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Intervista totale all’italiano più famoso del Giappone! Girolamo Panzetta, da “uomo medio” a venerato come un samurai: “Grazie al trucco delle lettere per avere più spazio in tv…”

  • di Gabriele de Risi Gabriele de Risi

23 settembre 2025

Intervista totale all’italiano più famoso del Giappone! Girolamo Panzetta, da “uomo medio” a venerato come un samurai: “Grazie al trucco delle lettere per avere più spazio in tv…”
Abbiamo intervistato una star del Giappone. Non un idolo pop, ma un personaggio molto più complesso: attore, presentatore, modello, cuoco. Si tratta di Girolamo Panzetta, che si è guadagnato la fama iniziando come comparsa, per poi diventare il maschio alpha per eccellenza. E ora? Vuole far diventare figo anche il contadino...

di Gabriele de Risi Gabriele de Risi

Italians do it better. Lo dichiarava negli anni '80 la t-shirt di Madonna nel video Papa don’t preach. E in effetti un po’ aveva ragione. Gli italiani che lo fanno meglio sono tantissimi. E a noi ci sale l’orgoglio nazionale quando qualcuno ottiene riconoscimenti all’estero. Non sempre però. A volte il successo planetario genera invidie e gelosie e i rappresentanti del Bel Paese nel mondo diventano bersaglio di feroci shitstorm. E non bastano gli appelli di Big Mama e Alessandra Amoroso, finiamo sempre lì: loro sono famosi e tu no, loro sono ricchi e tu no, loro frequentano il jet-set e tu l’oratorio. Ma allora, come saziare la fame di fama senza finire nel tritacarne del giudizio patriottico? È quasi impossibile. Meglio emigrare dove non ci conosce nessuno, magari accettando un lavoro umile per sbarcare il lunario mentre si cerca la via verso il red carpet, senza mai dimenticare la regola d'oro: essere sempre se stessi. Troveremo un modo per incuriosire i locali, iniziando magari col cantare ’O sole mio in qualche programma televisivo scalcagnato, oppure recitando come comparsa in telenovelas di quart’ordine. La gavetta sarà lunga, ma con un po' di talento e una buona dose di cazzimma, diventare famosi in altri mondi è possibile. Di esempi ce ne sono. Se vi dico Matteo Guidicelli? Non è il geometra del catasto di Caronno Pertusella, ma un cantante e attore filippino con padre italiano da oltre 3 milioni di follower su Instagram. E Paolo Rotondo? Lo so che vi ricorda il professore di scienze delle medie, ma è un regista di origine napoletana che abita in Nuova Zelanda. Annovera nel suo curriculum un ruolo minore nella serie cult Xena principessa guerriera e dirige un festival di cinema italiano. Ma la storia di successo più curiosa di un italiano all’estero è un’altra. Sembra la trama di un film: accompagni un amico a un provino e alla fine scelgono te, cambiandoti il destino. È la storia vera di Girolamo Panzetta, da quasi trent'anni l'italiano più famoso in Giappone. Da quando esiste il web, ogni due o tre anni qualcuno in Italia gli dedica un articolo. Lo ha beccato persino Pif nel suo programma Il Testimone, intervistato da Gianluca Vitiello nel documentario Napolitaners e giuro di averlo visto una volta a Uno Mattina salutare in diretta da Tokyo gli ospiti in studio, che non si capacitavano del suo successo. E lo so che voi starete pensando e sti cazzi, ma prima di giudicare leggete il suo curriculum, che profuma di talento e tenacia. Girolamo Panzetta classe 1962, irpino di nascita e napoletano di adozione. Improvvisamente viene catapultato a fine anni novanta nella televisione giapponese e diventa un fenomeno. Ma veramente un fenomeno. Tutti lo amano, tutti lo vogliono. Ha un’anima poliedrica e cambia pelle a seconda delle circostanze. E così diventa attore per i drama televisivi, presentatore, opinionista, modello e cuoco. È finito nel libro del Guiness World Record per aver ottenuto più copertine consecutive sul giornale di moda giapponese Leon. E sulla cresta dell’onda ha consolidato una immagine da dandy contemporaneo. Una maschera che rappresenta un preciso ideale maschile nipponico, ma che per tanti aspetti è facile confondere con il classico stereotipo italiano pizza, donne e dolce vita, ma senza mandolino, visto che non lo sapeva suonare. Noi di MOW gli abbiamo chiesto di raccontarsi. Ecco cosa ne è uscito.

