La prima volta che ho sentito parlare di Vale avevo 16 anni. Mentre ero in Francia che da una settimana portavo sempre la stessa tuta e lo stesso marsupio lui portava una bambola gonfiabile chiamata Claudia Skiffer in moto per il giro d’onore. Motivo? Prendere in giro Max Biaggi e la sua storia con Naomi Campbell. La prima volta che l’ho visto è stato a una cena di gala a Barcellona per gli Sport Awards sponsorizzati da IWC. Ero l’unico giornalista in smoking. Il caporedattore di Donna Moderna mi aveva detto di provare a intervistarlo di sgamo. Così lo punto tutta la sera e quando si alza e si mette a chiacchierare in piedi con qualche amico e Arianna, la sua ragazza di allora, io mi infilo nel gruppo e gli faccio una domanda. Lui si gira e ridendo mi chiede: “E tu chi sei?”. Un giornalista, rispondo. Ero agli inizi, un po’ ingenuo, il giornalista lo vedevo come uno status. Valentino no: “Allora con te non parlo”. Si rigira dall’altra parte e smette di cagarmi. Fine.
Poi arrivo a Riders, io che di moto sapevo poco e niente. E comincio a studiare. E solo in quel momento collego le cose: la scelta di passare in Yamaha per dimostrare di essere il più forte anche senza Honda, la rivalità con Biaggi, la storia delle tasse, le vittorie in rimonta, le scenette per festeggiarle, tutto già contribuiva a creare la cornice di un mito, di una storia incredibile. E allora mi viene l’idea di dedicare una copertina a lui e a babbo Graziano. Insieme erano stati intervistati solo una volta e quell’intervista non era stata granché. La mia invece ero sicuro che sarebbe uscita una bomba. La organizziamo. Vale e Graziano li intervisto separatamente. Con Graziano ci passo praticamente quattro ore dentro l’hospitality Yamaha. Con Vale 15 minuti dentro un piccolo ufficio sempre nell’hospitality. Ero emozionato prima di incontrarlo? Mi ricordo di sì, molto. Poi mi ricordo che a fine intervista gli proposi di posare nudo abbracciato alla moto, lui e la moto sdraiati, ripresi dall’alto, ricordando la famosa foto di John Lennon e Yoko Ono. Lui risponde che no, nudo non lo avrebbe mai fatto. E poi se ne andò. Mi rimase la sensazione che non aveva la minima idea della portata del mito che era e della potenzialità che già allora avesse la sua storia. E questo tutto sommato mi piaceva, me lo rendeva più vicino. Uno con cui parlare di Inter e di figa e basta. Quella sera stessa dovevamo scattarli. Valentino arriva per ultimo. Con il fotografo Gigi Soldano eravamo rimasti d’accordo di creare uno scambio: Vale avrebbe indossato le bretelle del padre, il padre la tuta di Vale. Funzionò. Quelle foto e quell’intervista furono ripresi da chiunque. Fu ripresa soprattutto la frase: “Se avessi un figlio lo preferirei maschio”. Ora che aspetta una bimba fa sorridere. Poco dopo ritrovo Vale a Riccione, per un evento in cui Dainese lo nomina presidente onorario. Lui mi riconosce e si complimenta per il servizio, dando tutto il merito alle battute che aveva fatto Graziano.
Nel mondo di Vale ci rientro quando concordiamo un’intervista a Uccio. Uccio era il suo assistente personale, adesso è il responsabile della VR46 Academy. Ai tempi guidava anche il motorhome. Ci accordiamo di fare l’intervista in viaggio, così ci vediamo fuori Milano e salgo con lui. Fino a Barcellona. Uccio mi sembra un tipo strano, posa da duro e poco incline a darti confidenza. Passiamo il viaggio ad ascoltare canzoni di Vasco e Cremonini, a chiacchierare, a fumare. Vale lo chiama una volta sola per chiedergli quando sarebbero arrivate le sue Nike. Uccio che mi dice: “Lo sai quante persone vorrebbero fare un piacere a Valentino?”. Uccio che lo chiama “il Capo”, Uccio che canta urlando contro il parabrezza la canzone proprio di Cremonini, PadreMadre: “Padre, occhi gialli e stanchi, cerca ancora coi tuoi proverbi a illuminarmi”… Dopo aver letto l’intervista, Uccio mi incrocia nel paddock e mi fa: “Bello l’articolo. Bello”. Poi entra nell’hospitality. Ho capito solo in seguito che fare quel complimento, per come era fatto lui, gli era costato tanto.
Poi succede che l’ufficio stampa della linea di abbigliamento VR46 organizza il primo viaggio stampa al ranch di Valentino. E qui conosco Albi, suo amico da una vita e amministratore delegato della sua società. Il feeling è immediato. E coincidenza vuole che diventa addetto stampa Yamaha, con delega a seguire proprio Vale, Alen Bollini, ex giornalista di Mediaset con cui avevo un ottimo rapporto. E, altra coincidenza, sempre in quel periodo divento direttore di Riders.
