Partiamo nel peggiore dei modi, e cioè con una premessa: questo articolo non doveva uscire perché il video in questione è lungo quasi tre minuti e, nel mondo di oggi, è praticamente impossibile che qualcuno si metta a guardarlo tutto. Ad ogni modo se avete scelto personalmente di leggere un pezzo dedicato a Woody Allen mi rimetto alla speranza che possiate arrivare in fondo.
C’è chi sente nominare il regista newyorkese e pensa all’umorismo nichilista dei suoi film, chi lo associa ai radical chic in bicicletta e maglioni sformati e chi invece ricorda di quando sposò la figlia adottiva della compagna, vicenda tornata in auge dopo lo scandalo Weinstein ed il conseguente #MeeToo. Per me Allen è sempre stato l’uomo con la risposta perfetta agli hater da tastiera, risposta che aveva elaborato con la consueta combinazione di eleganza e cinismo già quarant’anni fa.
Nel periodo d’oro di Megavideo, con i suoi 72 minuti resettabili spegnendo il modem, temo di aver visto buona parte della filmografia di Allen, da Match Point alla Rosa Purpurea del Cairo. Il tutto senza nessuna velleità di vederli in lingua originale per apprezzare sfumature che -nella maggior parte dei casi- avrei fatto fatica ad afferrare anche in italiano.
Alcuni di questi film sono belli, altri spettacolari ed altri ancora, come Il Prestanome -di cui Allen è protagonista ma non regista- degni di citazioni memorabili. In chilometri di pellicola tra ipocondria, genio ed umorismo più o meno sottile c’è Io e Annie, tra i capisaldi della filmografia di Allen nonché vincitore di premi 4 Oscar: miglior film, miglior regista, miglior sceneggiatura originale e miglior attrice protagonista (per Diane Keaton, presente in 7 film di Allen dal ’73 al ’94). Un lungometraggio entrato di diritto nella storia del cinema per un’interminabile numero di ragioni che non ho né i mezzi né tantomeno la conoscenza per spiegare.
Il film è datato 1977 e racconta del rapporto tra Alvy Singer (Woody Allen) e l’ormai ex compagna Annie Hall (Diane Keaton), dal primo incontro dei due fino all’inarrestabile disfacimento della relazione. Tra i vari momenti raccontati da quella che Allen stesso definisce una commedia romantico-nevrotica, la scena in grado di raccontare i nostri tempi in maniera a dir poco micidiale si svolge mentre la coppia si ritrova in fila per il cinema. Eccola qui, in tutta la sua perfezione.
“Ho visto l’ultimo Fellini giusto martedì scorso, non è dei suoi migliori” esordisce un uomo in fila, per poi passare alla disamina di Samuel Beckett “io ammiro la sua tecnica ma non mi colpisce mai a livello viscerale”. In un paio di passaggi poi, arriva a dire di Marshall McLuhan che “ha nei limiti angusti del suo essere una grande intensità”. Prima Allen si chiede cosa non darebbe per avere un’enorme palata di cacca di cavallo, poi rompe la quarta parete e, rivolgendosi al pubblico, chiede: “Ma cosa fa uno quando si trova in coda incastrato con un tipo del genere alle spalle?”.
Il tipo è il prototipo dell’hater da tastiera, uno che spara sentenze senza conoscere fatti e persone citate. Si erge a critico di un lavoro che evidentemente non conosce abbastanza e lo fa con una disarmante naturalezza. “Si saranno conosciuti con un’inserzione sulla rivista Vita Ermeneutica - dice Allen - “Accademico trentenne desidera conoscere donna interessata a Mozart, James Joyce e sesso anale”.
Il vero problema rispetto a quarant’anni fa è che l’hater non è più in fila al cinema, ma davanti a una tastiera con il mondo in ascolto. Quando l’uomo rivendica il diritto di dire la sua - perché sì, la libertà di parola è un diritto sacrosanto di ogni uomo, soprattutto online - Allen gli risponde che: “Certo che può dire le sue opinioni, ma le deve dire a voce alta? Insomma, non si vergogna di pontificare così?” poi tira fuori dal nulla Marshall McLuhan in carne ed ossa. “Ecco, diglielo tu”, regalandoci qualche istante di puro godimento.
Inizialmente a fare questo cameo doveva essere Federico Fellini, che però si trovò costretto a rinunciare a causa di altri impegni. Ma il significato è lo stesso.
Oggi non serve essere Fellini per avere degli hater, ne tantomeno Marshall McLuhan, nell’epoca di internet chiunque può odiare e tutti possiamo essere odiati. E spesso, purtroppo, fa più male di quanto dovrebbe. Un hater da tastiera - e dico una banalità, me ne rendo conto - lo è solo finché c’è lo spesso muro dell’etere a separare la vittima dal carnefice. La lezione di questo altissimo momento di cinema è una, e cioé che dal vivo le cose sarebbero diverse: mutismo, sguardo in camera ed espressione da triglia. Oggi come allora, e Woody Allen l'aveva capito.
Ragazzi, se la realtà fosse così.
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