Diversi anni fa, nel suo secondo libro dedicato alla Juventus, Giampiero Mughini parlò di me per un paio di pagine, usando un’espressione così bella che la rimando spesso a mente: “dove lo tocchi, suona”. Aggiungendo poi che le mie eventuali qualità intellettuali e le mie curiosità culturali si vanificano in un istante se si parla di calcio, dove divento tifoso accecato dall’ideologia e dalla partigianeria. Frequentassi più spesso Roma avrei maggiori occasioni per incontrarlo e visitare la sua splendida casa, tra Stazione Trastevere e Monteverde, da dove comincia questo dialogo che MOW mi ha commissionato per festeggiare il suo ottantesimo compleanno.
Giampiero, cominciamo dal libro del 2014, Una casa romana racconta, in cui parli appunto della tua bellissima casa. Bene o male finisce per assomigliarci. Cominciamo da qui: in questi 14 mesi di isolamento è cambiato il rapporto con la tua casa?
In nulla, il mio isolamento non è stato maggiore rispetto agli altri mesi e anni della mia vita recente. Non vado da nessuna parte, non frequento nessun salotto, me ne sto appartato nella stanza dei libri e produco da qui quel poco di reddito che mi serve per pagare le tasse e bollette.
Quelle volte che ci sono entrato ho percepito che ogni dettaglio fosse stato concepito come la parte di un autoritratto assai complesso.
La casa è stata un luogo dell’anima e ciascun chiodo è stato piantato con l’intento di ripercorrere le tracce del Novecento. Le tracce disseminate hanno la forma di collezioni, anche se il termine, detto da un poveraccio che non è François Pinault, pare eccessivo. Con quel poco che mi resta compro le cose che mi piacciono, libri, fotografie, oggetti di design, vinili d’epoca. La casa non è un deposito, ma il luogo dove tutto ciò prende una forma e svela una vita.
Ovviamente restai impressionato dalla collezione del Futurismo che, nel frattempo, è stata alienata: perché? Ti sei allontanato da quella passione che hai alimentato nei decenni attraverso ricerche forsennate di prime edizioni e rarità?
Erano trent’anni che lo collezionavo, lo studiavo, però quell’avventura intellettuale si era consumata. Guardavo i libri sui ripiani della biblioteca e mi sembravano inerti. Tra trattenerli così e farne un bellissimo catalogo edito dalla libreria Pontremoli di Milano e con il ricavato della vendita avviare una nuova avventura collezionistica incentrata sul libro d’artista del secondo Novecento, ho preso questa seconda decisione. L’amputazione di queste ottocento voci è stato però il gran lutto della mia vita.
Un’altra considerevole parte è dedicata all’erotismo. È ancora lì?
Ma certo, senza l’erotismo si può vivere? Senza l’immaginario che si deposita su un oggetto, sul lavoro, non dico su un’amicizia… è qualcosa che brucia dentro in senso positivo e la donna lo è per eccellenza. Come scrisse Leonardo Sciascia, quanto più l’erotismo si accende tanto più la donna reale è assente. Sono stato particolarmente sollecitato dall’immaginario erotico negli anni in cui vivevo da solo, dai trenta ai cinquanta, quando la femminilità per me era immaginata, sognata, il che rendeva straordinariamente improbabili i rapporti con le donne reali che non corrispondevano a quell’immaginario o se vi corrispondevano era proprio un disastro.
Hai comprato qualcosa di interessante recentemente?
Alcune tavole di Guido Crepax, che in Italia è il maggior cantore dell’erotismo, in particolare quella da cui origina la copertina del 33 giri di progressive rock Nuda dei Garybaldi, uscito nel 1972, probabilmente la più bella mai pubblicata su un vinile italiano. Ci tenevo tanto.
Da cacciatore di rarità tra antiquari e librerie, usi anche il web per i tuoi acquisti?
Ho imparato, in particolare per i libri. In effetti dovrei erigere un monumento a Jeff Bezos: per esempio ho cercato a lungo il catalogo di una mostra sui Lettristi francesi del 1988 e l’ho trovato in rete da un libraio tedesco.
Almeno due libri tuoi sono dedicati all’eros. L’omaggio a Brigitte Bardot e Sex Revolution. Ora, di questi tempi, non ce la passiamo troppo bene a tal proposito, dacché l’erotismo è costretto a passare attraverso l’ondata di neo-moralismo pericolosissimo. Che ne pensi?
