Gli anni della Quarta repubblica, dei Viet Minh in Indocina, della guerra di Algeria e della costruzione del Canale di Suez, la Francia degli années folles lasciava spazio prima all’umiliazione della Seconda Guerra Mondiale e poi ai problemi relativi alle colonie mentre il Paese stesso veniva invaso culturalmente dall’America. In questo periodo, il peggiore quanto il migliore, François Truffaut portava avanti la sua idea di cinema, prima attraverso la critica e poi direttamente dietro la macchina da presa. ‘Ferito ma brillante’, con una intelligenza vivida ma indisciplinata, un self made man europeo che delle istituzioni (in particolar modo della scuola) non sapeva cosa farsene. Autodidatta nella cultura, umile nei confronti della sala cinematografica quanto dei libri, feroce coi nemici -veri e presunti- del cinema come lo intendeva lui. ‘Tutto il cinema di Truffaut’ di Paola Malanga esce, in una nuova veste curata da Baldini + Castoldi, a distanza di 26 anni dalla prima edizione.
Se la sbornia di fine anni ‘90 permetteva di capire l’atteggiamento febbricitante nei confronti della vita e della finzione cinematografica di François Truffaut, gli anni ‘20 del nuovo millennio sembrano il terreno fertile, ideale, per crescere una nuova leva di nuovi cinefili -e non solo- desiderosi di avvicinarsi alla settima arte.
Nell’era dell’offerta bulimica delle piattaforme on demand e del torrent selvaggio, approcciarsi al cinema grazie a questo libro potrebbe rivelarsi un buon compromesso tra l’importanza di un approccio accademico e cronologico (scusaci Truffaut), e soddisfare la spinta punk e do it yourself del pubblico più giovane che si alimenta di streaming, Reddit, Discord e Tumblr fuori tempo massimo.
La bellezza di ‘Tutto il cinema di Truffaut’ sta nel ridare la dimensione umana al regista di Jules e Jim, a empatizzare con l’uomo che ha umiliato e deriso, all’epoca dei Cahiers, buona parte dell’avanguardia francese. Così attraverso un lavoro certosino dell’autrice scopriamo che dietro alle dimostrazioni di ‘forza’ c’è una malinconia insanabile di fondo; che se è giusto separare l’uomo dall’artista, nel caso di Truffaut è impossibile: l’uomo è l’artista ed è il suo stesso critico. La sala come incubatrici di sogni, come l’abbraccio dopo un risveglio, termine fisso lontano dalle nevrosi di una madre insoddisfatta, di un padre assente e di un patrigno poco incline alla comprensione.
Il sistema nervoso di Truffaut è deformato quanto la sua esperienza affettiva con le donne, di cui la madre rimane il modello positivo e negativo per tutta la sua opera.