai al festival o, se si tratta di tv o radio, spegni o cambi canale”.
Che opinione ha a proposito dell’Anpi?
“Oggi non è più costituita da partigiani, ma da neopartigiani. Purtroppo le generazioni che attraversarono quegli anni e ricostruirono l’Italia dopo la guerra sono scomparse o comunque vanno scomparendo. Qui non si parla più di combattenti per la libertà. Mi è capitato spesso di scuotere la testa di fronte alle prese di posizione dell’Anpi, per esempio sul confine orientale o sulle foibe. Si tratta di un’organizzazione che oggi esprime il pensiero di chi non ha vissuto quegli anni, fatta di persone che raccontano il passato a modo loro e soprattutto che leggono il presente a modo loro”.
Ritiene abbia ancora senso di esistere?
“Liberi di esistere, per carità, ma la Resistenza è stata un insieme di forze che andavano dai comunisti ai cattolici, ai militari in divisa che rifiutarono di combattere. Io credo che ci voglia rispetto anche per la parte sconfitta: continuo a distinguere ovviamente tra la ragione e il torto, tra chi si batteva dalla parte degli alleati e chi si batteva a fianco dei tedeschi, ma con il massimo rispetto anche per coloro che avevano torto, senza nessuna reticenza nel raccontare le ingiustizie e anche le vergogne, del Triangolo rosso, di Porzus. Credo che questo debba essere il vero spirito repubblicano: guardare con disincanto e con franchezza a ciò che è stato. Ogni altra manovra e ogni altra posizione tradiscono secondo me quello che dovrebbe essere lo spirito della Resistenza”.
I partecipanti al festival vengono da più parti bollati come vicini all’estrema destra. Lei sente di appartenere a quell’area?
“Assolutamente no, anzi, non ho mai nascosto la mia formazione di sinistra. Mi trovo più spesso a polemizzare con la sinistra perché è quello il mondo da cui provengo, ma non solo non sono legato all’estrema destra, ma nemmeno alla destra o al centrodestra. Penso che il mio lavoro sia lì a dimostrarlo, non devo fare l’esame del sangue o passare un test che qualche comitato di controllo vorrebbe imporre. Non sono fascista, non sono comunista. Sono disposto ad ascoltare chiunque fino a quando dice cose che mi sembrano meritevoli di attenzione. Dopodiché posso alzarmi e andare via, ma quello parli pure. Sono contrario a ogni tipo di censura. Se a qualcuno non interessa questo festival basta che non ci vada. Lo stesso vale per i libri o per i programmi televisivi. Questa è la democrazia, mentre è antidemocratico provare a silenziare o a impedire che qualcuno parli. Peraltro i festival culturali che riflettono sul giornalismo sono il mio mondo, non ho nessun problema a partecipare a prescindere da chi organizzi. Non sono dei cortei, non devo firmare alcun appello. Sono semplicemente invitato a parlare. E non ho paura di nessuno, dunque nemmeno di un confronto. Andrebbe insegnato, anche nelle scuole, il pensiero critico. Se invece la reazione è dire “stai zitto”, si sta provando a imporre il pensiero unico, che con la cultura e la democrazia non ha niente a che fare”.
Ammesso che dietro al festival ci sia effettivamente CasaPound, ci può spiegare perché, secondo molti, CasaPound, nonostante possa partecipare alle elezioni ed eleggere i propri rappresentanti, non potrebbe organizzare degli eventi o pubblicare dei libri?
“Sono dei riflessi tribali. Quando CasaPound organizza una cosa i militanti avversari del posto «devono» fare la manifestazione o la mobilitazione contro. È quasi ridicolo. Quando c’è un dibattito non dovrebbe esserci timore a confrontarsi con questo o con quello”.
Un altro riflesso sembra essere quello di associare automaticamente la destra al fascismo. Che ne pensa?
“Credo che ci siano dei forti imbarazzi nell’area della destra nel fare i conti con il passato. Mi sembra che sia molto difficile per loro chiudere definitivamente i conti con la storia. Non basta dire «io non ero nato». Uno a quella storia deve dare anche una lettura. D’altro canto la stessa cosa vale per la sinistra, dove molti faticano a chiudere i conti con il comunismo, che sia incarnato dal leninismo sovietico o da quello di Maduro in Venezuela. Permane un rapporto affettivo con questo passato ed entrambe le parti faticano a entrare nel nuovo secolo e a deporre le ideologie fatali del Novecento. Ci sono molti che preferiscono essere nostalgici – conclude Capuozzo – invece che pensare al futuro”.