Io però li disprezzo. C’è un limite a tutto. Non sono disposto neppure ad avviare un ragionamento. Non si può guardare un’immagine femminile e pensare sia un atto pruriginoso. Ti racconto questa storia: per strada accanto a casa c’erano lavori e il passaggio si restringeva giusto per far passare una sola persona. Nella direzione avversa alla mia veniva una giovane donna, mi sono fatto di lato e l’ho lasciata passare. Lei è divenuta rossa in viso e mi ha sorriso, ha capito che era un omaggio alla sua femminilità. Se finissero questi omaggi sarebbe la fine del mondo. Così come non permetto a una sola donna di parlare genericamente di uomini quando si parla di stupri e violenza. Ciascuno risponde di sé stesso, solo di sé stesso.
Hai più volte ribadito che BB è la donna più bella di tutti i tempi, ma ti sei espresso anche in favore di Kate Moss. Oggi, c’è un nuovo sex simbol, ovviamente femminile?
Belle donne tante, però con un potere magico come loro, no. Oggi è molto diverso perché tutto si consuma nello spazio di cinque minuti. Pensa alla politica, Matteo Renzi aveva il 40% dei consensi e dopo poco il 2%. Togliatti, Andreotti, De Gaulle, duravano ben di più.
Un dato biografico. Tuo padre era originario di Marradi. Ti è giunto lo spirito di Dino Campana, in qualche modo?
Lo spirito è dir poco. Mio padre abitava a ottanta metri dalla casa dei Campana che era importante, sul fiume e a metà strada c’era la tipografia che avrebbe dovuto stampare le mille copie dei Canti orfici, ma Campana non credo ne abbia pagate più di cinquecento. Mi chiamò uno studioso del poeta secondo il quale da una carta del Comune di Marradi sembrava che Campana avesse dettato i suoi Canti orfici a un certo Mughini che però faceva errori di battitura e lui s’incazzava. Papà nel 1914 avrebbe avuto quindici anni. È pensabile che fosse stato lui quel dattilografo? Sì, possibile, ma a casa sua non c’era l’edizione originale che invece ho comprato tanti anni dopo.
E la politica. Hai detto più volte che non voti da anni, forse da decenni… Però tutti sanno che sei stato tra i fondatori del Manifesto e direttore responsabile di Lotta Continua e che te ne sei andato dopo poco. Allergia da redazione o ci fu dell’altro?
Politica?! Oh Dio mio, mi sto sentendo male. Chiamami un medico (ride). No, solo qualche volta non ho votato, recentemente pensando proprio a Renzi ho votato PD. In quanto a LC, non avevo rapporti particolari, mettevo la mia firma per far uscire il giornale in edicola come fecero anche Pasolini e Pannella. Nelle redazioni ho lavorato per trent’anni a tempo pieno a Paese Sera e divenni giornalista professionista, all’Europeo, a Panorama che all’epoca vendeva 600mila copie per diciotto anni, non proprio poco. Però è vero, non mi sono mai sentito un uomo di redazione. Giornalista è una qualifica che non sento, ho tratto il mio reddito dai giornali e di questo li ringrazio ma non più che questo, non ho il senso della notizia di giornata e non mi interessa.
Considerandoti tu un uomo del Novecento sono tentato di usare due categorie che oggi non esistono più: sinistra e destra. Ma fino a pochi anni fa c’erano eccome. E tu, che hai certamente una matrice culturale da progressista e radicale, sei stato tra i pochi a consumare un’eresia: scrivere per “Libero”, il quotidiano diretto da Vittorio Feltri. Altro che “compagni addio…”.
E ho fatto benissimo, intanto non è che ci fosse il Washington Post a cercarmi, ero rimasto senza lavoro nei giornali, mi ero dimesso da Panorama, Vittorio - che conoscevo da una vita - mi telefonò dicendomi che avrei potuto scrivere quel che volevo, in totale libertà e pagato benissimo. Oggi non sarebbe pensabile. Ti racconto l’ultima: mi ha chiamato il vicedirettore di un giornale, “avremmo piacere di una sua collaborazione”, avendo un precedente con la stessa testata gli comunico che il mio cachet era di 1.000 euro a pezzo. Non si è mai più fatto vivo, capisco che oggi quella cifra non la darebbero neppure a Borges, però almeno fatti vivo, dì che non interessa o ne te lo puoi permettere, tra uomini si fa così. Da 1.000 a 200 euro proprio no: se io non posso pagare cinque volte in meno quello che compro, perché allora il mio lavoro deve valere cinque volte meno? La produzione intellettuale non ha più valore… Mi chiamano a una trasmissione tv, “noi abbiamo previsto un cachet”, no guardi della cifra ne discute con me, perché uno non vale uno. Questa è una cosa di ferro… uno non vale uno.
