La notizia canta e danza così: la villa (il “villone”, diciamo meglio) di Raffaella Carrà all'Argentario è in vendita. Dopo la dimora di Vigna Clara, dominio di Roma Nord, tra colpi di sole, borse Louis Vuitton e automobiline elettriche per ogni pargolo con ciuffone, (vendita tribolata, come più volte narrato dalle cronache cittadine, “Il Messaggero in primo luogo per pertinenza municipale) adesso ciò che senza timore di smentita potremo definire un romanzo immobiliare decisamente nazional-popolare, non esattamente gramsciano, mostra la residenza affacciata sull’azzurro tirrenico tra estremo Lazio e “primissima Toscana”, come intonerebbe il cantautore Flavio Giurato ispirandosi a un lembo di terra che inquadra perfino la laguna di Orbetello già petinenza di Italo Balbo in idrovolante (infine, in picchiata, location dei romanzi di Teresa Ciabatti) e, correndo oltre, perfino l’altura di Capalbio, superata Pescia Romana e Pescia Fiorentina, cioè l’Aurelia dove c’è ancora modo di intuire, sfrecciante, la Lancia di Bruno Cortona accompagnato da Louis Trintignant: Vittorio Gassman nei giorni de “Il sorpasso”. La villa, realizzata dall'artista Giò Pomodoro, fratello del più citato Arnaldo con le sue sfere e perfino l’obelisco a forma di punta di trapano, quasi un omaggio ufficioso alle ferramenta, posto davanti al Palazzo dello sport dell’Eur. Il “villone”, dove “Raffa” amava ritirarsi nei giorni estivi si trova a ridosso della Panoramica, “ha una vista mozzafiato sull'isola del Giglio”, garantisce il cronista con prosa da emulo di Tecnocasa. Così, lo si è detto, dopo la residenza romana che può non meno vantare 420 mq con piscina, campi da tennis e 9 camere da letto.
Tornando al bene immobile della villa, si sappia, lo riportiamo rispettando ancora la retorica immobiliare, che “si estende su 1162 metri quadri di interni e quasi 6 ettari di terreni, con giardini, vigneti, oliveti, un eliporto e ampio spazio per ospitare un maneggio”. A curarne ogni possibile trattativa affinché, diversamente dall’altra che vive uno stallo, è il portale Lionard Luxury Real Estate. Il prezzo è al momento riservato, l’ipotesi che si aggiri intorno ai due milioni di euro è pronunciata a mezza voce, come un sospiro segreto, probabilmente indirizzato a chi mai potrà permettersi di venirne in possesso, sogni baciati dai colpi di sole nuovamente apologetici di Roma Nord, categoria dello spirito socio-antropologica che risponde all’approssimazione paesaggistica di Roma Sud che s’apre invece allo sguardo abbandonando alle proprie spalle ciò che in tempi littori era detto “l’Agro redento”; un filare di pini mediterranei a punteggiare l’ingresso infine nell’Urbe annunciato dal Colosseo Quadrato e dal Palazzo dei Congressi; l’Eur appunto.
Al primo piano, insiste la voce del sogno in blazer da agente non meno immobiliare, brochure in quadricromia lucente e volantini sottobraccio, “un terrazzo panoramico regala scorci mozzafiato. Dal retro si accede a un cortile, ideale per grandi pranzi all'aperto, attrezzato con griglie e una cucina professionale coperta”. E ancora, infierendo sullo sguardo del comune mortale che nel migliore dei casi potrà concedersi un trivani a Monteverde Nuovo non oltre il confine di Parrocchietta o magari alla Montagnola, già residenza del giovane Renato Zero, occorre segnalare, se la residenza padronale non dovesse essere sufficiente, la presenza di una “seconda villa facente parte del complesso che si sviluppa su due livelli per un totale di 236 mq. Ospita al suo interno un grande salone con camino, 3 camere da letto e tre bagni. Infine, la dependance in posizione panoramica sul poggio si compone di 2 grandi camere con relativi servizi”.
Per sincronicità mitopoietica l’offerta coincide e completa, rendendo globale il nostro romanzo immobiliare, con i patemi dei fan di Marilyn Monroe, posto che il Consiglio della Contea comunale di Los Angeles ha rimandato al 26 giugno il voto per rendere “monumento storico-culturale” la piccola villa di Brentwood che “la diva comprò pochi mesi prima di morire, mettendola così per sempre al riparo dalle speculazioni edilizie”, anche in questo caso scegliamo di rispettare la prosa cronistica. Si sappia infatti per completezza che si tratti dell’unica abitazione che Marilyn abbia mai acquistata: uno chalet bianco al numero 12305 di Fifth Helena drive, a Brentwood, quartiere-enclave di estremo lusso: il valore del terreno edificabile è oggi “stellare”, direbbe Valeria Marini. Costruita nel 1929 in stile spagnolo moresco si offre nei suoi 270 metri quadrati su un unico piano, con giardino e piccola piscina sul retro. Lo scorso luglio, i nuovi proprietari, produttori di reality tv, l’hanno acquistato per 8,4 milioni con l'idea di abbatterla e allargare la dimora familiare. Quanto a Marilyn, ne entrò in possesso per 75.000 dollari nel 1961, dopo che il matrimonio con il drammaturgo Arthur Miller era giunto all’ammazzacaffè. Lo scatto, accluso nel dossier del coroner, a documentare la dinamica oscura della sua morte ne mostra proprio la camera da letto: 5 agosto 1962.