Girolamo Panzetta
Girolamo Panzetta ©LeonMagazine e ©Girolamo Panzetta

Girolamo, ogni tot anni qui in Italia si torna a parlare di te come dell’italiano più famoso in Giappone. Ma quasi sempre sei descritto come l’interprete di un cliché un po’ stantio. Non ti dà fastidio?

Credo ci sia un po’ di confusione. Se per gli italiani il mio personaggio è la caricatura di certi luoghi comuni maschili, per i giapponesi rappresento tutt’altro.

Spiegaci meglio.

Quando ho fondato il magazine di moda Leon insieme al mio socio giapponese, volevamo creare una rivista che rappresentasse gli ideali e le aspirazioni di un certo tipo di uomo, profondamente giapponese. Un uomo un po’ dandy, a cui piace circondarsi di cose belle, che può permettersi acquisti di lusso, che sa godersi la vita. E a cui piacciono le donne. Ma abbiamo capito che per interpretare questo tipo di uomo fosse meglio scegliere modelli occidentali. Allora abbiamo usato il mio corpo, la mia faccia e le mie espressioni per mettere in scena sogni che i giapponesi si vergognano a confessare per il timore del giudizio e della pressione sociale.

Eppure, all’inizio della tua carriera interpretavi il famoso stereotipo nella trasmissione di lingua italiana della NHK.

Gli autori mi avevano proprio chiesto questo: recita l’italiano medio. E quella è stata la mia fortuna. Ma adesso non sono più così. Poi cosa devo dirti?
L’importante è che se ne parli, così anche mia madre e i parenti capiscono che cosa faccio nella vita.

Anche la mia non ha ancora capito che lavoro faccio.

Mia madre, quando legge un articolo su di me è molto orgogliosa. Non so quanto possa comprendere del mio mestiere. So che quest'anno ne sono usciti alcuni sui media italiani: si vede che sono considerato ancora un fatto curioso. Però alcuni erano un po’ sciocchi. I miei collaboratori si stupiscono che io non ci rimanga male. Ma va bene così. Non mi fermo davanti al pettegolezzo e alle malelingue. Io cerco sempre di creare. Lo sai che ho scritto una quarantina di libri, di cui due sono diventati bestseller in Giappone?

Io pensavo ne avessi scritti solo due. Ero male informato.

Ho scritto molti libri sulla cucina. Io non sono un cuoco, però sono curioso. Andavo in giro per le regioni italiane e convincevo gli chef a cucinare con me. Loro preparavano i piatti e io raccontavo le storie e i sapori della loro terra. Ho raccontato Napoli quando non era ancora così turistica, ispirandomi ai primi lavori di Luciano De Crescenzo. Così, all'epoca, molti giapponesi si sono appassionati alla Campania, alla costiera Amalfitana e a Napoli. Avevo citato nel libro l'esistenza di un'associazione di pizzaioli, e qui in Giappone sono pazzi per le associazioni. Un editore di Brutus (uno dei magazine più famosi del Sol Levante) ha letto il mio libro e ha scritto un redazionale. Da lì è nato il boom della pizza, soprattutto quella napoletana doc.

Girolamo Panzetta con una modella nel backstage di Leon
Girolamo Panzetta con una modella nel backstage di Leon ©LeonMagazine e ©Girolamo Panzetta

Quindi torni spesso in Italia?

