Ma la cucina italiana esiste? Dopo essere diventata ventesimo patrimonio immateriale dell’Unsco, un unicum per una tradizione e cultura culinaria nazionale, tutti ne parlano, molti esultano e tanti altri fanno polemica. Perché la definizione potrebbe avere poco senso e, peggio, potrebbe servire per fare la solita propaganda sovranista. Noi ce lo siamo fatti spiegare da Luca Cesare, storico della cucina e autore di una trilogia uscita per Il Saggiatore tra le più approfondite in circolazione: Storia della pasta in dieci piatti (2021), Storia della pizza (2023) e Storia mondiale della cotoletta (2025).
Cucina italiana patrimonio immateriale dell’Unesco. La prima domanda che ti faccio è: ma davvero esiste “la cucina italiana”?
La premessa necessaria è che l’inserimento della cucina italiana nella lista dei patrimoni immateriali dell’umanità dell’Unesco non ha sentito il bisogno di definire cosa sia e quali siano i confini della cucina italiana, intesa come insieme poliedrico e multiforme di piatti, prodotti e specialità varie. Detto questo, certo che esiste, ma è impossibile da racchiudere in una lista di ricette e ingredienti. Allo stesso modo potremmo chiederci se esista una cucina tedesca, francese o giapponese: anche queste gastronomie nazionali sono l’insieme di pratiche regionali, locali e famigliari che rappresentano un mosaico pressoché infinito di variabilità. Sebbene sia molto difficile spiegare cosa siano, non per questo significa che non esistano. Come per altre espressioni umane complesse - l’arte ad esempio o la poesia - è difficile confinarle in una sola definizione, per quanto articolata, ma sicuramente esistono. Si tratta di un problema ontologico non banale, ma ripeto, l’Unesco e tutti i soggetti coinvolti non hanno voluto (e nemmeno tentato) di dare una risposta a questo quesito, mentre invece hanno puntato genericamente (cito) «sull’uso di materie prime e tecniche artigianali di preparazione alimentare».
Tu sei uno storico della cucina. Parlare di cucina italiana, in blocco, e premiarla che impatto ha? Non c’è il rischio che all’estero, ma anche in Italia, si alimentino i soliti luoghi comuni?
Mi sento di nuovo di puntualizzare che l’Unesco non ha premiato nessuna cucina regionale. Sono state valutate altre componenti, ovvero quelle che ruotano attorno alla cultura del cibo senza la sua dimensione culinaria, a partire dalla dimensione identitaria, alla trasmissione dei sapere, al piacere di stare a tavola, all’amore per la convivialità, fino alla confidenza con il cibo che ci viene riconosciuta. In pratica lo stile di vita italiano, ma senza nessun riferimento alla cucina “cucinata”. Detto questo, il fatto che l’oggetto sia la “cucina italiana” nella sua interezza dà adito a più di un fraintendimento e le istanze nazionaliste e suprematiste non hanno tardato a farsi sentire. Temo che in molti continueranno a giocare sull’equivoco, alimentando un’idea di cucina italiana delle nonne, dei piatti tradizionali, del Paese in cui si mangia meglio al mondo e così via. È un’etichetta che ha un valore di soft power italiano - inteso anche come cucina italiana nel mondo - e sinceramente non mi dispiace, ma personalmente sarei contento se da questo momento si cominciasse un vero percorso di cultura del cibo, a partire dalla sua storia e dai suoi territori.
Prendiamo per buona l’idea di “cucina italiana”. Quali chef in Italia la rappresentano meglio secondo te?
A questa domanda non so proprio rispondere. Ti posso dire che la cucina italiana è un insieme di pratiche che partono da una lunga tradizione (anche di piatti molto poveri) fatta di contaminazioni con altre culture culinarie. Anzi è geneticamente predisposta all’apertura verso le novità e all’adattamento: probabilmente una delle caratteristiche di fondo più interessanti. Posso però dirti che la cucina italiana ha sempre avuto la peculiarità di esprimersi in grandi piatti partendo da pochi ingredienti attentamente selezionati. Chiunque riesca a esaltare le materie prime eccezionali che abbiamo, semplificando al massimo l’esecuzione di un piatto, secondo me è un ottimo rappresentante della nostra cucina.
Tu sei anche, passami il termine, un “debunker” della cucina italiana: dalla cotoletta alla pasta, passando per la pizza. Hai anche scoperto che la prima ricetta del ragù bolognese non è quella di Artusi (italiano) ma quella di una rivista americana. Qual è il piatto italiano mitizzato e considerato iconico che iconico non è?
I piatti considerati iconici (soprattutto all’estero) lo erano o lo sono diventati quasi sempre anche in Italia. Se devo pensare a piatti italiani che hanno avuto un grande successo oltre confine, i primi due casi sono le fettuccine Alfredo o le penne alla vodka che ormai sono due piatti celebri solo all’estero. Ci sono poi grandi piatti che hanno radici italiane ma sono stati concepiti altrove, come gli spaghetti meatballs o i giapponesi spaghetti tarako, entrambi estremamente famosi nelle regioni di origine. Tra i piatti italiani più diffusi all’estero, probabilmente i primi cinque posti sono occupati dagli spaghetti alla bolognese, le lasagne alla bolognese, gli spaghetti alla carbonara, la pizza e il tiramisù. Se non avessero goduto di una fama globale, sono convinto che oggi anche in Italia sarebbero ridotti a rango di specialità regionali.