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Viva la Movida/Covida,
perché chi ha paura
muore mille volte

  • di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

25 maggio 2020

Viva la Movida/Covida, perché chi ha paura muore mille volte
Siamo stati buoni, zitti, in molti casi soli. Mo’ volete vietarci pure di divertirci? Per favore dai. Un appello per dire: le regole ci sono, i controllori pure, le punizioni. E per istituire la castrazione a quelli che si eccitano quando l’indice di contagio sale

di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

Girl just want to have fun. E non solo le ragazze, aggiungiamo noi. Ma è bastata una pandemia per far dimenticare di botto un’ovvietà nota da sempre. E ribadita, ormai da quasi quarant’anni e a tutto volume, da Cindy Lauper nella sua celebre canzone.

Quasi un inno di questi tempi. Tempi in cui abomini sociali come violenza, omicidi, devianze varie e illecite perversioni sono niente davanti al crimine dei crimini: la movida. Ribattezzata in Covida. L’irresponsabile consumatore di aperitivi e socialità è l’elemento da devastare socialmente, colpevole d’incoscienza e voglia di normalità. Uno da punire con foto e post da Indignados per mezzo dei nuovi eroi del millennio: i paparazzi da pandemia. Una categoria che vanta persino noti registi come Muccino. 

Che cosa ci ha insegnato il Covid19? Che la delazione è la strada più breve per la medaglia d’oro al valore civile, un’onorificenza che si conquista su Facebook. Ma ci ha insegnato anche che la scienza, oltre a non trovare in tempi adeguati il vaccino per il Coronavirus, non s’è nemmeno impegnata a immettere sul mercato gli aperitivi intramuscolo o per via rettale. Con buona pace di quelli che potranno ancora invocare le pene dell’inferno per chi ha l’ardire di bersi un aperitivo senza mascherina. Come cazzo lo fai l’aperitivo con la mascherina?

Per carità, che qualche testinadicazzo ultimamente ha esagerato è innegabile. Ma c’è il serio dubbio, anzi la fondata certezza, che i paparazzi da pandemia siano stati molto di più. E anche più testedicazzo. Davvero vogliamo pretendere che i giovani, e gli umani in genere, debbano rinunciare a divertirsi? Siamo stati per mesi a casa. Buoni. Siamo stati a sentirci dire tutto e il contrario di tutto. E siamo stati buoni. Abbiamo creduto alla poesia buonista di questo Natale posticipato recitando, anche convintamente e con interpretazioni da Oscar, quel “andrà tutto bene” come fosse una trasposizione in chiave pandemica del Padrenostro. E anche lì siamo stati buoni. Abbiamo assistito, buoni, alle pantomime sulle mascherine che prima non servivano e adesso sono imprescindibili, sugli aperitivi con tanto di hashtag da bulletti del quartierino poi trasformatosi in equazione: aperitivo uguale carcere e deportazione. E siamo stati buoni. Siamo stati buoni pure quando la nuova frontiera del militarismo, fatta di droni, elicotteri e Barbara D’Urso, inseguiva pericolosi passeggiatori in spiaggia. Sì, un po’ ci abbiamo provato: portando fuori i nostri cani più di quanto ne avessero bisogno, fingendoci runners navigati e autocertificando di andare a fare la spesa anche se i pensili delle cucine erano già pieni. Imparando anche a comprare pure quello che non serviva, per non correre il rischio che qualche paparazzo da pandemia fotografasse il nostro scontrino certificante l’atroce colpa d’aver messo a rischio l’umanità solo perché ci eravamo finiti la carta igienica. Ma tutto sommato siamo stati bravi.

Poi, ritrovata la libertà o almeno una parvenza di libertà, siamo potuti scendere in strada. Con i capelli e la barba non fatti o, peggio ancora, fatti da ammiocuggino. A piedi, perché se prendevi la moto rischiavi di cadere e intasare gli ospedali. E siamo stati buoni, ma con le mani sulle palle per rimandare nel nido gli uccellacci del malaugurio. Mentre la socialità veniva messa al bando abbiamo pure finto di non accorgerci che un significativo numero di contagi era avvenuto in case di riposo, ospedali e strutture sanitarie. Insomma, in posti dove non ci vai per socialità. Era tutto chiuso e non sapevamo dove andare. Quelli col congiunto, in quel momento lì che era la fasedue della faseuno, erano più fortunati di quelli che prendono il sei al Superenalotto. Adesso, nella faseuno della fasedue, qualche posto in cui andare c’è. E ci hanno detto che dovevamo aiutare quei commercianti che avevano riaperto. Poi, però, se ti beccano in un locale con i piedi fuori dal segnapiedi sei un mascalzone. Se hai una fidanzata ma non ci convivi non ci puoi andare in moto in due, però la puoi andare a trovare a casa. A guardarsi da lontano? Se scambi una battuta con qualcuno che rivedi dopo due mesi devi armarti di metro. Perché se i centimetri sono 99 invece di 100 sei un terrorista che le Brigate Rosse scansati. E pure di binocolo, perché se appostato in qualche finestra c’è un paparazzo da pandemia sei più fottuto che se ci fosse stato un tiratore scelto. 

Stamattina apriamo il giornale e taaac: “In arrivo 60.000 assistenti civici. Collaboreranno per garantire il rispetto del distanziamento sociale”. Capito? Qualche anno fa chi proponeva le ronde per tutelare i quartieri dalla delinquenza era un nostalgico neofascista. E lo era. Adesso arrivano gli “assistenti civici”. Oh ma scherziamo? Davvero siamo disposti a farci nominare il capoclasse come quando andavamo a scuola? Quello che - generalmente selezionato tra i secchioni e caratterizzato da egualitarismo risentito (dovuto al fatto che lui doveva studiare dieci ore al giorno, mentre a quello intelligente glie ne bastava una) – collaborava con la maestra riferendole nomi e cognomi di quelli che chiacchieravano o copiavano. Oh ma veramente?

Le regole ci sono. I controllori pure. Le punizioni anche. Basta far rispettare le prime mettendo i secondi nelle condizioni di fare al meglio il loro lavoro. In maniera netta e chiara. Per carità, nessuno vuol sostenere il contrario. Ma qui i problemi restano, la gente muore di violenza, di droga tagliata male, muore di incidenti su strade che sono come un miglio verde, muore di marginalità, muore di malattie, muore di tristezza, muore ammazzata e, purtroppo, anche di suicidio perché non sa più come andare avanti (a proposito: una quarantina dall’inizio della pandemia). Però basta non morire di Coronavirus. È l’unica cosa che conta, l’unica morte non consentita.

La deriva non è solo pericolosa, ma pure imbarazzante. L’epicureismo forse non è il massimo e su questo possiamo essere tutti d’accordo. Ma non è un crimine, soprattutto a certe età in cui socialità e divertimento sono sia diritto che dovere. E pure per combattere l’epicureismo sarebbe il caso di leggere Epicuro: “Muore mille volte chi ha paura della morte”. 

Impariamo a morire una volta sola, per favore! E istituiamo una pena in più: la castrazione per quelli che si eccitano quando l’indice di contagio sale.

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  • Attualità
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