Sabato 4 aprile, giorno della Santa Pasqua, compirò sessant’anni. Ho utilizzato apposta questa espressione così neutra invece di festeggerò poiché, senza cadere subito nel tranello polemico esacerbato da quattordici mesi di immobilità, non mi pare davvero opportuno organizzare una grande festa. Sì che sarebbe stata necessaria, dieci anni dopo la celebrazione del mezzo secolo, e probabilmente l’ultima tonda visto che ai settanta chissà se e come ci arriverò, se e come ci arriveranno i miei amici. Dai lasciamo perdere. In ogni caso il non festeggiare con alcol, danze e casino è una scelta rispettosa del momento e non c’entra con il piegarsi ai divieti. Ogni volta che entro a Torino da corso Unità d’Italia e leggo sul display “di benvenuto” l’avviso “vietati gli spostamenti non necessari” mi ribolle il sangue. Guardate, non ci potete vietare un cazzo voi che avete preso la Costituzione italiana e la state usando come uno straccio: potete al massimo dire “è vivamente consigliato” o usare perifrasi che nella nostra lingua ricca ve ne sono tante, ma questa sospensione della democrazia spero qualcuno la paghi. Fosse accaduto intorno al Sessantotto o negli anni Settanta ne avremmo viste delle belle, mazzate altro che tutti anestetizzati a perdere tempo davanti a Zoom. Fine dello sfogo.
Un sessantesimo compleanno resta pur sempre un evento felice, soprattutto se ci arrivi in buona salute, circondato dall’amore della tua donna, dei tuoi figli, degli amici più cari. Che poi se ci penso bene, la vera età biologica di un sessantenne nel terzo millennio non corrisponde all’anagrafe. Ci vestiamo come dei ragazzi (e infatti i nostri figli ci chiamano boomer), jeans strappati, t-shirt, camicie in denim, giubbotti di pelle. Tatuaggi sulla pelle, bracciali ai polsi, rock nelle vene (solo sulla musica il divario generazionale è incolmabile, loro si alimentano rap, trap e pop di plastica inascoltabile, io mentre scrivo ho messo su i Dream Syndicate). Basta un raggio di sole, anzi basta che non piova troppo, per aver voglia di scendere in garage e prendere la moto, altro che coprifuoco, serie televisive, didattica a distanza, social e stadi vuoti.
Se uno ha tutta la vita davanti non ci bada troppo, ma a sessant’anni il tempo comincia ad avere un valore troppo importante per sperare che i decreti ci restituiscano la libertà di movimento. È matematico che a sessant’anni restino meno chilometri da percorrere rispetto a quanti ne hai già percorsi, ricordando l’esempio di Nanni Moretti in un suo vecchio film, guardando in un metro quanti centimetri hai già vissuto ti viene l’ansia… Io non sono Ted Simon che a oltre 70 ha affrontato una seconda volta il giro del mondo e sono consapevole che molti dei grandi viaggi che ho sempre sognato non li farò e ben mi sta così nella prossima vita non rimanderò più. In fondo però la strada, l’asfalto, hanno la stessa magia sia sull’appenino ligure sia sulle highways americane. Sono convinto che Jack Kerouac avesse ragione quando scriveva che l’importante è andare, non dove andare. Farò così, andrò dove potrò, finché potrò, finché il mal di schiena non mi piegherà in due, anche se mi dovrò fermare più spesso per pisciare, stando attento che i jeans non stringano troppo in vita. E mi rassegnerò a viaggiare da solo. Ho pochi amici motociclisti, il mondo della cultura non è proprio affollato da biker, i più vecchi dicono di essere stanchi, troppo oberati dal lavoro, i più giovani stanno scoprendo le gioie della famiglia, alcuni hanno venduto la moto perché la usano troppo poco (se leggi gli annunci su subito è prova provata come l’arrivo della prole alimenti il mercato dell’usato), mio figlio sedicenne non ne ha più tanta voglia di far da passeggero a un padre esaltato che per farlo scendere ci vogliono le cannonate.
Pazienza. Forse mi iscriverò a qualche gruppo su facebook, contando sul motociclista solitario come me e non sui gruppi organizzati, prima o poi riapriranno le trattorie almeno a pranzo. Mi divertirò a scendere al mare che c’è sempre un colle da attraversare. Se sarò stanco prenderò l’autostrada per far prima anche se è noioso, sennò affronterò le curve con attenzione ed esperienza, evitando rischi inutili e stupidi. Dicono che a sessant’anni la capacità di reazione sia più lenta, meglio tenerne conto.
Nessuna intenzione di mollare insomma. C’è ancora tanta strada da fare e io mi sento ancora pronto. Non resta che regalarmi un’altra moto per il mio compleanno. Altre rate, vabbé non importa, dico sempre che sono le ultime e invece non è vero. D’altra parte mi è tornata voglia di una giapponese e io non sono un tipo da sushi.