Si continua a parlare di elezioni americane. Joe Biden che compie gli anni, Rudy Giuliani con il mascara sui capelli che gli cola sul viso, i voti dei democratici che continuano a salire, la Georgia che diventa il definitivo tesoretto di un'America che ha scelto il proprio presidente.
E mentre, una dopo l’altra, le sue denunce sui presunti brogli vengono respinte, Donald Trump continua un’inutile guerra contro i mulini a vento, barricato in quella Casa Bianca da cui probabilmente dovrà essere trascinato fuori, il 20 gennaio di un nuovo anno.
Un Cristo decaduto, un Vittorio Sgarbi allontanato con la forza dal Parlamento.
È che ci sembra lontano, lontanissimo, quel 20 gennaio. Distante anni luce da questo 2020 che non finisce mai. Un futuro che per tutti ha i contorni sbiaditi delle allucinazioni e le speranze di un pianeta sconosciuto. Un mondo nuovo che comincerà con la fine, per il tycoon, ma ancora non sappiamo la fine di che cosa. Della presidenza, certamente, ma anche della protezione davanti alla legge, a cui dovrà spiegare i buchi fiscali, i conti che non tornano dei fondi della propria campagna elettorale, le accuse di frode.
E poi c’è Twitter, che smetterà di trattarlo come il presidente degli Stati Uniti e inizierà a bloccare il suo profilo come quello di un qualsiasi leone da tastiera recidivo nella pubblicazione di fake news che inneggiano all’odio, al razzismo, alla destra radicale, e al complottiamo. Lo hanno detto, dai vertici di Twitter, che Trump da gennaio rimarrà solo.
Si parla di questo, di solitudine. Di un bullo che cambia scuola e improvvisamente diventa bullizzato. Il capo di un gruppo, arrogante e spavaldo, da cui tutti si allontano improvvisamente. Al partito repubblicano Trump non è mai piaciuto, i figli sono terrorizzati dalla possibilità di vedersi rovinare il futuro politico e imprenditoriale, Melania sembra puntare al divorzio (che sorpresa, eh?).
Poi c’è la gestione disastrosa della sua sconfitta, con il suo staff composto da Rudy Giuliani e da qualche altro scappato di casa (mica il gruppo di avvocati usato per difendersi dall’impeachment) che ne combinano una dietro l’altra. La prima conferenza stampa post elezioni - che stando al tycoon doveva dare il via a una micidiale guerra legale - si è svolta nel parcheggio di un negozio di giardinaggio, tra un forno crematorio e un sexy shop.
Fa ridere, lo so. E la cosa più ironica di tutto questo è che, fino a pochissime settimane fa, Donald Trump faceva paura al mondo intero. La stazza imponente, i capelli arancioni, la bocca stretta nel sibilare ipotesi, perifrasi, sfregi. Ma adesso è solo. Un bullo rimasto solo. E non ce ne frega più niente di lui, di quello che scrive su Twitter o di quello che pensa di poter fare. Si aspetta di vederlo uscire dalla Casa Bianca, si aspetta l’ammissione di una sconfitta che probabilmente, come ogni presuntuoso che si rispetti, non pronuncerà mai.
Così, come una Medusa senza poteri, anche i suoi capelli hanno perso il colore di un tempo. Non più il Donald arancione, riconoscibile in quei colori così terribilmente solo suoi, ma è il Donald grigio. Smunto, vecchio, uguale a tutti gli altri.
Dovrebbero farlo vedere ai bambini a scuola il suo decadimento, come a dire “se fate i bulli vi sembrerà di aver conquistato il mondo intero, ma ricordatevi sempre che questo è quello che vi aspetta”.
La sconfitta, prima o poi.
E la solitudine.
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