Diversamente dagli scatti in bianco e nero dove la mobilia tutta, le consolle, le abat-jour e lo stesso telefono restituiscono il tempo e l’età della “nuova frontiera” kennediana, le foto che ne mostrano l’attuale stato, tra arredi laccati bianco satinato e ampia cucina “con isola” sembrano invece rispecchiare un dépliant dell’ultima Ikea, e qui il romanzo immobiliare sembra assumere il capitolo annoso delle ristrutturazioni, fino alla cancellazione d’ogni “flatus” visivo originario.
In dissolvenza incrociata, globalizzazione iconica fa sì che pure le immagini a corredo della villa di “Raffa” nostra sembrino ricalcare la stessa mano, e poco importa che l’Argentario sia lontano da Bel Air o da Santa Monica il romanzo nazional-popolare immobiliare probabilmente ama procedere per semplificazioni, e stavo dimenticando di aggiungere che negli stessi giorni in cui l’agenzia cui è stata affidata la cura della vendita attende con sicura trepidazione sull’uscio che si manifesti l’acquirente definitivo, l’Istituto Treccani rende omaggio a Raffaella Carrà proponendo al proprio pubblico l’acquisto, cito anche in questo testualmente per magnificat ulteriore di ciò che chiameremo “stile brochure” di “un volume fotografico e due serigrafie in edizione limitata firmate da Marco Lodola, con l'intento di celebrarne il mito e contribuire ulteriormente alla sua meritata immortalità. Il volume è edito in due accurate edizioni: la prima con copertina cartonata declinata in un accattivante color azzurro cielo; la seconda in edizione limitata a 199 esemplari, con copertina specchiata e custodita in un cofanetto in plexiglas, a cui è possibile abbinare una delle due opere su carta di Marco Lodola. Raffaella Carrà è un volume fotografico di grande formato e dall'estetica intrigante, che ripercorre la vita artistica di Raffaella Carrà attraverso oltre 220 scatti”. Si sappia che con Raffaella Carrà Treccani inaugura la collana “Miti Italiani”.
Se solo avessimo qui a disposizione un esperto di flora e botanica certamente questi saprebbe, anzi, avrebbe cura di incastonare nel migliore dei modi gli scatti da grottino o tavernetta che ci vengono offerte a compendio visivo della lussuosa gradevolezza del sito, “sinfonia di odori” propri della macchia mediterranea, alberi come la quercia da sughero dalla corteccia assai spessa, i lecci, la gariga che racconta la fascia di terra "in attesa" di diventare macchia mediterranea vera e propria, a un passo dalla spiaggia con le sue piante spinose come la carlina, l'erigino e il giunco no meno munito di aculei, e poi timo, rosmarino, lavanda selvatica e origano. Una sinfonia della natura che nel momento in cui prende a popolarsi della figura umana nel dettaglio della casa “al mare” della “compianta” Raffaella Carrà non può che mostrare accanto all’amato Japino, poi, di botto, la fine del sogno… Sergio Japino infatti diffonde una nota per smentire che la villa ora in vendita appartenesse alla sua compagna di vita: "In riferimento a quanto riportato in questi giorni da numerosi organi di stampa, desidero precisare che la citata villa all'Argentario, progettata da Giò Pomodoro, non è - e non è mai stata - di proprietà della signora Carrà".
E dire che qui, nel nostro romanzo immobiliare nazional-popolare con mèches ci sarebbe stata bene una riflessione sullo scarto stilistico tra l’atrio delle Botteghe Oscure, già sede della direzione del Pci, nel quale proprio Giò Pomodoro realizzò un’istallazione permanente dove incastonare perfino falce e martello e una bandiera originale della Comune di Parigi del 1871, e la cifra appunto da grottino, grigliata, scopone scientifico, e pennichella da generone ministeriale suggerito sia dagli arredi sia dalle rifiniture.
E intanto, laggiù la ritrovata Aurelia di sfondo, l’aspirante residente di Capalbio, cittadina ormai governata dal partito della Meloni, immemore del mattino del giorno dopo politico, si appresta a raggiungere “Il Frantoio”, oh, candore intatto di chi reputi la storia immobile dell’amichettismo, e che tutto sia come prima.