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Viaggio Utopia, il giro del mondo
senza limiti di Stefano Cipollone

  • di Filippo Giotto Filippo Giotto

24 giugno 2020

Viaggio Utopia, il giro del mondo senza limiti di Stefano Cipollone
È possibile fare il giro del mondo a bordo di un Peugeot 125 da enduro? Stefano Cipollone lo sta facendo, tra rapimenti, arrivi trionfali e quella voglia incontenibile di continuare a rimandare il rientro fino al prossimo porto

di Filippo Giotto Filippo Giotto

Esistono due modi per organizzare un viaggio in moto, di quelli seri, dove metti la ruota verso est e punti una destinazione migliaia di chilometri più in là.

Il primo: quello dove il viaggio cominci a fartelo in testa mesi prima, poi su carta, poi ti informi, leggi, parli con chi l’ha già fatto. Quello che ti chiama lui, e tu puoi solo starci. E lo prepari bene, ché se qualcosa va nel verso sbagliato non è che puoi rifarlo l’anno dopo. Dicono.

Eppoi c’è il metodo sto via dieci giorni, quello che tu sei a Venezia e devi tornare a Ortona, ma alla mamma dici che “faccio il giro lungo, scendo giù dalla Croazia e il primo porto che trovo piglio il traghetto per Ancona”. E ti ritrovi a Kuala Lumpur dopo 22.000 km.

Il primo modo è quello che va per la maggiore.
Il secondo è quello che va per Stefano Cipollone. E basta, direi.

Classe 92, un orgogliosissimo ragazzo abruzzese che il 16 novembre di 2 anni fa si ritrovava con un mese libero davanti, un endurino 125 sotto il culo – a.k.a. il pegiottino – e un bivio da imboccare. E lì sceglie la strada che punta verso Trieste. Al Decathlon. Abbigliamento da sci, ché siamo alle porte dell’inverno, poi recupera un casco integrale così e così, e basta; zaino e bauletto ci sono già, si può andare.

Stefano non ha la faccia consumata del motoviaggiatore, eppure di strade ne ha già fatte un po’ e qualcosa da raccontare ce l’ha: un paio di cammini di Santiago, un Capo Nord in treno e autostop, un Canterbury – Ortona a piedi, svariati chilometri in canoa e vabbè, nord Africa, nord Europa, Cina e Borneo imbarcato come ufficiale di navigazione a botte di 4 mesi alla volta. Ma questa è la solita altra storia che poi mi scrivete e vi passo il numero e ve la fate raccontare da lui.

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Eravamo quindi a Trieste; da lì è una volata, tutto a sud e poi svolti a sinistra e ti trovi al confine con la Turchia, in una bufera di neve a -10°, e non ti fanno entrare perché la moto è intestata a tua mamma (pure di questo ne parlate con lui direttamente, io non ne voglio sapere), ma tu sei italiano e la combo genio+spirito di sopravvivenza fa comparire un giro di email a te stesso che nemmeno il gioco delle tre campanelle. Ed è subito Istanbul. Ma è pure Natale e sarà meglio farsi rivedere a casa.

A primavera è tempo di riprendere dove si era lasciato il cammino, magari pure di concluderlo visto che il prossimo porto è a Smirne e da lì si rientra in nave. Oppure no. È una toccata e fuga, giusto il tempo di arrivare ad Ankara, conoscere un ciclista francese che ti parla bene dell’Iran e che fai, non ci vai? No. Ti servono visti, carnet de passage e magari un passaporto. Tocca rientrare e nel giro di 28 giorni sei pronto a ripartire con in più un visto per il Pakistan e uno per l’India, just in case. 

Ora, la Turchia confina con l’Iran ma già che sei lì fai il giro largo e attraversi il Kurdistan turco, ti fai trattenere dalla polizia segreta che ti prende per un foreign fighter, riconquisti la libertà ed entri in Georgia, sali fino all’Ossezia – altro posticino tranquillo – ridiscendi in Armenia e punti finalmente verso l’Iran. Non prima di esserti fatto scambiare per una spia azera rischiando il carcere nel Nagorno Karabakh.

E quando entri in Iran sei una star. Non fosse altro che in quel momento sei l’unico straniero su due ruote visto il divieto di ingresso per tutte le moto sopra i 250cc. Cordialità, ospitalità e benzina che a volte ti regalano pure. Ma a Stefano interessano le sigarette che serviranno una volta entrato in Pakistan per corrompere gli uomini della scorta, ma mica per avere dei favori: per convincerli ad andare più piano visto che il suo 125 non fa più dei 70 km/h.

Stefano Cipollone

Qui non si scherza più: la scorta non si ferma, uomini armati e colpo in canna attraverso tutto il Beluchistan, oltre Quetta dove ti rapiscono per noia, fino a Multan dove ti trovi nuovamente solo e a un nuovo bivio: punti verso l’India oppure aspetti un attimino e vai a nord, oltre Islamabad, che lassù c’è il K2 e quel prurito di fare trekking non ti sta passando? La scelta la conoscete già, a questo punto Stefano è fin troppo prevedibile e pare che neppure i 2.000 euro di permessi lo possano fermare: lancia un crowdfunding e in 2 giorni risolve la situazione economica, ma nulla può contro le tempistiche richieste per ottenere il permesso: un mese, occorre verificare che non sia una spia. E a dirla tutta a questo punto del racconto comincio a pensare pure io che Stefano sia una sorta di spia. Ma di quelle buone, ché restituisce i soldi raccolti online e punta verso l’India.

Nuova Delhi sarà il parcheggio del pegiottino per i prossimi 3 mesi. L’idea è di tornare a ottobre, puntare al prossimo porto, Mumbai, e da lì imbarcare per il rientro. Certo, come sempre. Con due mesi a disposizione pensi solo a fare il periplo del Paese e macinare 7.000 km cercando di sopravvivere a caldo, piogge, cibo piccante e un traffico che (dice) “ti vogliono uccidere, loro”. E arrivi al confine con il Bangladesh dove tutta la comunità dei biker ha saputo del tuo arrivo da Facebook e ti accompagna attraverso il Paese, ti accolgono con mazzi di fiori, ti portano in TV, ti presentano i parenti. Insomma, un’Epifania.

Poi le cose accelerano, Myanmar e Thailandia scorrono veloci, bisogna tornare a casa per alcune faccende ma prima occorre arrivare in Malesia: lì il pegiottino potrà rimanere fino a 6 mesi. Il progetto è congelato ma pronto a ripartire, destinazione finale Australia dove ci sarà sicuramente un porto, l’ennesimo prossimo porto, per riportare a casa il 125. Il Covid-19 ha messo un po’ di bastoni tra le ruote ma è solo questione di tempo.

Ma intanto, Stefano, da tutto questo viaggio cosa ti sei portato a casa? 

Dice che le persone sono buone. E per dire ciò significa che la sua mente è davvero aperta. Verso il prossimo, verso le altre culture e religioni che in quei 193 giorni lo hanno accolto, nutrito, anche protetto. 

Il racconto di Stefano è tanto schietto quanto incessante. Così schietto che finisci per offenderti quando ti chiede scusa se a volte si dilunga. Perché è proprio quello che vuoi a quel punto: che non finisca. Per dirla meglio, che continui a rimandare il rientro fino al prossimo porto.

La community online di Stefano conta circa 9.000 fan su facebook, dove lo si trova come Viaggio Utopia: Giro del mondo senza limiti (https://www.facebook.com/viaggioutopia).

Stefano Cipollone
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