Nel frattempo però mi chiama Gabriele Romagnoli, uno dei migliori giornalisti italiani, uno dei più narrativi e romantici. Mi convoca a Roma e seduto a un bar decadente mi propone di scrivere un libro su Rossi per la casa editrice 66thandthe2nd. L’idea era quella di raccontare Vale dopo l’incidente con Simoncelli. Tragedia umana e romanzo. Vita e destino. Il libro non è mai uscito. Mi svegliavo alle 5 tutte le mattine per scrivere dalle 5:30 alle 8:30. Ma a quello che scrivevo mancava verità. Non ero abbastanza dentro la testa di Vale per farlo e più scrivevo più mi rendevo conto che Vale mi sfuggiva. Per cercare di capirlo chiedo consiglio anche a un astrologa, Chiara Viola. Che mi dice: “Per forza ti sfugge, tu sei abituato a cercare il motivo delle cose in profondità. Vale il senso delle cose non se lo chiede neanche quale sia. Vive e basta. Tu sei verticale, lui è orizzontale. Tu vivi nel passato e nel futuro, lui sembra superficiale, in realtà è un perenne presente”. Questa descrizione a me è servita meglio di tante altre cose per spiegarmi come abbia fatto Valentino a superare tutto, la morte di Marco in primis. E ci ripenso oggi, a quella frase, che lo vedo piuttosto tranquillo nel viversi il momento dell’ultima gara. Fatto sta che quel libro è abortito, anche perché contestualmente - grazie all’aiuto di Alen e al consenso di Albi - nasce la possibilità di fare qualcosa mai fatta prima: raccontare tutto di lui. Tutto.
È così che nasce un numero speciale di Riders dedicato ai 10 anni della VR46, la realtà creata dopo lo scandalo delle tasse, quando Vale era tornato a Tavullia e si era circondato solo degli amici di sempre. Per capirla prima ancora di raccontarla vado diverse volte al ranch o nel suo box al rally di Monza. E a settembre 2017 siamo pronti per realizzare interviste e foto. Andiamo giù io, un altro giornalista e il fotografo Gabriele Micalizzi. Dopo la prima giornata proprio Alen mi chiama e mi fa: “Moreno, non so come dirtelo. Vale si è fatto male in enduro. È piuttosto grave. Salta tutto”. Io ero a bordo piscina del mio hotel, aspettavo di fare un aperitivo. Sono rimasto in silenzio a guardare l’acqua per 30 secondi. Saltati mesi di lavoro così. In un attimo. Il giorno dopo Alen mi rincuora: “Moreno, una delle prime cose che mi ha detto Vale è che presto recuperiamo tutto”. Infatti va così. E anche quel lavoro è rimasto e rimarrà un pezzo unico: la storia di Vale e della VR46 raccontata nel dettaglio, sentendo tutti i protagonisti e tutte le comparse, 146 pagine. Un libro. Un magazine da collezione. La foto sul podio con Vale alto e tutti i piloti dell’Academy sotto è iconica. Pensare che l’art direction di quell’immagine l’ho fatta io sul momento, improvvisando, un po’ di strano me lo fa. Di quei giorni mi viene in mente sempre una domanda che mi fece lui, guardandomi: “Ma tu hai la mia stessa età eh? Di che anno sei?”. E io: sì, del 1979. E lui: “Hai visto? Hai visto che l’ho capito?”
Quando esce quel numero di Riders, Alen mi fa leggere il suo messaggio: “Fai i complimenti a Pisto”. L’ultima volta che l’ho visto di persona è quando Tissot, a metà 2018, mi chiama a premiare la pole position di Misano. E chi la fa? Lui. Forse è stata la sua ultima. Un colpo di fortuna. Quando lui entra in conferenza mi vede seduto in prima fila e sgrana gli occhi: ma che ci fai qui? E quando scopre che sono io a premiarlo mi abbraccia e mentre i fotografi scattano ride e parla a denti stretti: “Che figata che abbiamo fatto, che figata”.
Già, che figata, Vale. La figata l’hai fatta tu. Di tutto ciò che ho raccontato ora ho un solo rimpianto: aver negato a mio figlio la possibilità di fare una foto con te quando ne ho avuto l’occasione. “È troppo da fan”, gli ho detto. Fanculo. Cosa si può essere se non tuo fan? Però in tutto questo un po’ di cose mi sono anche rimaste. Due soprattutto. La prima: che ci può essere sempre qualcosa di incredibile che ci aspetta al varco. Lo dimostra la tua storia. La seconda: il culo che ho avuto a incontrarti.
Che culo che ho avuto. Che culo che abbiamo avuto ad avere te, Vale. Lo ha avuto chi ti è stato accanto ogni giorno, chi ti ha apprezzato solo in tv o sui giornali, chi ti ha commentato, intervistato, pure chi non ha mai perso occasione per romperti il cazzo. Che culo che abbiamo avuto. A viverti. A crescere con te. Perché di questo proprio si è trattato. A godere e disperare per te. Che culo sì. Oggi finisce un’era. Finisce una generazione. È stato splendido. E questo, caro Vale, non ce lo toglierà nessuno mai. Nessuno. Mai.