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“Se non vai a letto con lui, non lavori in tv”: il “sistema Signorini” raccontato da Corona è sempre esistito e non rende automaticamente tutti vittime

  • di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

  • Foto: Ansa

16 dicembre 2025

“Se non vai a letto con lui, non lavori in tv”: il “sistema Signorini” raccontato da Corona è sempre esistito e non rende automaticamente tutti vittime
Dopo l’esplosione del #MeToo è difficile credere che qualcuno non sappia come funziona lo star system (e gli scrittori lo raccontano da almeno sessant’anni), quindi quando sentiamo Corona che parla del presunto “sistema Signorini” cos’è che ci scandalizza davvero? E davvero crediamo alla favola dei ragazzi ingenui divorati da dinamiche di cui non erano a conoscenza?

Foto: Ansa

di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

“Se non andavi a letto con lui, non andavi in televisione” e la speranza che parta un nuovo #MeToo. La frase l’ha detta Fabrizio Corona durante una puntata di Falsissimo e quel lui è Alfonso Signorini, il conduttore di Grande Fratello (e da gennaio di Grande Fratello Vip), ex direttore di Chi, uno dei volti più noti dello star system italiano. E tanto basterebbe a non scandalizzarsi se le accuse fatte da Corona si rivelassero vere. Corona sostiene che per dieci anni Signorini abbia irretito circa cinquecento ragazzi che sognavano una possibilità nel mondo dello spettacolo. È quello che una decina di anni fa Aldo Busi, di fronte a un parterre di interlocutori scandalizzati, definiva “obolo del sofà”, pagato, diceva, tanto dalle donne quanto dagli uomini almeno dagli anni Sessanta. Teniamo per buona questa datazione: si tratta di un sistema che dura da sessant’anni, che è stato più volte scoperchiato (#MeToo) e raccontato (da Trumane Capote a Bret Easton Ellis); non è un sistema giusto, anzi è proprio marcio; ma davvero ci sono solo vittime e carnefici? Solo potenti e “abusati”? 

Fabrizio Corona
Fabrizio Corona Ansa

Prima di credere che queste siano domande inaccettabili, machiste, violente e ciniche, chiedetevi se non sia paternalista e ben più violento considerare in massa i ragazzi all’interno di questo sistema come degli ingenui, delle liale in un mondo schifoso che non comprendono. Chiedetevi se non sia snob, arrogante e becero considerare tutti dei fessi. E poi chiedetevi se sia verosimile credere che ventenni e trentenni nell’era dei social non abbiano idea di come funzioni quel mondo lì, un mondo nel quale in molti evidentemente vorrebbero entrare. Perché accanto ai potenti cattivi e alle vittime che denunciano ci sono decine di persone che da quel sistema hanno tratto profitto e non se ne lamentano, perché hanno accettato le regole del gioco. E a partire da quelle, forse, si può fare un ragionamento diverso dal solito. Più prosaicamente, i ragazzi si fanno i loro conti e cercano di capire se possono o no sopportare quei compromessi morali e talvolta sessuali tipici nell’ambiente che vorrebbero frequentare. Insomma, si chiedono se sapranno o no sostenere il ruolo di Angelica, la principessa dell’Orlando furioso o se sappiano dirsi, come scrive Vittorio Macioce nel suo romanzo Dice Angelica: “Io sono la Luna che si tuffa nel nulla, la figlia maledetta della seta che si avvolge e sparisce”. 

Per dirla proprio con il Bret Easton Ellis fustigatore della “Generazione inetta” in Bianco, siamo sicuri che l’ipersensibilità dei millennial, “la loro convinzione che tutto fosse loro dovuto”, il loro “collassare nel sentimentalismo e creare una narrazione vittimista”, sia da alimentare? A volte mi chiedo se non sia ipocrita, ma di certo più facile, convincersi che l’unica narrazione giusta sia quella portata avanti dalle vittime e dagli scaltri giornalisti che ne sanno scrivere, talvolta bene, talvolta addirittura benissimo. Se insomma la commistione di vittimismo e stile non abbia generato un’estetica bidimensionale ed eternamente compiacente nei confronti di quella fetta di società che ama scandalizzarsi, che non rinuncia all’idea che per ogni notizia debbano tremarci le gambe, che tutto sia irrimediabilmente tragico, spropositato. I fanatici della violenza, che invece di perpetrarla preferiscono vederla annidata in ogni evento. Quelli che sono convinti che un ragazzo e una ragazza di vent’anni non sappiano come va il mondo, che arrivino con un cappuccio  rosso sulla testa, le ballerine e un cestino di vimini negli uffici della televisione o del cinema, convinti che in quei luoghi tutto - il desiderio, le pulsioni, le leggi naturali del potere - si annulli. 

"Bianco" di Bret Easton Ellis (edizione Einaudi)
"Bianco" di Bret Easton Ellis (edizione Einaudi)

Dovremmo anche chiederci cosa ci sia di inappropriato in una dinamica servo-padrone di questo tipo, se è il sistema stesso a basarsi principalmente sulla svendita della propria bellezza, sulla rinuncia all’intelligenza, sugli shorts e gli addominali e docce in diretta h24 su un canale Mediaset che per mesi si dedica ininterrottamente a spiare delle persone che limonano, litigano e fumano sigarette elettroniche in cortili di plastica. Cosa ci sconvolge, di cosa ci lamentiamo? Cosa non va? Si vuole partecipare a quel mondo restandone fuori? Si vuole essere l’eccezione alla regola? O più semplicemente si è capito, tardi, che quel sistema, tanto marcio, era insostenibile? Quanti di noi fanno scelte sbagliate credendo di poter sopportare qualcosa che finisce per soffocarli? La colpa è sempre degli altri? Quello che succede dietro le porte dello studio di un manager o un conduttore, le condizioni primitive che connotano alcuni dei rapporti profondi all’interno della nostra società, è sicuramente incivile. E in quei casi è difficile sfuggire o dire di no. Ma perché credere che sia superfluo ricordare come la scelta di entrare in quello studio sia stata libera e volontaria? Che il potere sia ninfomane non mi sembra una scoperta recente.

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