Dagli anni ’80 si sviluppa e cresce il tuo rapporto con la tv. Anzi, si può dire che è stata la televisione a offrire inedita popolarità agli intellettuali “non organici” come te, Roberto D’Agostino e Vittorio Sgarbi, spesso parlando d’altro, di calcio, costume e politica. Un’onda lunga durata molto ma che oggi pare in via d’esaurimento perché la tv generalista sta scomparendo ed è assai meno influente sulla vita sociale rispetto all’affermazione di Mediaset. Oggi rispetto a ieri, che rapporto hai con la tv?
A certi livelli essere intellettuale è solo d’impaccio… Una volta ho citato Togliatti, gelo nello studio, la metà del pubblico non sapeva chi fosse e forse neppure il conduttore. Vanno bene le influencer che se non aprono bocca meglio è. In ogni caso dal lavoro in tv ho imparato rapidità, prontezza, sintesi. Se protrai un ragionamento oltre quaranta secondi il pubblico ti lascia e questa è una bella scuola, il batti e ribatti, il ping pong mi piace. Certo, la mia anima raramente è coinvolta ma ringrazio il cielo, senza la tv non avrei pagato bollette e tasse. Vado dove mi vogliono, sono come gli idraulici, quando mi chiamano vado a sturare i lavandini.
Altra nota biografica. Il documentario “Nero e bello” del 1980 dove indagavi l’ambiente della destra neofascista. Mi pare fosse stato Pino Rauti a parlare della teoria degli opposti estremismi, per chi viene dalla sinistra insomma non è poi così innaturale.
È uno dei lavori di cui vado più orgoglioso. L’espressione opposti estremismi sta in piedi, negli anni ‘70 si sono misurati due opposti fanatismi con morti innocenti da una parte e dall’altra. Poi non c’è discussione, fascismo e comunismo sono le due grandi tragedie del Novecento, nate l’una dall’altra, la rivoluzione d’ottobre del 1917 ha innescato la reazione che ha generato nazismo e fascismo. Poi che tutti i nostri amici fossero di sinistra e non di destra non cambia molto. Anche se a ben vedere qualcuno dei migliori, come Stenio Solinas, stava con Rauti e Paolo Isotta, un’intelligenza elettrica, veniva da destra. Divisioni che oggi non hanno nessun senso, viviamo un presente di cui nessuno sa nulla, nessuno sa come verranno pagate le pensioni in Italia tra dieci anni, tanto per dire una cosa banale. Tornando a “Nero è Bello”, orgoglioso perché su Rai2 in prima serata nel 1980 era la prima volta che qualcuno da sinistra parlava dei ragazzi della destra come se avessero due narici e non tre.
Da nero è bello a bianconero è bello. Ai farisei non riusciremo mai a far capire che tifare Juventus è una grazia dal cielo che ci ha evitato periodi della vita tristi e infelici, ma sempre carichi di successi con gli occhi colmi di bellezza.
A dieci anni vivevo a Catania e tra i pochi giocattoli avevo le figurine dei calciatori. Due mi piacquero enormemente, Giampiero Boniperti perché si chiamava come me, ed Ermes Muccinelli, l’ala destra, piccolo e nervoso com’ero in quegli anni, e allora ho preso la decisione di tifare Juve ed è stata la più importante della mia vita per due ragioni, perché mi ha dato grandi gioie e molto reddito, la Juventus ha mercato molto più che l’Atalanta, per dire di un’ottima squadra. Sì, una grazia dal cielo.
Una volta mi dicesti che Michel Platini fosse stato il più forte di tutti i tempi, la sintesi cartesiana dell’esprit de finesse e dell’esprit de geometrie. È ancora lui, oppure CR7…
Se tu in questo momento sulla bilancia mi offri Platini, cinque anni alla Juve e tre volte capocannoniere, e il Cristiano Ronaldo di oggi, prendo Platini perché lui era giocatore per la squadra mentre Cristiano di sé stesso, formidabile nella giocata individuale, la penetrazione, il tiro. Platini riceveva il pallone spalle alla porta e lanciava Boniek a 40 metri.
