Michela Murgia va all’EICMA? Probabilmente no. Se ci fosse stata avrebbe di certo scritto un pensiero sulle ragazze che, da sempre, colorano il salone più famoso del motociclismo con una tutina in lycra e il sorriso perenne sulle labbra. Nell’anno dello schwa e di termini anglosassoni sempre nuovi, era legittimo aspettarsi che le ragazze immagine venissero bollate come un retaggio del passato, roba di cui liberarsi il più in fretta possibile per rendere l’ambiente più inclusivo. Chiedersi dove finiscano le battaglie per la parità di genere e dove invece cominci il femminismo tossico (altro termine nuovissimo) è legittimo, la risposta però è sempre diversa a seconda dei casi.
Noi, la risposta, l’abbiamo chiesta alle visitatrici del salone. Non abbiamo fatto distinzioni di età, impiego o classe sociale, ci siamo limitati alla sola e unica distinzione di genere: in breve, lo abbiamo chiesto alle donne. Una trentina di interventi (non tutti in video) che a grandi linee si possono riassumere così: le ragazze ad EICMA ci stanno bene e lì devono rimanere.
Inutile proporre anche uomini a fare lo stesso mestiere come, ad esempio, succede ad alcuni saloni dell’auto: “Non per cattiveria, ma proprio per oggettività - spiega Silvia, crossista - la corporatura della donna è completamente diversa e mettere le ragazze sulle moto è un modo per avvicinare la gente a questa passione”. Una signora tedesca butta lì uno spunto: “Quella che viene mostrata non è la realtà, queste ragazze non guidano le moto, non è una cosa autentica. Sarebbe diverso se fossero motocicliste”. Un’altra ragazza, che fermiamo mentre prende le misure ad una Keeway, spiega che: “La donna fa la sua parte, continuiamo così. Se vengono infastidite? Quando accetti di fare questo lavoro fa parte del gioco. Io le terrei, è anche un punto forte per quanto riguarda le moto”. Un’altra ancora pensa che sia una scelta da mantenere “Anche per i ragazzi, ne vedo tanti che fanno le fotine”.
Un’altra signora invece mette l’accento sulle differenze tra gli stand più organizzati e quelli meno professionali: “Più è importante la casa, più sono ben vestite - la sua riflessione - più la casa è piccola più puntano sulle ragazze”. Un’altra risponde che si tratta di un impiego come un altro: “Le pagano e fanno il loro lavoro, un po’ di sessismo c’è sempre stato”. Una sola, a conti fatti, la voce fuori dal coro: “Io preferisco le moto e basta - le parole di un’appassionata - si usa la donna come mezzo, non sono d’accordo. Il sesso non c’entra con la moto”.
L’unica conclusione possibile, dopo la sorpresa iniziale, è che il mondo è meno attento di quanto si possa immaginare a questo genere di tematiche, per lo meno ad un’esposizione di mezzi a due ruote. Ci sono le ragazze che per lavoro sorridono sui tacchi? pazienza. Anzi, bene così. Prima o poi qualcuno ne farà un caso mediatico, una battaglia (magari giusta, magari no) per tentare di cambiare le cose. Dispiace solo che nessuno si sognerà di farlo fino al prossimo anno: l’attenzione, sui social, è già concentrata su altro. Se l'attenzione del pubblico finisce per essere l’unico motore di queste battaglie però, andare lontano diventa difficile.