In un'Italia chiusa, ferita, impaurita, nelle lunghe settimane della quarantena da coronavirus, Toni Capuozzo scrive appunti, idee, pensieri, ricordi che presto diventano vere e proprie lettere. Nasce così, giorno dopo giorno, un insolito "diario di bordo" fatto di pagine sulla cronaca, sulla politica, sull'isolamento forzato, su uomini e donne alle prese con la vita e con la morte.
Un libro arricchito da illustrazioni e da contenuti multimediali fruibili attraverso QR Code: con smartphone o tablet, il diario diventa audiolibro e le pagine sono lette dal grande inviato di guerra con la sua inconfondibile voce.
Con una stesura di getto, Capuozzo torna anche sulla sua vita, in un lungo viaggio tra il presente e il passato. La sua capacità di osservazione e la sua sensibilità restituiscono un'istantanea dell'Italia alle prese con il Coronavirus tanto originale quanto autentica e profonda. Una narrazione malinconica e divertente al tempo stesso, dolce e amara, giovane e antica. Le Lettere da un Paese chiuso sono, innanzitutto, il racconto di un'umanità di cui facciamo tutti parte, in cui ognuno di noi si ritrova, carattere dopo carattere, ritratto dopo ritratto.
Partiamo da alcune particolarità di questo libro. Fra tutte, l’aver inserito dei contenuti multimediali. Per esempio, è possibile ascoltare in podcast le varie lettere dalla sua viva voce.
Sì, anche perché non è un libro nato per l’editoria ma su Facebook. Ho scritto giorno per giorno spontaneamente queste lettere, senza sapere quanto sarebbe durato il lockdown, di getto e un po’ incazzato per la sorpresa amara dopo aver appreso del primo contagio in Italia. Ci siamo dimenticati della coppia di turisti cinesi. Dopo una quindicina di giorni qualcuno mi ha detto “perché non fa un podcast?”. Solo che io non sapevo cosa fosse. Ho chiesto a un amico e lui mi ha portato un registratore e così ho iniziato. Gli audio sono stati messi a posto e abbiamo cominciato a condividerli su Spreaker. Da scritti su un social sono diventati qualcosa di più classico come un libro e infine un audiolibro. C’è questo circolo virtuoso o vizioso, dipende dai punti di vista. Grazie ai Qr code non si può solo sentire la mia voce, ma sono presenti tante foto, video e alcune delle migliaia di lettere ricevute che ho selezionato fra quelle che più tendevano a raccontare storie, piuttosto che a esprimere pareri.
Nella prefazione ha tenuto a premettere che non ha voluto rileggere nulla. Come mai?
Primo per non avere la tentazione di corregge. Sui un social quando esprimi opinioni rischi che la realtà possa cambiarle. Però volevo che rimanessero così, come un piccolo documento di quei giorni. Se avevo detto “nero” di una cosa che poi è diventata “bianca” volevo che rimanesse “nero”, per assumermi le responsabilità di quello che avevo detto.
Un’atra motivazione che accenna è quella di aver timore di provare nostalgia di quei giorni. Ma si può avere nostalgia del lockdown?
Io ho vissuto l’esperienza del terremoto in Friuli, il 6 maggio del ’76. Durante la prima fase si dormiva in tenda. Ci fu poi una seconda scossa a settembre che ci obbligò a svuotare le tendopoli e organizzarci nelle località marine, che hanno la tristezza dei posti fuori stagione. In città e nei paesi rimasero solo gli uomini per le campagne e la ricostruzione. In seguito di quell’estate, con le sue illusioni di non voler passare dalle tende alle baracche per timore di ciò che era avvenuto in altre ricostruzioni, con la vita in comune e con i bambini che giocavano liberi, con un po’ di vergogna abbiamo avuto nostalgia. Perché tutto sembrava possibile. Un po’ come oggi. Se guardiamo a quei 71 giorni, anche se continuano a sorprenderci, bastava seguire le regole e rimanere in casa per sentirsi al sicuro, mentre ora proviamo molta più incertezza.
A cosa è dovuto?
Alla delusione che non è andata come ci eravamo illusi che potesse andare. Non ne siamo usciti migliori, nessuno oggi scriverebbe “andrà tutto bene”. Dalle aziende e il mondo del lavoro alla quotidianità di ognuno. Paradossalmente, con regole stringenti e chiare per tutti ci siamo illusi che saremmo usciti in fretta da una condizione difficile, però ci troviamo in una terra più grigia e incerta. Per questo non ho voluto la tentazione di provare a quel momento così duro con nostalgia. Che oggi ci siano 30-40 vittime ci fa tirare un sospiro di sollievo rispetto alle 3-400 di prima, ma certo non possiamo dimenticare l’immagine delle bare di Bergamo scortate dai militari fuori dal cimitero. Si sono crete false illusioni, soprattutto per i giovani, non a caso fino a metà agosto erano aperte le discoteche, mentre oggi anche solo stare fuori da una birreria ti mette a rischio sanzione. Non sappiamo se è una seconda ondata o una prima ondata non finita. E siamo rimasti disillusi anche dalla scienza, visto che non è scritta sul marmo, ma un continuo processo. A causa di tutto questo ci sentiamo più disorientati rispetto al lockdown.
Lei ha criticato sin dall’inizio la classe politica sulla gestione del Covid, anche se poi abbiamo constatato che rispetto ad altri paesi abbiamo affrontato la situazione con minori conseguenze. Che bilancio farebbe oggi?
