La nuova guida Michelin sembra dare un messaggio chiaro: modernità. A far discutere, infatti, sono state le stelle tolte più che quelle date: tolta la stella a Gianfranco Vissani, “decano” della cucina tradizionale, ma alta, italiana. Tolta la stella allo chef Philippe Léivelle e, infine, tolta la stella a Da Arnaldo, il più longevo tra i ristoranti stellati (sessantasei anni continuativi). Ma davvero la Guida sta dando un segnale “culturale” su ciò che la cucina si appresta a diventare? Lo abbiamo chiesto allo chef Guido Mori, docente e tecnologo alimentare, che smonta completamente l’immagine della Guida come di un osservatorio delle nuove frontiere della cucina.
La Guida Michelin vuole “modernizzare” la cucina di alto livello?
No, non c’è nessun desiderio di ammodernamento della cucina orientato anche dal punto di vista della scelta delle stelle e anche delle nuove stelle che sono state assegnate. Uno potrebbe pensarlo se partisse dall’idea le stelle vengano attribuire in modo logico. Invece la questione è molto diversa. L’attribuzione delle scelte Michelin viene curata da una guida privata che non ha un regolamento ufficiale, né mostrato quale siano le competenze di chi va a giudicare. In più non è una guida che dipende dalle copie vendute, dal giornalismo indipendente, ma dai propri sponsor. Questo fa venir fuori un ragionevole dubbio, e cioè che questa guida utilizzi essenzialmente come metro di valutazione l’abbinamento di chi la sostiene dal punto di vista economico. Noi non possiamo pensare e attribuire un sistema di valutazione ordinario e farci sopra un ragionamento su qualcosa che è assolutamente datato e costruito su un sistema aleatorio. Quindi in conclusione dal mio punto di vista mi sento di confutare la tua idea che ci sia un desiderio di rinnovamento. Magari uno ha smesso di comprare la carne da un certo fornitore e questo è quello che raccoglie, cioè l’esclusione dalla guida.
Ma davvero i ristoranti stellati sono la nuova frontiera della cucina?
I ristoranti stellati, presi come riferimento della cucina internazionale, soffrono di un gigantesco problema, il reddito del ristorante. Di ristoranti stellati che davvero facciano guadagno ce ne sono pochissimi, se non nessuno. I ristoranti stellati guadagnano con attività secondarie, come le comparsate in tv o le consulenze. Questa problematica disattiva il rapporto con la società. Questi ristoranti non sono rappresentativi della società in cui siamo. Rappresentano solo l’idea che gli chef hanno della cucina, spesso un’idea totalmente capziosa e astratta. Semplicemente non fanno i conti con i clienti, con la vita reale, con l’economia reale di un Paese e così via. Quello che viene fuori è la completa assenza di una riflessione sul mondo.
Gli chef stellati sono davvero i migliori al mondo?
C’è una vera psicosi quando si assegnano le guide. Ma non è chiaro perché. Come detto, da una parte abbiamo una guida Michelin che non ha criteri chiari, dall’altro abbiamo gli chef della guida Michelin che non hanno nessun legame con la realtà esterna, lo status economico dei loro clienti e così via. Infine abbiamo un terzo problema, legato ai chef anche più blasonati, ovvero l’ignoranza in materia. A titolo di esempio, una volta ho discusso con uno chef stellato non italiano, che sosteneva che l’alluminio fosse cancerogeno. Quindi gli ho mostrato la normativa vigente in Europa, spiegandogli che se si rimane entro i margini di lavoro consentiti dalla legge, non c’è niente di male. E lui ha continuato a dire che non era vero. Ecco, uno che non conosce i dettagli tecnici dei materiali che usa, come può pensare di amministrare un locale e costruire un’impresa? E questo sono le basi, eh.