“Prima ho visto un gatto nei paraggi, se tu tiri un oggetto a un gatto si sposta perché c’ha paura di essere colpito, mica pensa, adesso sposto una zampa a destra…”
C’è un video che sta facendo il giro dei social. È un estratto dal podcast di Daniele Rielli, Pdr, e ha per protagonista Alex Britti. Il video, un estratto della lunga intervista, parla di suonare la chitarra, e con Alex Britti ospite la cosa è quasi d’obbligo, e parla di studio, di blues e di istinto, per questo a un certo punto salta fuori il gatto e come evita di essere colpito da eventuali oggetti che qualcuno gli volesse tirare. Il video sta facendo il giro dei social perché quel che esce da questo reel, diamogli il nome corretto, è qualcosa che oggi suona ambiguo. Alex Britti dice, rispondendo a esplicita domanda, di non conoscere la musica, intendendo con questo il sapere leggere e scrivere musica, con gli spartiti. Dice che quel che sa lo ha appreso sul campo, “a furia de magna’ bistecche”, intendendo con questo l’andare a orecchio dopo aver passato anni e anni a suonare ovunque, nei club, per strada, a forza di suonare ovunque. E a un certo punto, sempre rispondendo, dice di non aver studiato, quando gli si è proposta l’opportunità di scolarizzarsi musicalmente, per paura di perdere l’istinto, che è la forza di chi fa blues. Dice poi anche di essere non il chitarrista più bravo, ma il più bravo a suonare come Alex Britti, come a dire che quella è la sua esperienza, non necessariamente la strada migliore da percorrere, o la sola da percorrere.
Ora, parliamone. Alex è un cantautore di cui si dice, a ragione, è uno che suona la chitarra da Dio. Lo si dice nonostante le sue canzoni, quelle più famose, non siano poi così chitarristiche, o una ballatona davvero intensa come Oggi sono io, con la quale ha vinto Sanremo Giovani nel 1999, o le filastrocche alla Alex Britti, da La vasca a Solo una volta o Mi piaci. E poi c’è la chitarra, appunto, con la quale ha evidentemente un rapporto intimo, personale, mica a caso ultimamente se n’è andato in giro a fare blues canonici invece che il suo classico repertorio. Quello che dice, evidentemente, è quello che pensa, chi ha qualche anno sulle spalle, io ho qualche anno sulle spalle, se lo ricorda coi dreadlock, prima del successo, suonare appunto blues in giro. Solo che quello che dice, che lo studio toglie l’istinto, che poi uno, non lo dice così ma il succo potrebbe essere questo, si omologa, risulta un filo ambiguo, oltre che discutibile. Perché viviamo in un’epoca, figlia dei reality, prima, e dei talent, poi, che ci ha spinto, o meglio ha spinto un pubblico generalista, a pensare che per fare successo basti esserci, a prescindere dal saper fare bene qualcosa. E far passare che studiare non serva, o peggio faccia addirittura male, perché toglie la naturalezza, quella che fa salvare il gatto da una ciabattata lanciata da qualcuno cui non sta simpatico, è piuttosto pericoloso. È pericoloso perché, è vero, l’esperienza la si può ben fare per strada, nei club, ovunque, e sarà l’esperienza a dirci se poi il talento c’è, ma senza la dedizione, le ore passate a studiare, anche in solitario, il talento da solo serve a poco, l’assenza di talento più difficile da riconoscere. A scuola, la si intenda come scuola di chitarra, nel caso di Britti, ma il discorso è valido in generale, ci dovrebbe pur essere qualcuno a incanalarci verso la strada giusta, magari anche quella che prevede di lasciar perdere.
La lezione dei reality, uno diventa famoso perché è lì, anche senza saper fare niente, o quella dei talent, uno diventa famoso perché canta dentro la televisione, con già un pubblico fidelizzato e uno stuolo di addetti ai lavori, non sempre preparatissimi, a dirgli che è un talento assoluto, una popstar nata e subita, fuorviano, perché a casa, magari, ci sarà qualcuno che può sentirsi legittimato a pensare che quel che sa fare, il poco che sa fare, magari anche il poco che sa fare male, potrebbe essere sufficiente per andare avanti. Ripeto, Alex Britti non ha detto questo, ma ha fatto un discorso forse un po’ semplicistico, perché dato in pasto a un posto come i social, che triturano e sminuzzano tutto, senza dar modo di approfondire, finendo per far passare che il fai da te è meglio che stare lì a prepararsi. Il che mi spinge a pensare, e a dire, Alex lo conosco da una vita, e lo stimo, spero sentimento ricambiato, che magari Alex ha fatto bene a non studiare chitarra, perché l’ha comunque studiata da solo, come tanti altri chitarristi rock e blues prima di lui, trovando e cercando uno stile proprio, la propria strada per arrivare a fare quelle note, che in qualche modo sono diventate il suo marchio di fabbrica, suo e suo soltanto, ma quel che indubbiamente non ha studiato è come ci si muove sui social, o quando si fa un’intervista per un podcast, perché dire qualcosa del genere è alzare una palla alla viralità, certo, buon per chi ha fatto il podcast, ma anche per il fraintendimento, e passare dall’essere uno che umilmente ha raccontato il proprio percorso professionale all’essere un cazzone che dice che se hai talento va bene anche fottersene dello studio è un attimo, volevi invogliare la gente a suonare ore e ore in cameretta, in strada, in sala prove e sei finito a fare Alex Del Piero o Cristiano Ronaldo che fanno la pubblicità per le scuole tre anni in uno con cui, pagando, ottieni a zero sforzo un diploma con cui, poi, puoi serenamente pulirti il culo, perché il pezzo di carta senza aver appreso quello che la scuola ti dovrebbe insegnare vale zero. Hai voglia poi a dire “Ti aspecto”, il danno è fatto, come una ciabatta tirata a un gatto privo di istinto.