Giovanni Falcone conosceva perfettamente il suo destino, già prima del fallito attentato dell’Addaura. Il 23 maggio ricorreranno i 28 anni dalla Strage di Capaci, in cui persero la vita il magistrato dell’Antimafia, sua moglie e la loro scorta. Ma è proprio all’Addaura, e quindi a tre anni prima (estate 1989) che bisogna risalire per ricostruire il passaggio fondamentale che portò alla tragedia del 1992. A farlo è stato Saverio Lodato, durante la trasmissione Atlantide di La7.
Così, mentre la Sicilia finisce nuovamente travolta da un’inchiesta che ha portato all’arresto di dieci persone, tra appalti pilotati e funzionari pubblici raggiunti da pesanti accuse, la storia di Giovanni Falcone torna attuale, non solo per ricorrenza, ma anche per accadimenti. Con tanto di rivelazioni destinate a provocare un nuovo terremoto e, probabilmente, a rivedere i passaggi di una delle pagine più tristi e imbarazzanti del dopo dopoguerra italiano. L’intreccio è quello già noto: i buoni, i cattivi, lo Stato che sta con entrambi, e i giornalisti. Nel caso specifico il giornalista Saverio Lodato, che nel ricordare la strage del 1992 è tornato al 1989. Giovanni Falcone si trovava in Sicilia, al mare. Con lui una magistrata svizzera con cui stava collaborando nel finto arresto di un ex latitante. I due decisero di fare una strana e inconsueta passeggiata sugli scogli e proprio su quegli scogli fu rinvenuta una borsa carica di esplosivo, destinata a far fuori i due giudici. Ma chi poteva sapere che Falcone e la sua collega Carla del Ponte avrebbero fatto quella passeggiata? “Menti raffinatissime, non certo riconducibili ai vertici mafiosi, sicuramente spietati e violenti, ma non abbastanza fini da ordire trame così particolareggiate” – fu la confidenza affidata da Falcone ai suoi. Era chiaro che dietro quell’attentato fallito c’era un uomo dello Stato, qualcuno che sapeva e che aveva interesse a far vincere i cattivi contro i buoni. Lo stesso Falcone, parlando con il giornalista Lodato, era arrivato a fare un nome, quello di Bruno Contrada, il discusso ex capo del Sisde. E Lodato, a 28 anni di distanza dalla morte di Falcone e a 31 anni dai fatti dell’Addaura, ha deciso di raccontare quella conversazione. “Quello che mi disse doveva restare riservatissimo – ha spiegato – Rischiavo una interruzione netta dei nostri rapporti e non potevo permettermelo, ma oggi scelgo di parlare”.
Qualcuno ha tradito, segnando il destino di Falcone e facendo nascere nel magistrato la consapevolezza che la sua fine era vicina e che sarebbe stato solo questione di tempo. A confermare questa ricostruzione è stato anche il magistrato Alfredo Morvillo, in pensione dallo scorso 20 aprile (per altro cognato di Falcone) che, però, non fa nomi come Lodato: “Facemmo una cena qualche sera prima dell’attentato all’Addaura – ha raccontato – Nessuno poteva sapere della passeggiata di Giovanni con Carla Dal Ponte sugli scogli. Chi ha messo lì quella bomba era a conoscenza dell’intenzione dei due e, quindi, non solo di informazioni riservatissime circa il segreto che Falcone e la Dal Ponte custodivano. Giovanni, anche sulla base di alcune dichiarazioni rilasciate da un pentito, capì che a tradire fu un alto rappresentante delle istituzioni. Una confessione che, però, non fu mai formalizzata perché il collaboratore aveva ritrattato. La verità emersa in seguito alle indagini dell’attentato dell’Addaura è solo una parte di una verità ancora più inquietante”.
Niente di meno improbabile. Al di là dei nomi e dei sospetti, con l’avvocato di Bruno Contrada che intervenendo nella stessa trasmissione ci ha tenuto a ribadire che il suo assistito è a tutti gli effetti un incensurato.