Dopo nove scudetti di fila, quest’anno dovremmo accontentarci. Pazienza. Meno pazienza, da 25 anni, un quarto di secolo, non vinciamo niente in Europa. Perché proprio non ce la facciamo, oltre confine?
Perché gli altri sono più forti. La Champions l’abbiamo vinta un paio di volte, una caterva di finali perse, alcune per sfortuna. Ora ci fermiamo agli ottavi. Il calcio italiano questo è, non possiamo far finta che non sia così. Se vai a vedere la Juve che innervava nel '78 la Nazionale: c’erano Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli, Causio, Bettega e Paolo Rossi che giocava ancora nel Vicenza e juventino lo diventerà nel 1982. C’è bisogno ripeta questi nomi a lungo… dai..
Per quanto… Chiellini, Bonucci…
Due. E poi nel calcio il caso gioca un ruolo notevole. Nel tennis non è così, sì ci può essere una palla che schizza sulla linea, ma una.
Ho letto che ti piace Jannik Sinner.
Un gran bel giocatore ma non mi trafigge l’anima. Un giocatore di forza, violenza, continuità agonistica, ma se mi metti sulla bilancia di prima Nicola Pietrangeli, non ci può essere gara. Detto questo iddio ce l’ha dato guai a chi ce lo tocca, purché si sappia che è tedesco, non parla quasi l’italiano e scrive su twitter in inglese.
Che pensi di Andrea Pirlo allenatore? Pensi ritornerà Max Allegri?
Lo lascerei lavorare tranquillo, Andrea è intelligente, può solo migliorare e poi non si cambia allenatore ogni stagione. I miei amici dicono che dovremmo andare in ginocchio da Max Allegri e io non ho nulla contro questo punto di vista.
È uscito da poco il Nuovo dizionario sentimentale, quasi trent’anni dopo il primo pubblicato nel 1992. Perché riscriverlo? Cosa c’è di nuovo?
Il titolo era azzeccato già allora perché voleva sottolineare che le cose decisive nella vita sono i sentimenti, non le ideologie, amicizia, lealtà, amore, fedeltà alla parola data. Qui ci trovi la Parigi delle librerie tanto amate, Israele che si batte per diventare una nazione, il ricordo di mia madre, i miei adorati cani.
I ritratti di Marco Pannella e Clint Eastwood. Ultimi eroi di un tempo che non c’è quasi più?
Il politico più rilevante e l’uomo che mi commuove solo a vederlo, che non ha bisogno di aggiungere nulla perché c’è in lui tutto ciò che apprezzo della vita, il coraggio, l’affrontare viso aperto gli avversari, non mentire. Altro che Mao Tze Tung.
E per (quasi) finire. Ti trovo un uomo elegantissimo. La scelta di abiti e accessori mi risulta una vera e propria ricerca di cui vorrei conoscere principi, passioni e idiosincrasie.
Amo la scuola giapponese, a cominciare da Yoshi Yamamoto, che ha rotto certe convenzioni dalla giacca diversa da come la portano i politici italiani, morbida, ti sta addosso, non ti impaccia, che dice qualcosa ma non più del necessario, non posso pensare che i politici siano tutti vestiti allo stesso modo. Basterebbe questo per dire cos’è la politica. Ciascuno deve raccontare una storia e loro no, indossano una divisa.
Tu, Giampiero, nel vestire e negli accessori, racconti tante storie, a cominciare dal colore.
Spero, ma non tutti sono intelligenti come te e lo capiscono. Il colore è nella storia della cultura italiana, pensa a Memphis, a Ettore Sottssass.
Ti sei sposato lo scorso 11 settembre con Michela Pandolfi. State insieme da una vita. Non ti chiedo le ragioni di una scelta così “meditata”…
Dopo trent’anni, passiamo tutta la giornata insieme, quando io schiatterò lei dovrà pagare un fottio di tasse. Però matrimonio è un termine che mi sta… pesante.
Il 16 aprile come festeggerai il tuo ottantesimo compleanno?
In nessun modo. Massimo due amici a cena. Non vado mai in luoghi dove ci siano più di sei persone, eccezion fatta per il salotto di Roberto D’Agostino. Dago è un fratello, le regole con lui non valgono, ma è l’unico caso.