In altri posti è andata peggio, ma non può essere un motivo di orgoglio. Posto che era molto difficile, visto che siamo tutti di fronte a una prima volta, da certi punti di vista ho criticato chi governa perché si assume delle responsabilità e mi è sembrato assumerle male, a volte esagerando e altre minimizzando. Ma nelle mie critiche comprendo anche l’opposizione, perché tutti insieme hanno politicizzato l’emergenza come tema di una campagna elettorale. Avrebbero dovuto invece sospendere le contese, ognuno con il suo ruolo, ma cercando di presentarsi all’opinione pubblica senza comizi, non volendo risultare “prime donne”, come a volte il premier Conte ha fatto. Non dico che avrebbe dovuto presentarsi con al fianco l’opposizione, ma psicologicamente sì. Almeno chiamare Salvini, Meloni e Berlusconi per concordare un clima pacificato. Purtroppo, è come se ci fosse una smodata passione a non lasciare da parte la vecchia politica con toni il più lontani possibile dalla propaganda. Ma non esiste una visione di destra o di sinistra di una emergenza.
Se dovesse spingersi a dare un voto all’attuale classe dirigente?
Darei 8 al sistema sanitario in generale che tutto sommato ha retto l’urto, mentre invece darei 5 per come ci siamo illusi e questo ci ha fatti arrivare impreparati a questa fase. Abbiamo fatto un po’ le cicale quest’estate. Pensavano alle elezioni regionali e non a preparare gli ospedali e tutto il resto. Siamo messi meglio di altri, ma non sono uno che tende a consolarsi con chi sta peggio. Anche perché i fatti cambiano le opinioni nelle persone intelligenti. La coerenza non è restare sempre uguali come se non fosse successo niente. La classe politica è insufficiente, così come il contributo della cultura. Ci sarebbe bisogno di un respiro più ampio. Sono convinto che quello che sta succedendo avrà conseguenze per i prossimi 20 anni, esattamente come l’11 settembre le cui conseguenze non sono ancora concluse.
Quali sono stati i cambiamenti maggiori nella sua vita?
Mi sono abituato a non frequentare più le sale cinematografiche come prima, così come i viaggi hanno subito grandi modifiche. Mio figlio vive a Londra e vedersi non è mai stato così difficile. Quante compagnie aeree sopravviveranno? Il low cost aveva cambiato la vita a tutti noi. Pensiamo solo alle coppie che vivono in paesi diversi. Uno degli elementi unificanti era proprio la facilità di acquistare un volo a basso prezzo. Quante ne sopravviveranno? Lo stesso accade per l’insegnamento o lo smart working. Dovremo valutare il lavoro diversamente e concepire i rapporti come qualcosa di totalmente nuovo.
Cosa l’ha fatta più indignare di ciò che non è stato fatto per contrastare il Covid?
Sul tema delle residenze sanitarie assistite. Prendono provvedimenti che valgono per tutti, ma se io oggi avessi 20 anni, senza contatti con anziani che poi in città sono sempre meno, vedrei il Covid come una rottura e poco di più. Come Ibrahimovic o Valentino Rossi, un bel fastidio ma non fatale. Il problema sono gli anziani. Solo che non si è pensato a quei giovani che vanno a scuola o in birreria e quando tornano a casa ritrovano il papà e la mamma che magari sono infermieri in una residenza sanitaria assistita. A queste problematiche non ci danno una risposta. La vera strage è stata in quei luoghi. È inutile accanirsi sul calcetto o su chi va a bere qualche birra, senza spendere una parola su questo. Per esempio, perché a Milano non mettono a disposizione un vagone per gli ultrasessantenni? Invece bisogna viaggiare con i ragazzi che hanno una percezione e uno stile di vita totalmente diverso. Basterebbe che i politici avessero un po’ meno la ruota di pavone sull’emergenza ragionando di volta in volta sulle singole questioni.
Lei è stato un grande inviato di guerra su moltissimi fronti negli ultimi 30 anni. Quali sono i conflitti che, preoccupati del Coronavirus, ci stiamo dimenticando?
Noi da tempo abbiamo chiuso la saracinesca dell’attenzione su molti conflitti. Per stanchezza, perché pensiamo non ci coinvolgano e per ignoranza. Non a caso, i migranti ci sembrano tutti arrivare da guerre, senza capire che puoi semplicemente correre verso un mondo che ti sembra migliore, non è un reato, però è un’altra cosa. Fra i tanti, il conflitto tra azeri e armeni in questi giorni è la riapertura di una piaga che sta avendo conseguenze sanguinose. Ma siccome non scappano da noi, sembra che la questione non ci debba interessare. E invece ha a che fare con la nostra storia recente sul ruolo della Turchia, che ha soppiantato proprio l’Italia in Tripolitania. D’altronde, siamo la prima generazione che vive e muore senza aver visto una guerra da vicino. Però ricordiamo che non c’è un posto in conflitto dove i civili non abbiano ragionato come da noi poco prima della pandemia. Pensate al Capodanno 2019 dove ci auguravamo “buon 2020”. Chi si immaginava quel che sarebbe accaduto? Succede anche in posti di guerra che ci si dica “non può succedere” o “è impossibile” e poi da un giorno all’altro ti trovi in un mondo cambiato. Fino a poche ore prima potevi passeggiare liberamente, mentre dopo devi stare attento alle granate. Così come oggi con il Covid. Questo dovrebbe farci sentire almeno un po’ più empatici con quelli che vivono in luoghi dove le guerre ci sono per davvero.
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