Andrea Sempio, indagato nella nuova inchiesta sul delitto di Garlasco per l’omicidio di Chiara Poggi, è tornato a parlare durante la trasmissione Porta a Porta. Cinque minuti in cui ha fatto un racconto trasversale: dalla sua condizione personale su come vive il nuovo filone d’indagine, dall’accusa di essere l’assassino della sorella di uno dei suoi più cari amici fino alla probabile presenza del suo dna sotto le unghie della vittima. Sempio parla di una vita che ormai sente non appartenergli più, dal momento che a suo dire vive come se si trovasse sotto assedio: "Noi abitiamo davanti a una strada chiusa, davanti casa mia ormai è sempre pieno di giornalisti sempre. Ma io non posso nemmeno girare per strada. Se dovessi andare in centro a Pavia, dopo un po’ le persone ti fermano, ti filmano, iniziano a pronunciare il tuo nome a voce alta. Ho ovviamente i miei amici, una parte sono i ragazzi che sono stati coinvolti nella vicenda, quindi con loro abbiamo chiuso i rapporti per evitare malelingue. Ho anche altri amici non coinvolti in quel fatto, ma non è facile: ovunque vai ti seguono, quindi se li beccano con me poi iniziano a seguire anche loro". In trappola nella casa di famiglia: "Se dovessi fare un giro diverso dal solito, andare in un’altra città, poi potrebbe venir fuori che la mia macchina è stata vista lì, perché sono andati lì. Devi vivere in uno stato di paranoia. Anche quando parlo con i miei genitori devo soppesare ogni parola. Devi avere sempre la paranoia, non c’è altro termine, che qualcuno stia ascoltando e che possa fraintendere e che poi magari quella cosa detta possa un domani uscire sui giornali". Ma che rapporto c’era tra lui e Chiara Poggi? “Tra me e Chiara c’erano sette anni di differenza. In pratica eravamo due mondi diversi, non avevamo una vita che poteva portarci in contatto. È vero che ho giocato al pc di Chiara, ma non ho mai avuto accesso al computer, ero sempre con Marco". Sempio ha poi detto la sua sull’impronta 33 trovata sulla scala che porta alla taverna. Lì dove è stato ritrovato il corpo senza vita di Chiara Poggi: "Ho molti dubbi che sia attribuibile a me. Anche se fosse, non essendo una traccia insanguinata, non sarebbe strano. È semplicemente un’impronta sul muro. Non andavo spesso in cantina, ma 3 o 4 volte ci sono stato. Può essere che sia rimasta, onestamente non mi stupirebbe. Poi si continua a parlare di Dna nonostante in realtà non sia stato trovato Dna completo. Nessuna consulenza arriva mai a dire con certezza che ci sia Dna di Sempio. L’unico punto in cui concordano è che c’è qualche traccia parziale, che non ha criteri per essere attendibili, e che alcuni punti di una parte di quello potrebbero essere di Andrea Sempio, di qualche familiare o di qualche persona che condivide lo stesso aplotipo. Ma anche le consulenze più ‘cattive’ non arrivano mai a puntare il dito contro di me. La cosa che mi fa venire dubbi è che se quella traccia fosse stata lasciata durante l’aggressione, sarebbe netta. Al termine dell’incidente probatorio, male che vada, arriverà sempre alla stessa conclusione: una traccia comunque non precisa che in via astratta possiamo tentare più o meno di ricondurla nella direzione di Sempio".
L’alibi fornito da Sempio per il delitto è uno scontrino del parcheggio di Vigevano, dove era andato per comprare un libro proprio nel giorno di chiusura del negozio: "Era la settimana di ferragosto, non c’era nulla da fare, gli amici non c’erano e perdevamo tempo così. Lo scontrino l’ho tenuto per quello che era successo. Io quella mattina sono stato a Vigevano, poi è successo questo evento, ho ritrovato questo scontrino e ovviamente l’ho conservato. Non sono stato l’unico a fare una cosa del genere: c’è chi ha portato passaporto, movimenti del bancomat, segnature del lavoro. Nel 2007, nel nostro giro di amici, tutti siamo stati sentiti, era palese che sarebbero venuti a farci domande: tutto quello che serviva a spiegare la tua giornata serviva". Poi un punto “oscuro”, le telefonate fatte a casa Poggi quando Marco era in vacanza con la famiglia in Trentino. Sempio era consapevole che l’amico non c’era, quindi perché chiamare? "Non sapevo quando sarebbe tornato. C’è un’altra cosa che non è mai uscita, non so come mai: c’è una persona che ha fatto la stessa cosa, non dirò il nome per non tirarlo in mezzo. Lui era amico del padre di Marco e Chiara, ha cercato di contattarlo, senza riuscirci. Chiama a casa Poggi e parla con Chiara, si fa dire quando sarebbe rientrato e poi non chiama più. Ha fatto la stessa cosa che ho fatto io. Una chiamata l’ho fatta per sbaglio, la seconda ho parlato con Chiara, la prima non ne sono sicuro". E su come sarà la vita alla fine di tutto: "Cosa sogno quando questa storia sarà finita? Forse l’oblio, di tornare alla mia vita, vedremo quanto sarà possibile. Finché si tratta di buttare fango, la macchina dei media si impegna parecchio, poi per smantellare il castello di fango ce ne vuole: come successo nel 2017, la notizia dell’archiviazione passa in sordina. Non penso di cambiare città. Mi ero già spostato per ragioni di lavoro da Garlasco, da tempo la vivevo appieno. Io ho questa fama involontaria in tutta Italia: a Roma, quando arrivo alla stazione Termini, tre o quattro persone che mi riconoscono ci sono. Io però non mi vergogno a girare per strada, non sento di dovermi nascondere. Vorrei cancellare quello che è stato, ma per l’oblio che mi piacerebbe avere sarà lunga". E Alberto Stasi, al tempo fidanzato di Chiara e condannato per il suo omicidio, di sentirsi indagato e perseguitato per anni ne sa qualcosa. Eppure, che in realtà possa essere innocente, ora è più che un’ipotesi…