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Il logorio della vita
(milanese)
di Chiara Carme

  • di Silvia Vittoria Trevisson Silvia Vittoria Trevisson

27 aprile 2020

Il logorio della vita (milanese) di Chiara Carme
Ha iniziato a fare la modella per gioco, perché “la moda se presa seriamente può farti soffrire” e la cosa più importante, per lei, è avere una forte personalità. Dietro al suo look aggressivo e alla sua voce bassa e ammaliante, si cela una ragazza vulnerabile, ma non fatevi intenerire: se le toccate la musica, è la fine

di Silvia Vittoria Trevisson Silvia Vittoria Trevisson

Quando la chiamo scopro di aver interrotto una sessione di shopping online. “Mi servono dei nuovi jeans per quest’estate”, mi dice sorridendo, e mi chiede un consiglio. Mi parla in modo diretto e senza troppi giri di parole, e la sua voce mi ricorda quella di una cantante rock anni ’70. Chiara ha 26 anni, vive a Milano da 7, fa la modella ma non se la tira per niente. La moda, però, non è mai stata la sua più grande aspirazione, neppure quando ha lasciato la provincia di Lecce. “Cercavo l’indipendenza. Ho fatto prima la cameriera, poi ho lavorato in un call center. Per gioco ho deciso di fare un casting per un’agenzia importante, mi hanno presa e ho iniziato a fare shooting per magazine e giù di lì”. Mi confida che Milano non è il suo posto nel mondo, perché “c’è troppa competizione e a lungo andare ti logora”. Se potesse fare un viaggio nel tempo vorrebbe vivere la sua giovinezza negli anni ’70, farsi tutti i concerti delle rockstar più famose e festeggiare con loro nel backstage. È un animale sociale, e la cosa che la affascina di più di Milano (e che ci affascina un po’ a tutti), sono le feste. “Sogno di lavorare nel campo della moda o della musica, magari di organizzare eventi. Vivendo qui, sono abituata alla gente e al casino. Ma ho una doppia personalità: dopo un po’ che sto in città ho bisogno di tornare giù nel mio paesino per ricaricarmi”.

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Nonostante la “scorza”, Chiara è una ragazza dai sani princìpi. “A Milano c’è pieno di pecoroni” mi dice un po’ scocciata “e agli inizi mi sentivo addirittura in dovere di fingere, per uscire con qualche ragazzo. Ma interpretavo una Chiara che non sono io”. A che scopo? “A Milano più gente conosci, meglio è. Magari mi facevo una serata a ballare, mi divertivo anche, ma poi mi rendevo conto che non faceva per me e sparivo”. Quindi hai fatto del vero e proprio “ghosting”. “Sì. Il punto è che sono molto curiosa e amo scoprire delle personalità lontane da me, ma è un’arma a doppio taglio. Dopotutto c’è sempre qualcosa da imparare. L’unica cosa su cui non transigo è la musica. Ho letteralmente mollato dei ragazzi con cui uscivo perché ascoltavano musica di merda”. Definisci musica di merda. “Tipo il reggaeton, musica senza significato. Alla fine io ascolto tutti i generi: rock, metal, punk, indie ricercato…Basta che sia buona musica. Se ascolti solo musica commerciale, posso diventare antipatica con te”. Non rischi di sembrare snob in questo modo? “Se voglio essere diversa e fare ricerca, lo faccio unicamente per me stessa. Mi piace sentirmi mentalmente elevata. D’impatto possono anche darmi della snob…Ma poi conoscendomi si smentiscono. Guarda che sono una ragazza davvero vulnerabile”. Faccio un passo indietro e ritorno alla musica, e mi rendo conto che per Chiara non è solo una facciata, ma un universo personale fatto di alti e bassi. “Suonavo la chitarra elettrica in una band, nel mio paesino. Si è rovinato tutto perché alcuni dei componenti sono stati arrestati per spaccio di droga, mentre altri sono finiti in comunità. Non sono riuscita ad ascoltare il metal per dieci anni perché mi ricordava quel periodo triste della mia vita”. Ora capisco il significato di “vulnerabile”. Quindi non sei solo una bad girl. “Assolutamente! Io mi immedesimo letteralmente in ogni cosa: libri, film, canzoni…E soprattutto sono sensibile ai luoghi: il mio luogo preferito è casa di mia nonna, in Puglia. Ah e anche una viuzza vicino al duomo di Lecce, perché ci andavo con un tipo e ballavamo ubriachi per strada”. Ancora contrasti. Ma d’altronde una risposta del genere me la dovevo aspettare. Parlando di “tipi”: qual è il tuo tipo ideale? “Non penso di avere uno standard. Musica a parte, non fa differenza se giovane o maturo, bello o brutto. Vabbè aspetta, non è che esco con tutti, l’occhio deve fare la sua parte! Se fisicamente è bruttino…Avanti il prossimo”. Si mette a ridere, ma stavolta non posso negare di essere d’accordo con lei.

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