“È la prima cucina al mondo ad essere riconosciuta nella sua interezza” sottolinea Il Sole 24 Ore. Il panel intergovernativo ha giudicato in modo unanime la cucina italiana Patrimonio immateriale dell’Unesco. E giù tra chi fa polemica e chi invece esulta come allo stadio. Noi abbiamo chiesto un parere al critico gastronomico Valerio Visintin, che smonta completamente la narrazione di queste ore, sia dei pessimisti che dei “gastro-suprematisti” (leggasi “sovranisti”) di casa.
Il commento del critico Valerio Visintin
Tra quarantotto ore non se ne parlerà più. Ma intanto ci godiamo la tipica disfida all’italiana tra due opposti estremismi, senza umori mediani. E anche questa è una specialità italica che andrebbe regolarmente protetta. Da una parte, i gastro-suprematisti che gongolano a braccia alzate, come ciclisti al traguardo. Giustifico i rappresentanti ministeriali, legittimati da un impegno diretto. E comprendo chi staziona nell’area del Governo, autorizzato a esercitare il sacro diritto alla propaganda politica. Non è chiaro, però, quale potente ragionamento spinga all’esultanza incondizionata moltitudini di giornalisti e chef; gli stessi chef, tra l'altro, che interpretano la tradizione della cucina italiana, portando in tavola ingredienti esotici e il mito della creatività obbligatoria.
Sull’altro fronte, i pessimisti cosmici, capitanati dal professor Alberto Grandi (che tornerò a stimare da domani). Negazionisti certificati della cucina italiana, paventano la “cristallizzazione” di ricette, usi e costumi, come se, allo scoccar del mezzogiorno, suonasse la sirena del coprifuoco. Costoro vedono e preveggono i caschi blu dell’Unesco che sfondano la porta di casa della signora Ines mentre prepara la carbonara con la panna o sbarcano in armi sulle sponde di Senigallia per arrestare il cuoco-star Cedroni che frigge la lisca di rombo.
Tra quarantotto ore non se ne parlerà più, dicevo, perché non accadrà nulla. E le polemiche finiranno nella smemoria collettiva sino a nuovo ordine.
Un conto è segnalare al mondo un territorio turistico, tutelandolo tra l’altro dalle insidie del fondamentalismo edile. Tutt’altro paio di maniche è santificare un luogo del pensiero come la cucina di una nazione, peraltro già nota in tutto il pianeta per le sue attrazioni gastronomiche. Tratteniamo il fiato. Passerà.