Lo stadio di San Siro, tema bollente. Che rimbalza e scalcia. Anche attraverso pillole social che rinnovano il dibattito. Come la battuta di Andrea Laffranchi, critico del Corriere della Sera, durante il podcast “Pezzi: dentro la musica”. Laffranchi ha riportato un’uscita del sindaco di Milano, Beppe Sala, che a Vasco Rossi butta lì: “Se Inter e Milan non lo vogliono, il campo di San Siro, io lo do a te”. Leggi, “lo do ai promoter”. Un’altra via? Per saperne di più noi abbiamo contattato Claudio Trotta, il più grande promoter italiano indipendente (fondatore di Barley Arts e Slow Music). “Non commento le posizioni di altri, ma parlo volentieri di San Siro”, ha immediatamente chiarito. Trotta, va sottolineato, è da tempo in prima linea con il comitato Sì Meazza, che “opera non contro qualcosa, ma per la salvaguardia e l’eventuale ammodernamento dello Stadio Meazza, per recuperare a verde l’immensa distesa di cemento attorno alla stadio, per riqualificare l’ambiente urbano circostante, peraltro già interessato da altre operazioni immobiliari”.
Trotta, la questione San Siro sta diventando spinosa. Quale sarà la sua destinazione?
“Mah, la mia posizione personale e quella di Sì Meazza – il comitato che ho costituito insieme a Luigi Corbani e a molti altri – è sempre la stessa da ormai quasi quattro anni. Lo stadio è comunale, dei cittadini. E ai cittadini deve restare. Non c’è motivo per cui debba essere messo in vendita. Certo può (e deve) essere ristrutturato e ammodernato, e per farlo crediamo sia necessario indire un bando internazionale dopo aver elaborato un capitolato. Ma non solo con le indicazioni di Milan ed Inter, bensì insieme ad esperti del settore sportivo (chi si occupa di disegnare e costruire stadi moderni) e a professionisti dello sport e dello spettacolo live, non solo a chi organizza i grandi concerti. Continuiamo a sostenere che questo capitolato debba avere una visione polivalente e futuribile e prevedere una copertura, meglio se portante, ossia in grado di sostenere pesi e carichi che permettano lo svolgersi di qualsiasi genere di spettacolo dal vivo. Poi un prato che possa essere utilizzato tutto l’anno, un giorno per una partita di calcio, anche femminile, un altro per una fiera, un altro per il rugby e un altro ancora per l’opera o per un concerto o spettacoli di massa che ora neppure possiamo immaginarci. Senza soluzione di continuità”.
Solo?
“No, lo stadio dovrà rimanere a vocazione popolare, di proprietà dei cittadini. Uno stadio moderno, però, che dovrà giocoforza rinunciare al terzo anello. Tutto questo è possibile. Dovrà anche essere messa a bando, oltre alla ristrutturazione, la gestione, dal 2030 in avanti (cioè da quando scadrà la convenzione in essere con le squadre di calcio). Siamo convinti che tutto questo sia ampiamente realizzabile e abbia una sostenibilità economica grazie anche ai ricavi generati dai tanti modi in cui la struttura è utilizzabile. Va ricordato che, nei mesi estivi di giugno e luglio, i concerti garantiscono ottimi ricavi”.
E Inter e Milan?
“L’idea che ho appena esposto è sostenibile in ogni eventualità. Sia che le squadre rimangano a San Siro, che ne rimanga una sola o che addirittura non ne rimanga alcuna. A meno che, ovviamente, non ci siano speculazioni di sorta che, peraltro, il nostro comitato ha già evitato”.
Andiamo sul sindaco Sala, allora.
“Non capisco perché il sindaco non si ricordi mai di essere il sindaco della città metropolitana e non solo di Milano, e che quindi veda come fumo negli occhi l’ipotesi che possano esserci più stadi oltre a quello di San Siro. Nella città metropolitana, ovviamente, senza ulteriori cementificazioni a scapito del verde pubblico. Aggiungo: con il vincolo della Soprintendenza, che noi avevamo in qualche modo annunciato, c’è la certezza, oggi, che lo stadio non verrà demolito”.
Sì, ma con Sala come procede il dialogo?
“Zero dialogo, direi. Personalmente, tempo fa, avevo anche favorito un incontro fra il sindaco e una società, che mostrava interesse, che gestisce e allestisce spazi sportivi e dello spettacolo nel mondo. Poi la cosa credo sia finita in nulla. Ma il punto non credo sia di dialogare con Sala, il punto è fare la cosa giusta, che ritengo sia quella da noi indicata. Lo stadio va ristrutturato considerando tutte le realtà del mondo dello “stare insieme”, non solo il calcio. San Siro è un luogo dove si sono radunate milioni di persone che hanno partecipato ad eventi di ogni tipo. Non solo i tifosi di Inter e Milan.
Quale futuro, quindi, per lo stadio?
“Credo sia evidente che lo stadio non sarà toccato fino a dopo le Olimpiadi (2026). I lavori immagino potranno iniziare nel 2026/27 e nello stesso anno ci saranno le elezioni comunali. Sala, peraltro, non potrà ripresentarsi. Legare quindi il futuro dello stadio a questo sindaco, a questa giunta, e alla relativa deliberazione – sempre che ce ne sia una – mi pare ormai come una cosa forzata”.
Cosa ostacola, oggi, il buon corso degli eventi?
“Il problema sono le modalità di sindaco e giunta, che finora hanno fatto perdere tempo alla città e alle squadre. Già tre anni fa si poteva iniziare a ragionare sull’ipotesi di fare un bando che non considerasse lo stadio un bene di proprietà di Inter e Milan, visto che non lo è. Ma tutta la questione, purtroppo, è stata gestita malissimo fin dall’inizio. Facciamo l’ipotesi che si voglia davvero vendere lo stadio. Questa sarebbe una cosa di un’enorme complessità: c’è di mezzo la corte dei conti, la determinazione del valore della struttura, e una procedura pubblica. Sala, ahimè, è andato avanti troppo spesso a battute, ma il tema è molto serio. Ad esempio va rivisto tutto il discorso della mobilità nella zona oggettivamente in difficoltà, del verde vivibile attorno allo stadio, dove ora c’è solo cemento. Alla gente che abita a San Siro andrà spiegato come si potrà convivere con uno stadio di San Siro sempre attivo. Il sindaco è ricettivo? Non è ricettivo? Non so quanto sia importante, ora. Mi auguro solo che Sala inizi questo percorso, il nostro, il prima possibile”.