Certo! Giro ovunque, per le sfilate di moda e per la televisione. A me piace scoprire le storie della gente. Ho seguito i trifulai con i loro cani alla ricerca di tartufi, sono andato in mare con i pescatori, ho mangiato con i contadini e parlato con i centenari sardi. I giapponesi conoscono molto bene l‘Italia e la sua storia, e se scrivi cose inesatte, poi ti sgridano.

Nel senso che ti fanno la ramanzina per strada?

No, ti sgridano online. Mi è successo una volta: avevo sbagliato una data e mi inviarono una mail per correggermi. Questo mio errore mi ha fatto capire che è sempre meglio informarsi prima, invece di essere superficiali e scrivere solo per riempire un foglio bianco.

In un articolo del Post di quest’anno Flavio Parisi dice che sei diventato famoso grazie alla posizione lavorativa che aveva tuo suocero all’interno della NHK. O almeno questa è la leggenda che gira sul tuo conto.

Ti fermo subito. Non è vero. Questa storia la sento da molto tempo. E qualcuno ci ha creduto. Diciamolo: mio suocero aveva una piccola azienda che vendeva spazi pubblicitari. Non è mai stato manager, direttore o altro di cui ho letto. Mio suocero non mi ha mai aiutato.

E allora possiamo spiegare un po’ della tua fortuna?

Quando mi sono trasferito a Tokyo per amore ho iniziato a studiare il giapponese in una scuola fondata dai francescani. La NHK cercava una comparsa per la sua trasmissione di lingua italiana. Avevano scelto un mio compagno di corso, che mi chiese di accompagnarlo al provino. Lo feci anche io per gioco. Il testo prevedeva una conversazione tra un uomo e una donna. Io interpretai la donna come un "femminiello" napoletano e l'uomo in un modo un po' stereotipato. È stata la mia vittoria alla lotteria. 

Cosa facevi in questa trasmissione?

La NHK è una rete molto tradizionalista. In trasmissione c’erano professori della Todai (una delle università più famose del Giappone), e io dovevo solo dire “Buongiorno” e “Buonasera”, vestito da cameriere. Era un po’ frustrante. Col tempo ho cercato di parlare con gli occhi: ammiccavo e sorridevo, perché sapevo che era l’unico modo per comunicare con il pubblico. Iniziarono ad arrivare lettere dei telespettatori che chiedevano di farmi parlare di più. Mi trovavano simpatico. La NHK è paragonabile alla Rai: paghi il canone e tutti quelli che ci lavorano sono molto attenti ai commenti e ai giudizi dei telespettatori. Quando mi dissero che arrivavano lettere in redazione, feci una furbata: chiesi ai miei amici di spedirne altre, tutte con scritto “Fate parlare Girolamo”. Usai questo trucchetto e così iniziarono a darmi più spazio.

Girolamo Panzetta nella sua risaia
Girolamo Panzetta nella sua risaia ©LeonMagazine e ©Girolamo Panzetta

E come è avvenuta la trasformazione da comparsa a presentatore?

Non mi pagavano tantissimo e quel poco che prendevo lo spendevo in vestiti. Volevo essere notato. Lì tutti erano seri, in giacca e cravatta, mentre io ero colorato e un po’ euforico. Alcuni designer di moda mi contattarono perché volevano che indossassi i loro abiti. Mi sono accorto che il pubblico non guardava il programma per imparare l’italiano, ma per divertirsi con me: ero diventato una sorta di burlone. Ma ero anche d’ispirazione: grazie a me crescevano gli amanti dell’Italia e si moltiplicavano le scuole. E più cresceva l’audience, più entravano i soldi. Abbiamo iniziato a girare in Italia e a costruire qualcosa che all’epoca non esisteva nella TV giapponese.

