Fateci caso, i rapper, quegli artisti che quindi hanno scelto la parola laddove i colleghi cantanti hanno scelto le note, per esprimere la propria arte, sono spesso i meno generosi quando si tratta di farsi intervistare. Per più di una ragione, immagino. Da una parte per mancanza di fiducia nei confronti di chi si troverebbe a porre loro domande, il fatto che a distanza di cinquant’anni dalla nascita del genere ancora venga visto come qualcosa di nuovo, difficile da comprendere, quasi bizzarro la dice lunga su come in effetti il rap non sia ancora stato del tutto metabolizzato, forse neanche decifrato dal mainstream, parlo di comunicatori più che di pubblico, dall’altra la consapevolezza dell’inutilità di questo tipo di comunicazione per chi, in fondo, già ha ai propri piedi un pubblico di massa ingente, infinito, e non ha quindi bisogno di una cassa di risonanza per le proprie parole, qualcosa che ne evidenzi la potenza e che induca un pubblico qualsiasi a interessarsi alle proprie canzoni. In pratica, ai rapper di avere spot, perché spesso questo finiscono per essere interviste quasi sempre appecorate, non servono, servirebbero semmai ai giornali, che grazie alla presenza di tali nomi avrebbero più lettori o click. Così si genere una sorta di loop, per cui chi è incapace di capire il mondo del rap ne è sostanzialmente tagliato fuori, continuando a guardarlo come in fenomeno inspiegabile, il “nuovo” e “diverso” che tanto fa paura. Per questo, non solo per questo ma anche per questo, l’arrivo in libreria di un volume come Testi espliciti, edito appunto da Mondadori, non esattamente da Shake o Odoya, per dire, fanzine, così amano dire a cura di Paola Zukar e Claudio Cabona, che raduna buona parte della scena rap e non solo italiana, lì a parlare di censura, è qualcosa che andrebbe festeggiato con sette giorni di banchetti, o che quantomeno andrebbe affrontato con curiosità e attenzione. Perché, messa da parte l’idea naif della fanzine, Testi espliciti, il cui sottotiolo è “Nuovi stili di censura”, è a tutti gli effetti un libro, certo un libro con belle illustrazioni e foto, anomalo se si intende per libro solo quelli con dentro pagine che, almeno formalmente, si somiglino tutte, ma pur sempre un libro, perché, dicevo, Testi espliciti è a tutti gli effetti la panoramica più generosa che troverete sul mondo del rap da qui per lungo tempo, e anche per lungo tempo addietro, oltre che essere una sorta di documentario/documento su tutto quello che è la comunicazione e l’informazione, pure, oggi, anno del Signore 2024.
Il tutto grazie alle tante voci raccolte, oltre a quelle di rapper quali Fabri Fibra e Marracash e Madame, che della Zukar sono artisti, lei, con un passato da giornalista di settore è da tempo manager dei più grandi (recentemente ha anche preso Tiziano Ferro), Guè e Baby Gang, non fatemi star qui a fare l’elenco completo, non sono uno che fa spot, oltre a quelle di rapper come quelli citati, anche nomi assolutamente centrali oggi quali Zerocalcare o Cecilia Strada, neoeletta al Parlamento Euripeo, come anche Gherardo Colombo o Jorit, recentemente salito ai disonori delle cronache per aver endorsato Putin, passando per Milena Gabbanelli come per uno dei padri italiani della stand up comedy, Filippo Giardina, via via fino a quel Don Claudio Burgio che con la comunità Kayros è in sicuramente la persona più vicina a tutti quei trapper che stanno animando le pagine di cronaca nera dei quotidiani, ennesima svista della stampa che invece che provare a capire i perché si sofferma un po’ troppo sui cosa. E proprio Paola Zukar, qui impegnata con Claudio Cabona che, va detto, è uno dei critici musicali più acuti che il nostro asfittico panorama ha tirato fuori, attento lettore non solo della scena rap ma anche del cantautorato, oltre che tifoso genoano, il che non guasta, fratello minore di quella scena di giornalisti che proprio nella loro, di Paola e Claudio, Genova hanno tirato su ai tempi Aelle, prima fanzine dedicata al rap, parliamo di quando le fanzine si facevano col ciclostile, o voi che adesso pensate che il rap sia una faccenda dei nostri giorni. Il tema della nuova censura, per intendersi quella che sempre più spesso artisti e comunicatori applicano in partenza alle proprie opere, al fine di non finire nel tritacarne, certo, ma anche di non prendere posizioni che facciano perdere hype se non addirittura finire una carriera, formula decisamente più subdola e incisiva di prevaricazione da parte del potere, perché niente come la paura di perdere quel che si ha agisce sul nostro inconscio, è decisamente centrale oggi, nei giorni della TeleMeloni e della flap, quando sembrerebbe che la censura continui a viaggiare solo sui binari conosciuti dello “stai zitto” e non del “non ti conviene”.
