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Renato Zero ne fa 70,
ma rimane la colonna sonora
dei "migliori anni della nostra vita"

  • di Luca Beatrice Luca Beatrice

30 settembre 2020

Renato Zero ne fa 70, ma rimane la colonna sonora dei "migliori anni della nostra vita"
Piume e lustrini, gioia e lacrime, Renato Fiacchini oggi compie 70 anni e il suo alter ego Zero, tanto per ricordare uno dei suoi record, è l’unico musicista italiano ad essere stato primo in classifica in cinque decadi

di Luca Beatrice Luca Beatrice

Senza Renato Zero non sarebbe mai esistito Achille Lauro, prendiamola con una bacchettata affettuosa, da saggio nonno, ciò che gli ha detto, “io cantavo le periferie, non facevano il clown”, ma neppure Tiziano Ferro non tanto per il coming-out quanto per l’estensione vocale che infatti lo rende l’erede più prossimo.

Tanta gente ben prima dei 70 anni tira i remi in barca o almeno vive di rendita: c’è chi centellina singoli, li alterna a furbi duetti e ripesca gli immarcescibili successi. Renato no, per il compleanno annuncia tre dischi tre di inediti da far uscire uno al mese, il primo da oggi nei negozi e in rete, dodici brani nuovi che paiono ispirati fin dal primo ascolto.

Alla vigilia dell’ennesima festa, la sera di martedì 29 settembre, Canale 5 ha mandato in prima serata il concerto dell’ultimo tour Zero il folle, oltre tre ore di musica ed emozioni che lo restituiscono in perfetta forma canora, pronto ancora una volta a giocare con tuniche e paillettes, ironico oltre ogni limiti nell’indossare improbabili cappelli con stili che vanno dal Mago Otelma a Luigi XIV, quello che diceva “lo stato sono io”, a proposito di megalomani.

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Renato Zero

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D’altra parte, Renato ci ha abituati a feste di compleanno clamorose. Per i 30 (mio dio quanto tempo), si regalò Ciao, nì, l’autobiografia filmata di un ragazzo magro, “vestito da Pierrot” che portò la svolta glam-pop nella musica italiana. Non era ancora il tempo di “niente trucco stasera”, i primi ripensamenti arrivarono a quarant’anni, quando uno Zero stranamente in crisi, dopo qualche inevitabile passo falso che segue al successo, si sentiva con le “Spalle al muro” e arrivò persino ad annunciare un ritiro, che fortunatamente non arrivò mai. Per i 60 anni ha occupato pacificamente l’ippodromo di piazza di Siena nella sua Roma con una serie di concerti in cui ogni sera cambiava la scaletta e invitava ospiti e amici per una celebrazione d’accordo iper-narcisistica ma così vera e sentimentale.

Per me, per molti della mia età, Renato Zero ha accompagnato passo dopo passo “i migliori anni della nostra vita”, dall’adolescenza tormentata alla giovinezza spensierata, dalle scelte professionali alla paternità fino a qui, a qualcosa che mi mette malinconia chiamarla vecchiaia e che forse ancora non è. La mia adesione sorcina è stata talmente assoluta da trasformare la devozione in parole. Nel 2007 ho pubblicato Zero per l’editore Baldini Castoldi, un saggio-biografia ovviamente non autorizzato. Solo che dieci anni il libro suonava già vecchio, che nel frattempo Renato ha continuato a sfornare dischi e girare l’Italia in concerto, inventandosi persino il musical Zerowskij. Solo per amore, una bella impresa non abbastanza apprezzata dalla critica. Nel 2017 esco con un’edizione rinnovata e ampliata con la chicca della prefazione firmata Marco Travaglio, zerofolle più di me, se possibile. E ora siamo di nuovo punto a capo, ci vorrebbe un nuovo ampliamento ma penso di aspettare ancora un po’.

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Renato Zero

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Tutto questo senza mai incontrare il mio idolo, a cui non ho mai stretto la mano e neppure rivolto una sola domanda e credo davvero sia meglio così, i miti per restare miti devono restare a distanza di sicurezza.  Anche ora, a 70 anni,  il segreto è gattopardesco: cambiare tutto per non cambiare niente. Il nuovo Zero non è troppo diverso da quello passato, sapiente miscelatore di mite trasgressione e sarcastico benpensantismo, continua a essere quel fenomeno che sfugge alle regole sociologiche e alle appartenenze anagrafiche. Le canzoni di Renato si rivelano una zona franca: tutte cose che nella vita normale non diresti mai, un patetismo che non ti appartiene, una teoria dei buoni sentimenti ai limiti del risibile. Eppure, frega anche noi laici e antiproibizionisti, indifferenti alla logica mentre intoniamo vecchi e nuovi successi, quando applaudiamo i suoi ineguagliabili predicozzi.

Zero è un mito soprattutto per le sue contraddizioni, personaggio un po’ pasoliniano e un po’ Boy George, quelle stesse incongruenze che ce lo hanno fatto amare senza condizioni. Le sue canzoni ti permettono la libertà di confondere sentimenti tra loro contrari, per questo continua a resistere nel tempo, capace di regalare emozioni sempre diverse pur nella ripetizione di un modulo sapientemente collaudato. Intanto, mentre aspetto che ritorni, mi ascolto le 12 tracce del nuovo album Zerosettanta, e entro Natale ne usciranno altri due, cose da pazzi.

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