Negli anni '90 c’era molta curiosità verso l’Italia. Ma adesso è ancora così o questa febbre è scesa?

Diciamo che l’interesse è un po’ calato, ma c’è comunque curiosità. È diminuito anche perché lo Yen ora vale meno dell’Euro e i giapponesi non viaggiano più come una volta. Viaggia soprattutto chi è ricco, che spende ancora in marchi italiani che restano per loro uno status symbol.

Ti senti preso d’assalto dagli altri italiani che cercano il successo in Giappone o sul web?

Sai, in Giappone c’è veramente spazio per tutti. Ognuno ha le proprie passioni e queste vengono seguite e valorizzate. Io mi sono trovato un mio spazio: prima nel mondo dell’entertainment, poi nel fashion e nell’editoria. Quello che mi chiedo è: perché criticare gli altri? Viviamo in un mondo dove puoi comunicare ovunque e con chiunque. Puoi creare il tuo canale televisivo su YouTube, raccontare cose nuove e curiose su TikTok e Instagram. Io guardo molto a chi fa queste cose e mi piace chi propone novità. Quando leggo articoli su di me che mi dipingono come il “furbetto del quartiere”, lo trovo un peccato. Perché perdere tempo a scrivere cose inventate? Non sarebbe meglio contattarmi per sapere la verità?

Flavio Parisi de Il Post ha chiuso l’articolo dicendo che ti ha contattato su Instagram, ma che tu non gli hai risposto.

Ti dico la verità: non avevo visto il messaggio perché era finito nella cartella delle richieste. Quando ho letto l’articolo, sono andato a cercarlo. Mi aveva scritto: “Ti devo fare un’intervista, per favore, grazie”, senza presentarsi. Ma lasciamo stare. Io l’ho comunque ringraziato; non credo che il signor Parisi fosse in cattiva fede nei miei confronti.

Sulla scia di questo pezzo sono usciti anche sul Gambero Rosso e Repubblica articoli su di te che cucini insieme a una giapponese la carbonara con la pancetta piacentina. Ma è un video di 15 anni fa.

Si vede faccio ancora colore.

Ma adesso cosa stai facendo? 

Mi sto appassionando alla coltivazione biologica. Ho due risaie e sto ristrutturando una casa antica abbandonata. Metà della popolazione giapponese è composta da anziani. Sono longevi, è vero, ma prima o poi… capisci? Nelle campagne ci sono moltissimi luoghi meravigliosi, mistici e verdissimi, ma spesso abbandonati. Non c’è una nuova generazione, che ormai si è trasferita nelle grandi città. I giovani vedono il lavoro in campagna come degradante e poco redditizio. Io ho pensato: “Ma se il lavoro del contadino fosse cool e gratificante?

Anche in Italia ci sono dei contadini che si sono trasformati in content creator. Promuovono una vita senza stress, più sana e a contatto con la natura. Punti a questo?

Con le mie risaie voglio offrire un’opportunità di lavoro ai giovani per farli restare e creare con gli anziani una comunità viva e capace di dare un futuro al territorio. Sto sviluppando una campagna di marketing e comunicazione che punta a far diventare cool la figura del contadino. Credo che le coltivazioni biologiche e il recupero dei paesaggi rurali tradizionali possano essere dei volani per il rilancio di questi territori. La prima casa che ho ristrutturato si trova ad Aizu, nella regione del Tōhoku. Vorrei trasformarla in una sorta di agriturismo.

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Girolamo Panzetta on stage ©LeonMagazine e ©Girolamo Panzetta

Aizu è una meta turistica molto particolare. È famosa in Giappone per la storia dei Byakkotai, i samurai suicidi.

Infatti questo paese è rimasto molto legato a quel periodo di metà 800 e ci sono molte case antiche abbandonate. Qui non sono passati i caccia bombardieri della Seconda Guerra Mondiale. Non vedo l’ora di inaugurarla.

Immagino farai le cose alla Girolamo Panzetta.

