Una tipica espressione milanese, per lo più usata nello slang dei velenosissimi oldtimers, sin dagli anni 60/70, era quella di dire a qualcuno che era in confusione che “era andato in fonderia”. In poche parole, era fuso.
Al Bar Mazzarella, tempio del gioco d’azzardo di quegli anni e fino ai primi anni duemila circolavano vari soggetti che appartenevano al background letterario-musicale-pittorico. Lo stesso Shel Shapiro usava andare a prendere il caffè proprio al bar Mazzarella, con qualcuno che ovviamente gli canticchiava alle spalle “e la pioggia che vaaaa…e ritorna il serenooooo”.
Uno di essi era tal “Sesin”, così nominato perché si considerava un piccolo Cezanne. In uno dei miei momenti di confusione biliardistica si presentò con un quadretto raffigurante una persona e una fabbrica. Io non capivo… quindi mi fece “la spiega": “chel lì te set tiì, e l’è minga una fabrica chela lì, l’è la funderia Vedani, alla Barona”. “Te set ti che te vet in funderia, rembambiì”. Morto. Chissà dove cazzo è finito il quadretto, dopo mille traslochi. Anche la Fonderia non esiste più, ora, ed è un’area dismessa, ma ho fatto a tempo a vedere ancora la scritta nei miei anni in Bentley Milano in Via Ettore Ponti, li a due passi.
C’è anche da tenere presente che il mio primo maestro, Ruggero “Winkler” Crotti, del quale porto il nome tatuato sul polso destro, era anche lui un valente pittore, oltre che il capostipite di una scuola in cui lo studio del biliardo si incrociava con il bello delle esecuzioni ricercate e ricamate sul tappeto verde. Amava le complicazioni del gioco, la schermaglia, il gioco di posizione, le soluzioni particolari, il gico con il pallino da tre e da quattro e, come diceva lui e come dice ancor oggi il buon Carlo Cifalà, se non puoi giocare fisicamente a biliardo, giocaci nella tua testa. Il Karma-Sutra dei birilli.
Il Winkler era di un’altra categoria a livello di gioco e di conoscenza, ma soprattutto di educazione.
Cache-col sempre perfetto, bretelle, portamento nobile con i suoi capelli bianchi e morbidi, si esprimeva in un perfetto e ricercato italiano e, soprattutto, praticava un perfetto distanziamento sociale attraverso l’uso indiscriminato del “lei” con tutti gli astanti. Del “tu” dava a poche e rare persone.
A corredo di ciò vi era anche Renato Sellani, forse il miglior pianista jazz italiano, umbro, appassionato di goriziana a nove birilli semplici (o scempi, come direbbero in toscana) e doppi. Aveva un appuntamento fisso nel pomeriggio, al Bar Kaffa di Via Fabio Filzi, dopo aver suonato durante il programma di mezzogiorno il pianoforte di accompagnamento in RAI in Corso Sempione a Milano, con gli amici Carati e Bolis per la partitella. Una lotta eterna, con le sue battute salaci e l’immancabile giudizio sul biliardo. Se pioveva era umido e correva poco, e pertanto il biliardo “chiudeva le traiettorie”, viceversa, se il clima era secco il tavolo da gioco risultava asciutto e correva troppo.
Scrisse una bellissima canzone, “Funky Billiard”, in onore di questo sport, che per lui era un gioco, ma un gioco molto serio. Come per tutti noi appassionati.
Credo si possa ritrovare parte di quella atmosfera di contaminazione all’interno di alcuni circoli riservati a Milano, ai quali prima o poi riuscirò ad accedere…sia come istruttore sia a presentare il mio libro di aneddoti.
Mi sarà consentita la “verifica”, come dicevano gli oldtimers come il Sesin…?
Già ho avuto la sfortuna di nascere un anno dopo la scomparsa di uno dei miei miti, Scerbanenco, e di non aver frequentato il buon Pinketts quando ne ebbi la possibilità. Ora a 50 anni non voglio negarmi più nulla di sano e puro. Arte, musica, amore.
Ad maiora.
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