Ora, partendo da due esperti di un genere che ha fatto delle trovate stilistiche, sintattiche, e soprattutto verbali e formali il proprio core business, ed è stato praticato, lo è tutt’ora, da artisti che hanno veicolato messaggi facendone l’essenza stessa della propria arte, al punto che sono ormai passati quasi quarant’anni da che Chuck D parlava di rap come la Cnn del ghetto, mi risulta praticamente impensabile star qui a spoilerare i contenuti più ficcanti, perché i libri (o le fanzine) vanno letti e Testi espliciti è tomo che assolutamente merita di finire in una qualsiasi libreria di chi abbia a cuore la comprensione del contemporaneo. Resta da capire se sia o meno plausibile ipotizzare che finisca anche nelle mani di chi è incapace di comprendere quel che gira intorno, per sue tare o più presumibilmente per l’essersi adagiato su un divano fatto di comode certezze che hanno la faccia delle proprie tradizioni e anche di quel “già visto” che gli fa rizzare i peli sul collo anche solo a pensare di confrontarsi con un altro da sé. Perché temo, e lo dico sottolineando ancora una volta come questa sia opera fondamentale per decifrare la contemporaneità, altro che Massimo Gramellini e i suoi caffè o Michele Serra e le sue amache, temo che nei fatti a leggerlo sarà chi quel mondo in qualche modo già lo frequenta, ne è appassionato e quindi qui troverà conferme invece che sorprese, nuove sfumature di un colore che è già solito indossare. E perché non lo prende in considerazione anche il Premio Strega? Se pensiamo che Eminem, i cui testi furono tradotti dalla medesima Mondadori, alla faccia del colosso incapace di muoversi agile, nel 2001, lo dico perché mi fregio di aver tradotto io ai tempi Angry Blonde, già oltre venti anni fa passava dal palco dell’Ariston di Sanremo, ospite del Festival di Raffaella Carrà, accompagnato da timori al limite della paranoia e da richieste di censura che oggi sentiamo applicare ai testi dei trapper da gente che in fondo di musica si occupa, dal sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi che del Festival è più volte stato Direttore Artistico (non con la Carrà, che aveva il capostruttura Maffucci, ma poco cambia) a tutta una serie di addetti ai lavori che, invece di provare a comprendere, tira su palizzate degne di The Village di M. Night Shyamalan, ecco, se pensiamo che Eminem ormai è una sorta di monumento, al punto da essere in procinto di celebrare artisticamente il funerale del suo alter ego Slim Shady, forse dovremmo anche provare a fare tutti uno sforzo per fare i conti con qualcosa che è parte del nostro patrimonio culturale, sia pur con un certo grado di appropriazione culturale, dai. Onore a Paola Zukar e Claudio Cabona per la loro opera, e curioso di capire di che si occuperà il secondo volume, immagino già in lavorazione. Testi espliciti andrebbe adottato nelle scuole come libro di testo, sia messo agli atti. Sarebbe la volta buona che la distanza tra professori e alunni verrebbe almeno per qualche momento annullata dal trovarsi a giocare nel medesimo campo al medesimo sport.