Da quanto tempo non vedevo una dissolvenza in nero, un lungo piano sequenza (Birdman a parte) e la macchina da presa che segue i diversi personaggi, cambiando ogni volta prospettiva, colori e luci. Sono davanti alla tv, come quasi ogni sera negli ultimi mesi, eppure mi sembra di stare al cinema. Quel cinema che ti meraviglia, ti incanta, ci finisci dentro dopo che hai scientemente deciso di uscire di casa, pagare il biglietto e scegliere un film. Mi era già capitato con Roma di Alfonso Cuaròn e The Irishman di Martin Scorsese, cinema prodotto da Netflix, destinato alla tv, ma pur sempre cinema e non televisione. Torniamo al discorso di partenza. Ecco perché mi sento di segnalare The Eddy come la (mini)serie più bella tra le tante uscite nel 2020 ora su Netflix (le migliori di giugno le trovi qui). Televisiva il giusto, a cominciare dal finale aperto che prevede di continuare in un’altra stagione, sperando che non si annacqui troppo il brodo, e tecnicamente molto cinematografica.
Creata dall’inglese Jack Thorne, i primi due episodi sono diretti da Damien Chazelle, il geniale e giovane regista americano, autore di Whiplash, La La Land e The First Man. A parte quest’ultimo viaggio verso la luna, Chazelle mette la musica al centro della riflessione, il jazz che ama e addirittura un genere dato per scomparso, il musical. Qui, al debutto televisivo, torna a quelle atmosfere fumose, cool e sognanti che avevano fatto gridare al miracolo degli esordi e suonare come una ragione di vita: un autore che non rincorre le mode, che non fa cinema citazionista, che non rincorre l’effetto di cassetta eppure ottiene consenso e successo. Coraggiosa è la scelta di ambientare The Eddy a Parigi e non nel solito Quartier Latin bensì ai margini della banlieue, vecchia Europa dove si parla un miscuglio di lingue francese, arabo, inglese e slavo senza per questo insistere sul multiculturalismo. C’è un club in cui suona un gruppo piuttosto scalcagnato, i cui componenti si portano dietro storie personali molto difficili. Elliott Udo è la star tornata dall’America ma qualcosa gli impedisce di tornare al piano. Il rapporto con la figlia Julie è molto complicato, quello sentimentale con la cantante Maja non riesce a decollare. Il suo amico Farid viene misteriosamente ucciso e la vicenda si infittisce di quel gusto “polar” caro al cinema francese, ecco allora spiegati i riferimenti a film di culto, dimenticati nel baule della cinephilie: Round Midnight di Bertrand Tavernier e soprattutto Diva di Jean-Jacques Beineix, regista scomparso dai radar dell’ufficialità eppure geniale come pochi.
Ci sono insomma diversi motivi per seguire The Eddy. È un prodotto autoriale ma di genere, diverso dalla proposta media senza risultare criptico e ostico come quelle serie (American Gods, Too Old to Die Young) che la vogliono fare fuori dal vaso e stupirci a ogni sequenza, ha trama e sentimento, estetica senza abbandonare la storia. Indica, soprattutto, la strada più probabile per la sopravvivenza del cinema, dopo il 2020.