Ho scoperto George Best a quindici anni. Passavo le estati a Cambridge e appesa nello studio del mio host dad c’era la fotografia autografata di un ragazzo sconosciuto. Sembrava un po’ uno dei Beatles e un po’ uno di quelli che ci provano con te fuori dalle discoteche. Manco a dirlo, mi ero già innamorata di lui.
Mi ricordo quel giorno perché puntai il dito contro la cornice e chiesi chi fosse. Se ci penso sento ancora addosso lo sguardo di tutti: sembrava avessi chiesto il nome della Regina Elisabetta. Oggi mi rendo conto che forse sarebbe stato meglio non riconoscere l’intera famiglia reale.
Se Lord Byron avesse giocato a calcio
Chissà cosa avrebbe detto George Best della devozione al lavoro di Cristiano Ronaldo. Probabilmente ci avrebbe bevuto su
Ho sempre pensato che la storia di George Best andasse ben oltre il suo talento nel dribblare a metà campo. Nel ritratto del calciatore, prima ancora della sua morte prematura, c’era già tutto il necessario per renderlo il prototipo dell’eterno bello e dannato: il talento, la sregolatezza, il declino, gli eccessi, gli inizi difficili. Uno che per cognome aveva un superlativo assoluto non non sarebbe mai rimasto tutta la vita nei quartieri popolari di Belfast. Crebbe in fretta e vinse tutto, subito.
Era pigro, irrequieto, strafottente con i compagni e insopportabile con gli avversari. Era sopra i generi, come ogni dannato romantico che si rispetti. Mi ha sempre vagamente ricordato un Lord Byron con la casacca del Manchester United. L’icona romantica per eccellenza tra i vizi proibiti che un atleta non può permettersi. 137 gol in 361 partite, due campionati, il Pallone d’Oro, la vittoria nella Coppa dei Campioni e tanto altro. Tutto e subito. Come i veri romantici.
Chissà cosa avrebbe detto George Best della devozione al lavoro di Cristiano Ronaldo. Probabilmente ci avrebbe bevuto su.
Superlativo assoluto
Maradona good, Pele better, George Best
Lo chiamavano il quinto Beatle, per i capelli alla John Lennon, ma George Best fu Kurt Cobain e David Bowie messi insieme. Solista del suo sport e poeta della sua personalissima opera magna. Per conoscere George Best bisogna leggere The Best, la sua biografia. Perché del calciatore è stato scritto tanto, forse troppo, ma l’unico ad aver mai detto la verità su se stesso fu proprio lui.
Nel libro non nasconde mai le ossessioni, l’alcool, il carcere, il declino. È così crudele e autentico che poi non puoi che amarlo per davvero. Il peso di un cognome che è prima di tutto una definizione, pressoché impossibile da mantenere, mi ha sempre affascinata. Così come l’immagine che il suo popolo ha ancora oggi di lui. Lui che ha prestato il nome all’aeroporto della sua Belfast, lui che è sulle banconote da cinque sterline, proprio come la Regina, e lui che sarà sempre un superlativo assoluto. Semplicemente George Best.