Non c’è cittadino arricchito o borghese che tenga e il negozio che vende Rolex all’ingresso del centro storico è solo fumo negli occhi, così come le tre o quattro boutique di Corso Garibaldi evidentemente rivolte al cittadino che ha più possibilità della media. Prato te lo sbatte subito in faccia che è una città operaia. Lo capisci da quando parcheggi in Piazza Mercatale, di fattura medievale e tra le più estese d’Europa: la osservi poi alzi lo sguardo e vedi campeggiare, contornata da bandiere rosse, la scritta CGIL – Camera del lavoro. È così che ti dà il benvenuto: ruvida e sincera, come ogni buon toscano sa essere.
Li ho contati. Ci sono circa 800 passi, meno di un chilometro, tra piazza Mercatale e Piazza delle Carceri. il luogo del ritrovo, della protesta e del pianto collettivo. Oggi è il giorno in cui la Prato operaia si ferma per dire basta all’ennesima morte sul lavoro. Perché ieri è toccato a Luana D’Orazio e domani potrebbe toccare a qualcuna delle persone che sta camminando accanto a me verso la manifestazione.
Quando arrivo deve ancora iniziare tutto, ma sono già centinaia le bandiere al vento. Ognuna con le sue sigle sindacali. Ognuna con i suoi colori e le sue ragioni, ma tutte lì per lo stesso motivo. Dopo la tragedia di Luana D’Orazio, l’animo operaio di Prato (il più grande distretto del tessile d’Europa) risponde presente perché Non si può uscire di casa per andare al lavoro e non rientrare la sera. Questa è la frase-tormentone che riecheggia per la piazza, mentre scambio due chiacchiere con alcuni partecipanti.
Ma la morte di Luana non è un fulmine a ciel sereno, è piuttosto una storia nota e già raccontata. Da queste parti lo scorso febbraio è morto Sabri Jaballah, schiacciato da una pressa. Oggi c’era anche sua madre in piazza, è salita sul palco e mentre parlava al microfono abbracciava una foto del figlio: “Non è giusto, sto cercando di andare avanti ma è difficile: non è possibile morire così, non siamo in guerra” e dopo di lei è la volta di Stefania Valente un’operaia, una mamma, una delegata sindacale della CGIL. È suo il più accorato e commovente appello verso i compagni lavoratori: Non giriamoci dall’altra parte. Mai.
L’incidente di lunedì scorso si aggiunge a quello capitato a febbraio a Montale in cui era morto un altro operaio sempre in un’azienda di manifattura tessile. Per noi è un momento di profondo dolore. La comunità di Montemurlo cercherà di essere vicina alla famiglia di Luana. In particolare a suo figlio che resterà fortemente segnato da questa grande tragedia – mi dice Federica Palanghi, presidente del Consiglio Municipale di Montemurlo, il comune alle porte di Prato dove è avvenuto l’incidente. Sulla stessa lunghezza d’onda il Sindaco di Montemurlo Simone Calamai: Questo incidente chiede a tutti noi uno sforzo. Dobbiamo lavorare insieme per migliorare le condizioni di sicurezza sul luogo di lavoro. Da inizio anno sono scomparse quasi 190 persone in Italia (praticamente 38 al mese ndr) e dobbiamo cambiare qualcosa sotto questo aspetto.
Gli chiedo come e mi risponde che pensa alla formazione e ai controlli.
Già, i controlli. Proprio a questo riguardo sembra che a Prato - ribadiamo: il più grande polo tessile d’Europa - siano appena dodici gli ispettori del lavoro, a fronte delle decine di migliaia di impiegati nel settore tessile (senza tenere conto di tutto il lavoro sommerso). Siamo nella terza città del centro Italia (dopo Roma e Firenze), ma il clima è quello del paesone dove più o meno tutti si conoscono se non per nome, almeno di vista e forse la cosa più disturbante è proprio questa, è il non detto grosso come il celebre elefante dentro il negozio di cristalli: in quel momento, in piazza – se non cambierà qualcosa – potrebbero esserci le vittime che verranno piante domani.
Inizia a piovere, il presidio finisce qualche minuto prima del previsto e la folla si disperde. Torno indietro. Sempre 800 passi, sempre le boutique pretenziose, sempre il negozio di Rolex. Poi la piazza che si apre maestosa e gigante davanti a me. Prato, città operaia, saprà risollevarsi ancora una volta. Lo deve a Luana, a Sabri, ai loro cari.