Certo. Ho già contattato 20 chef Francesi per fare un evento di beneficenza. Vorrei che cucinassero ricette fusion con i prodotti del luogo. Faremo una grande festa sotto il Castello di Aizu. E quello che voglio è rivalutare questi luoghi, aiutare la comunità e dare ai giovani un nuovo obiettivo. Poi magari qualcuno diventerà un leader di questo progetto e potrà portarlo avanti da solo.

Ma i giovani dove li trovi, visto che stanno tutti fuggendo?

Si legge sempre che il Giappone è un paese bello e divertente, ma ci sono realtà che pochi conoscono. Gli orfanotrofi sono pieni di ragazzi soli, le madri single fanno fatica a mantenere i figli. E ci sono anche studenti universitari incuriositi dal progetto. Io vorrei cercare di coinvolgerli tutti. Ogni mese vengo qui ad Aizu e porto sempre nuove persone. Abbiamo anche collaborato con ingegneri che hanno creato una macchina in grado di replicare una tecnica di coltivazione antica: in alcune zone si usava mettere delle oche nelle risaie, perché mangiavano erbacce e insetti, e questo macchinario fa la stessa cosa. Assomiglia al robot che pulisce la casa… ce l’avete anche voi?

Sì. Ce l’ha mia zia. Insomma, il tuo prossimo ruolo sarà quello del Dandy contadino?

Perché no? I giapponesi, quando si appassionano a una persona, la seguono ovunque e la supportano, un po’ come fanno con i gruppi di idol. Io vorrei che i giovani vedessero in questi luoghi un’opportunità per cambiare e ritrovare la bellezza perduta. È anche un modo per creare nuove connessioni. Tutti vanno a Tokyo, Kyoto e Hiroshima, ma pochi vengono da queste parti. Eppure anche qui è Giappone, ed è meraviglioso. Per ora ho due risaie: una ad Aizu e l’altra ad Awaji-shima, un altro posto fantastico che consiglio di visitare.

Com’è cambiato il Giappone dal giorno del tuo provino?

Secondo me è stato violentato. Possiamo dire che internamente non è cambiato, ma a causa dell’overtourism ci sono aspetti che pochi conoscono o notano. Il cibo è peggiorato: non ovunque, ma la qualità si è molto abbassata. Kyoto è cambiata, quasi invivibile ormai. Gli unici contenti sono i tassisti: prima non volevano i turisti, adesso sono ben felici di portarli ovunque. La cosa che mi fa più ridere è vedere gli stranieri con il kimono: fa molto…come dire…fake.

Oltre ad essere cambiato il Giappone sono anche cambiati i tempi. Tu incarni ancora questa immagine maschile seduttiva. Che non è tipica dell’uomo giapponese. Fa ancora presa questa figura in Giappone?

L’uomo giapponese vorrebbe essere così: per questo quel personaggio è ancora attrattivo. Il magazine Leon che ho fondato è nato proprio con questo obiettivo, rivolto a uno specifico target: l’uomo ricco con famiglia che ha dato molto ai figli e alla moglie, ma che col tempo si è un po’ trascurato. Insieme allo “chef editor” volevamo colpire proprio quel tipo di pubblico, farlo alzare dalla sedia e urlargli: “Prenditi cura di te stesso, non lasciarti andare, e vedrai che anche le ragazze ti noteranno”. Trent’anni fa era difficile vedere per strada uomini di una certa età accompagnati da ragazze giovani. A un certo punto c’è stato il boom del fenomeno enjo kōsai (fenomeno nato negli anni ’90 che indica incontri a pagamento tra uomini adulti e studentesse, spesso in cambio di regali o, in alcuni casi, di prestazioni sessuali. ndr). Le ragazze hanno iniziato a interessarsi all’uomo maturo e ricco perché spendeva soldi per loro, le riempiva di regali e offriva un certo agio, nonostante fosse sposato. Noi cercavamo di indicare una strada, ma solo per il modo di vestire; non volevamo in alcun modo istigare al tradimento o alla prostituzione. Oggi l’immagine di Leon è cambiata: siamo più eleganti e lavoriamo con grandi marchi del lusso. Ma gli uomini di una certa età e di una certa classe sociale conservano ancora quel modo di vivere. Hanno la famiglia a casa, ma frequentano i night club di Ginza. Le mogli sanno delle relazioni extraconiugali dei mariti, ma sanno anche che torneranno sempre da loro. Alcune famiglie giapponesi - e credo un po’ ovunque - si amano ancora, anche se dopo anni il rapporto diventa simile a quello tra fratelli: così si crea un tacito accordo. 

