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Da TikTok al Mart: la poesia "risemantizzata" di Pietro Fanelli è solo marketing travestito?

  • di Flaminia Colella Flaminia Colella

  • Foto di: Instagram

22 settembre 2025

Da TikTok al Mart: la poesia "risemantizzata" di Pietro Fanelli è solo marketing travestito?
Un noto museo italiano, il Mart di Trento e Rovereto, affida laboratori di arte e letteratura a Pietro Fanelli, influencer e modello. La polemica, fatta emergere da MOW, è esplosa. E ora una poetessa (vera) come Flaminia Colella si chiede: ma il marketing ormai vale più della poesia?

Foto di: Instagram

di Flaminia Colella Flaminia Colella

Il mondo forse si è smarrito, “correndo con auto velocissime su strade secondarie”, scriveva Thomas Eliot nel 1934 ne “I Cori da La Rocca”, predicendo lo smarrimento della rotta che la nave dell’uomo occidentale avrebbe conosciuto nei tempi a venire. È certamente un eufemismo oggi affermare che ci ritroviamo sprofondati in tempi oscuri, e che stiamo diventando più stupidi, più miopi, e più inetti. Mi viene in mente questa immagine eliotiana, e nient’altro, se mi si chiede di commentare la scelta di un noto museo italiano (il Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto) di incaricare l’influencer "iampietrofanelli", al secolo Pietro Fanelli, di svolgere laboratori di arte e di letteratura destinati agli studenti di scuole medie e superiori. Fanelli, uomo piacente - non c’è dubbio - e divulgatore social (naturalmente di sé stesso), non ha scritto neanche un libro, non si conosce per alcun merito artistico, insomma non si comprende quale correlazione possa esservi tra tale dandy contemporaneo e il fare cultura, e con l’insegnamento dell’arte, più in generale, al di là delle fattezze angeliche che rivendica (ostenta?) con orgoglio, (facendo certamente bene), come grazia ricevuta dal divino. Non è intenzione di chi scrive porre limiti alla Provvidenza: Fanelli potrà ben rivelarsi ottimo poeta, in futuro, chissà, e sotterrare tutti i competitori. Neppure qui ci interessa bigottissimamente scagliarsi o censurare il possibile match tra cultura pop e cultura “alta”, tra mandarinato accademico e arte della strada dei non addetti ai lavori, e così via. Non occorre neppure profondersi nella trita e logorroica lamentela sulla decadenza culturale che affligge le istituzioni e che conduce a scelte grottesche in fatto di marketing - posto che di ciò si parla nel caso Fanelli – né argomentare su quanti validi letterati, poeti, critici e storici dell’arte esistano in Italia che sarebbe meglio si trovassero al posto di Fanelli oggi. Non val la pena neanche spendere una riga sulla clownesca e arzigogolata sbrodolatura con cui il Mart ha risposto, via comunicato stampa, al profluvio di critiche (peraltro cattive e maldestramente motivate) che ha raggiunto il tiktoker-modello a seguito della divulgazione della notizia della sua collaborazione con l’ente museale. Basti riportare qui tale idiozia secondo cui la bizzarra scelta (pubblicitaria) operata sarebbe frutto di una “volontà di risemantizzare la poesia”….?” per avvicinarla ai giovani. Si chiederà conto magari, un giorno, di cosa voglia dire per il comitato direttivo del museo “risemantizzare” la poesia; e, soprattutto, perché la poesia avrebbe necessità di sottostare ad un tale assurdo capriccio (di essere sottoposta ad un tale assurdo e misterioso processo di fecondazione artificiale?), dal momento che la poesia è quel che è, non è né un gioco, né un campione da mettere in provetta dentro a un laboratorio. Insomma, si capisce bene che il fenomeno in sé è tale, ed inscritto in un trend oramai talmente sdoganato, da potersi commentare da solo nella sua abnormità.

Pietro Fanelli
Pietro Fanelli

Varrà dunque di più la pena soffermarsi su un altro argomento, ben più deteriore (e che più sta a cuore alla sottoscritta scrivente), che supera e in qualche anticipa e genera varie idiozie tutte moderne, comprese le controverse scelte promozionali dei musei in fatto di marketing. L’imperversare del gusto per il “cathcy”, per ciò che crea hype, indotto, audience, ed in generale per tutto ciò che è “accessibile” (e, dunque, approssimativo), così accettato e giustificato nelle manifestazioni dell’arte, della musica, della moda, dell’urbanistica, dell’architettura, in ogni espressione creativa e compositiva in cui si articoli la vita delle arti e non solo, non è affatto un fenomeno privo di ricadute. L’approssimazione è diabolica, scriveva Italo Calvino, cinquant’anni fa. “Oggi l’arte viene costretta con tutte le forze nel costrutto del mi piace” (..) La cultura della compiacenza rimanda prima di tutto alla mercificazione della cultura”, sentenzia acutamente il filosofo sudcoreano Byung-chul. “Il nostro nuovo Dio è il “NN”: Numero e Narciso”, ripete con ostinazione Davide Rondoni, dai molti luoghi in cui si reca a parlare ferocemente di poesia; a quello, dice il poeta romagnolo, stiamo vendendo le nostre migliori sostanze.

Pietro Fanelli
Pietro Fanelli

Il punto è, in un’ottica ben più estesa e complessa di quella che si è assunta per dare abbrivio alla riflessione che si offre in questo breve articolo, che una brutta scultura, uno sconclusionato prodotto di plastica senza tecnica e senza intenzione fatto passare per opera d’arte, un brutto componimento poetico, così come la “musica” che mediamente esce fuori dalle nostre radio – leggasi assemblaggio primordiale e compilativo di suoni - producono effetti sul nostro corpo, sulla nostra mente, sui nostri sensi: risentimento, scoramento, spaesamento, confusione, in definitiva tristezza. Su questo si è detto e scritto molto, ma forse troppo poco si tiene a mente che siamo stati fatti per “seguire virtute e canoscenza”. Amici, rischierà di apparire assertiva ma la verità è questa: il mondo esige, benché possa urlarsi e propagandarsi il contrario, la nostra grazia, la nostra eleganza, il nostro ingegno, educato, istruito, frutto del nostro vero sudore, il giusto componimento delle nostre energie e sostanze per creare, e rendere qualcosa che sia pieno di senso, di valore, e di significato. Senso, valore e significato: tre parole su cui la filosofia mondiale si è pronunciata lungamente e copiosamente, per cui non servirà che aggiunga a quelle pregevoli riflessioni alcuna annotazione ulteriore, se non solamente che occorre sempre tornare a meditare sopra il senso di tali concetti. Senza di essi, le nostre civiltà non sarebbero esistite. Valga solamente questo ultimo appunto, un poco altisonante, ma forse efficace e persino necessario di fronte alla mollezza di spirito e di morale con cui ci troviamo a fare i conti: “Cristo ci ha chiesto di essere perfetti”, niente di meno, scrive quel gigante che è C.S. Lewiss - per chi non lo sapesse, l’autore de “Le Cronache di Narnia”, e migliore amico di un tizio chiamato Tolkien - in una delle sue mirabili riflessioni sul senso religioso. E con lui, io trovo che non ce la si possa cavare che con tale sforzo, in arte, così come in tutte le altre possibili forme in cui si declini il nostro esserci. Con niente di meno. Rimane pacifico, comunque, che Fanelli – nome, tra l’altro, grazioso che mutua da un uccelletto che si ciba di cannabis – è bello, tanto bello da essere sprecato per mettersi lì onanisticamente a “risemantizzare“ la poesia.

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