Da venerdì 5 novembre è disponibile su Netflix il film Yara, per la regia di Marco Tullio Giordana, sull’omicidio di Yara Gambirasio, caso di cronaca che nel 2010 sconvolse Brembate di Sopra e poi l’Italia intera - grazie anche a una gigantesca risonanza mediatica - fino all’individuazione e all’arresto del colpevole: Massimo Bossetti, attualmente condannato all’ergastolo. Abbiamo contattato Claudio Salvagni, avvocato difensore di quello che per la legge italiana è l’assassino della tredicenne bergamasca per sapere cosa ne pensasse del lungometraggio prodotto da Netflix e aggiornarci sulla situazione processuale del suo assistito. La prima risposta è decisamente tranchant: “Non ho visto il film, mi hanno riferito che c’è ma non mi interessa”.
Non lo vedrà?
No. Non lo vedrò perché sono certo che si tratta di un racconto parziale.
Come fa a esserne certo senza averlo visto?
Ne sono certo perché la Difesa non è stata contattata, nessuno ci ha chiesto niente e abbiamo saputo dell’uscita di questo film soltanto a cose fatte. Durante la lavorazione - di cui, ribadisco, non sapevamo nulla - potevano chiamarci e poi non tener conto della nostra campana, a quel punto si sarebbe trattato di una scelta stilistica. Ma non potevano non chiamarci se davvero, come ho letto in alcune dichiarazioni per il lancio del film, volevano avere il quadro intero di questa vicenda per poterla raccontare nella sua totalità. Invece nessuno ci ha mai interpellati.
Anche la famiglia di Yara lamenta di aver saputo dell’uscita di questo film solo “a cose fatte”.
Questo io non lo so. Posso solo dire, da parte mia, che avrei accettato e forse anche guardato questo film se chi ci ha lavorato avesse messo un semplice disclaimer all’inizio: “Liberamente tratto da...”. Se ci fosse stata questa “fascetta”, diciamo, non avrei avuto nulla da eccepire.
Trova opportuno scegliere di fare un film su questo caso di cronaca?
In Italia c’è libertà di espressione e quindi va bene così, in virtù di questo certo non avrei potuto e nemmeno voluto impedirlo.
Avrebbe preferito un documentario?
Certamente. Avrei preferito qualcosa che raccontasse la verità a 360 gradi, possibilmente a livello oggettivo. Un documentario sarebbe stato, nella forma, di sicuro più appropriato per raccontare una vicenda così lunga e complessa sia dal punto di vista delle indagini che dell’iter processuale - per altro non ancora concluso -. Non si può pretendere di raccontare tutto in un’oretta e di essere accurati.
Massimo Bossetti sa del film?
Sì, lo sa.
Posso chiederle come sta?
Come vuole che stia una persona condannata all’ergastolo ingiustamente? Sta male. Di certo non sarà questo film a preoccuparlo, oggettivamente non gli cambia nulla.
L’attenzione mediatica riguardo all’omicidio di Yara Gambirasio è sempre stata altissima. Ha mai pensato di proporre al suo assistito un’intervista con Franca Leosini?
Non sono stato io a proporla a Bossetti, è stata Franca Leosini a cercarci un paio di anni fa.
Non l’ha ritenuta una scelta adatta per il suo cliente?
Ma certo che l’ho ritenuta una scelta adatta! Inoltre, lui vuole parlare, vuole raccontare la verità cioè la sua innocenza.
E qual è stato il problema, allora?
Che sono due anni in merito alla possibilità di farlo intervistare da Franca Leosini, c’è stato un secco niet.
Con quali motivazioni?
Nessuna motivazione. In realtà, non c’è stata proprio nessuna risposta in merito. La nostra richiesta è stata totalmente ignorata. Quindi immagino che vogliano farci capire che, da parte loro, non ci sia proprio possibilità di prendere in considerazione il fatto che Bossetti parli.
Perché, secondo lei?
Guardi, si tratta di una delle classiche storture della giustizia italiana. E non è certo l’unica: si ricorda di Rudy Guedé? Ecco, lui è attualmente in carcere con l’accusa di “concorso in omicidio” per la morte di Meredith Kercher. Questa accusa dice chiaramente “concorso in omicidio”, quindi che esistono altri responsabili. Però in cella c’è solamente lui.
Guardando il film e informandomi, due cose mi hanno stupito nell’impianto accusatorio. La prima è la mancanza di un movente…
Un movente non è stato individuato perché, appunto, non c’è. Parimenti, non esiste una dinamica dei fatti credibile. Non c’è un perché e non c’è nemmeno un come.
La seconda riguarda la mancanza di altri sospettati… non ce ne sono stati durante il processo?
Di altri possibili sospetti ce ne sono eccome, solo che in Tribunale ci hanno rifiutato qualsiasi tentativo di sondare piste alternative perché il processo era a Massimo Bossetti quindi parlare di altre persone, possibili indiziate, sarebbe stato in qualche modo come andare fuori tema. Le pare possibile?
Però c’è “la prova regina”, quella del DNA, a incastrare Massimo Bossetti…
Sì, ma come si è arrivati a quel DNA? Quella è considerata, come ben dice, “la prova regina”: qualcosa di monolitico, inconfutabile. Noi da anni chiediamo una nuova perizia ma non ci viene concessa questa possibilità. Verrebbe da chiedersi come mai, visto che, essendo - come ritiene l’accusa - una prova granitica, non potrebbe mai uscire un risultato differente. Io invece credo che il risultato sarebbe diverso, che scagionerebbe Bossetti e che questo, oramai, per l’accusa come per la giustizia italiana non sarebbe ammissibile: dimostrerebbero solo di aver tenuto in carcere un innocente per anni, condannandolo all’ergastolo. Non possono e non vogliono correre questo rischio.
A che punto è la situazione dal punto di vista processuale? Dopo la condanna all’ergastolo in Cassazione, c’è ancora qualcosa da fare?
Noi siamo stati autorizzati nel novembre 2019 dal giudice dell’esecuzione di Bergamo a procedere con tutti gli esami sul DNA che avevamo chiesto. Quindi finalmente ci avevano concesso di farli. Poi però quando abbiamo chiesto le modalità operative per procedere a questi esami, ci siamo sentiti rispondere che la nostra domanda era inammissibile. Un dietrofront misterioso, non trova? E Bergamo da allora continua, incredibilmente e nonostante l’autorizzazione, a risponderci picche. Siamo comunque andati avanti coi ricorsi in Cassazione e ora stiamo aspettando di sapere cosa ci dirà ma tengo a sottolineare che non solo durante tutto il processo è stato negato a Bossetti di fare questi esami relativi al DNA ma anche nella fase deputiva della sentenza, pur essendoci stata un’autorizzazione a procedere. Quindi è veramente a dir poco kafkiano tutto quello che sta accadendo. Ma noi non molliamo.