Panzetta nel backstage con una modella
Panzetta nel backstage con una modella ©LeonMagazine e ©Girolamo Panzetta

Il Giappone è famoso per essere un paese maschilista. Portare avanti questo modello secondo te è positivo?

In un certo senso sì. Se non fosse stato positivo sicuramente il giornale sarebbe morto subito. Invece tutti i brand di lusso investono su di noi. Poi ti ripeto non facciamo più riferimento a quel tipo di persona. Diciamo che piace ancora il modello dell’uomo dandy, elegante e un po’ seduttore. 

Quindi possiamo dire che il tuo pensiero non è maschilista, ma un po’ dandy?

Sono l’uomo a cui piace essere circondato da tante donne. Io rispecchio quello che vorrebbe essere l’uomo giapponese, o di alcuni giapponesi.

Però diciamolo al pubblico. Tu non sei così. Perché sennò non ne usciamo più.

Ma no! Una volta ero a Fukuoka per lavoro ed ero molto stanco. Volevo starmene per i fatti miei e girare la città. Sono finito in un sushi bar e un ragazzo mi ha riconosciuto, chiedendomi: “Perché non sei con una bella donna?” Vedi, alla fine sono gli altri a desiderare di essere come me, nel bene e nel male. La linea editoriale di Leon si basava su questa idea, e quindi io sono diventato il modello su cui costruire quel desiderio.

Mi sa che non ne usciamo più.

Meglio cambiare domanda.

Tu sei in copertina su Leon da 24 anni. Hai accesso ad abiti e auto di lusso, conosci i designer più famosi del mondo. Selvaggia Lucarelli ha criticato questi contenuti dicendo che ormai l’ostentazione e la celebrazione del superfluo crea più fastidio che ammirazione. In Giappone com’è la situazione?

C’è ancora ammirazione, anche se spesso capita che alcuni influencer, per ostentare, mentano e si facciano foto accanto ad auto che non sono loro.
Io pubblico contenuti diversi a seconda dei social: su YouTube mi diverto a cercare il collezionista maniacale, non a mostrare ciò che possiedo. Le cose che ho mi piace condividerle nel privato e con gli amici. Comunque, il lusso in Giappone “tira” ancora. Una volta la classe media giapponese era ricca, oggi invece la forbice si sta allargando. La classe media è stata smantellata: ci sono sempre più poveri e pochi ricchi, che diventano sempre più ricchi. E quei ricchi spendono, e ovviamente guardano il nostro giornale.

Fai parte del mondo dell’entertainment giapponese dagli anni novanta. Nell’ultimo anno questo mondo è stato protagonista di scandali per molestie. Cosa ne pensi di quello che è successo?

Sono sempre esistite situazioni simili in Giappone. Lo scandalo dell’agenzia Johnny & Associates - il fondatore Johnny Kitagawa è stato accusato e denunciato per molestie sessuali - ha scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora. Un tempo la televisione era molto potente e le case di produzione controllavano i vecchi media. Oggi, con i social, le notizie corrono più velocemente e alcuni personaggi del mondo della musica hanno avuto il coraggio di raccontare attraverso questi canali i problemi vissuti dietro le quinte. Quando una persona parla, i giornali di gossip giapponesi girano il coltello nella piaga, creando scandalo, portando prove, immagini e testimoni. Il rischio in questo mondo è di avere molti finti amici che sono pronti a buttarti giù dalle scale.

Però parliamo di violenza predatoria e manipolazioni psicologiche…

Spesso in Giappone accadono queste cose. Ricordo il comico Hitoshi Matsumoto, che si ritirò dalle scene per andare a processo per accuse di violenza carnale. Prima il mondo dello spettacolo era piccolo: nell’ambiente tutti sapevano, ma i giovani cantanti non riuscivano a parlare, vuoi per vergogna, vuoi per paura. Oggi invece hanno più coraggio e si sentono supportati dalla community online.

Girolamo Panzetta nella sua risaia
Girolamo Panzetta nella sua risaia ©LeonMagazine e ©Girolamo Panzetta

Sono sempre gli uomini però…

In Giappone si dice “powa hara”. Le persone che hanno potere. Qui creano violenza iniziando dalle parole. Ti annientano psicologicamente. A volte ti rendono schiavo. Schiavo del lavoro, del tuo superiore. Ti ricattano e minacciano di lasciarti in mezzo a una strada. Qui c’è anche il problema dell’alcol. I colleghi escono a bere e spesso accadono brutte cose, che fanno fatica a ricordare. E parliamo di molestie fisiche spesso a discapito delle donne.

Segui invece quello che succede in Italia?

Sì, m’interessa. Seguo molto anche la politica e vengo spesso invitato nei talk show per dire cosa penso del mio Paese. Però, sai, quando la politica arriva al momento di essere praticata davvero, cambia. Credo sia un classico in tutti i Paesi. Io vivo in un Paese dove per i diritti delle minoranze si investe poco. Il Giappone è apparentemente democratico, ma in realtà è molto più a destra dell’Italia. Pensa che persino la politica giapponese voleva coinvolgermi come nuovo volto del Jimintō (Partito Liberal Democratico), ma non ho voluto mischiare le cose. La politica è un terreno fragile: anche lì rischi di essere schiacciato e messo da parte.

Non ti chiedo cos’hai votato l’ultima volta.

Lavoravo in quei giorni. Ho fatto tardi. E non ho votato.

Come ti vedi fra 10 anni?

Sono molto focalizzato sul progetto legato all’agricoltura: è questo che mi entusiasma. In televisione lavoro meno rispetto a un tempo, ma continuo comunque a esserci. Vorrei usare il mio personaggio per suscitare curiosità su altri argomenti, portando novità in Giappone. L’agricoltura per me rappresenta un ritorno alle origini. Devo molto al Giappone e vorrei ringraziarlo contribuendo in questo campo.

Ma hai un tuo erede? 

Per quello che ho fatto, non credo ci sia nessuno. Tutti questi influencer litigano continuamente tra loro. Io mi considero una persona gentile e sensibile: so chiedere scusa e so parlare al momento giusto. Ho creato un’alchimia con le persone con cui ho lavorato. Guarda con Leon: ci vogliamo bene da più di vent’anni. È la sincerità che paga, almeno per me è stato così. In tutti questi anni ho sempre pensato di avere in mano la lampada di Aladino, ma la convinzione più forte è stata credere che dentro ci fosse davvero un genio. Se ci credi tu, poi ci credono anche gli altri.

Quindi ti vedremo in giro ancora un po’?

Su Leon sicuramente. Abbiamo iniziato insieme, quasi per gioco. Ora rappresento la loro identità. Prima o poi la carta sparirà, e forse anch’io con essa. Sul sito web di Leon sono meno presente, ma non credo che farò questo mestiere per sempre. Ho 62 anni: magari un giorno comprerò tutte le quote di Leon e troverò un altro modello che mi sostituirà.

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